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Resoconto minimo, con morale finale, di una lettura


di Sergio Fabbri


Lasciando ad altri la stesura di un’analisi più oggettiva ed approfondita del romanzo di Ursula K. Le Guin La soglia, ad amici e personaggi, colti in un breve istante di cedimento al disimpegno, vorrei narrare alcune mie personalissime impressioni ricavate dalla lettura (attenta?) del libro. Dopo qualche tempo di astinenza pressochè totale da certe letture, l'impatto col romanzo è stato bivalente: smarrimento, dovuto alla struttura del romanzo in quanto tale, e ritrovamento, dettato da alcune tematiche specifiche - più o meno estrinseche - che mi hanno accompagnato parallelamente per l’intero "viaggio".

Pur trattandosi di un lavoro contenuto, almeno rispetto ai canoni in vigore negli ultimi anni, spesso e volentieri durante la lettura mi sono letteralmente arenato di fronte alle descrizioni più minuziose e prolungate - non credo sia rimasto fuori dalla penna della scrittrice un solo sassolino del percorso di Hugh nel mondo, del crepuscolo-, cosicchè il romanzo, già lento di per sé (niente astronavi o mirabolanti imprese spazio-temporali...), quasi si impantana del tutto, mentre magari la ridondante descrizione, il continuo rilevamento di dati e dettagli intendeva essere asservito al tentativo di rendere determinate scene più ricche e veloci, direttamente mutuate dalle sovrabbondanti immagini filmiche.

Ma proprio per lo scarto incolmabile esistente fra letteratura e atto visivo, e proprio per cercare di rintracciare vie nuove (e non per effettuare contorti "recuperi"), credo che sia il racconto la giusta scatola, la giusta misura per la letteratura fantastica: abbandonate inutili e deleterie velleità descrittive, in essa può finalmente prevalere la narrazione, la parola come linguaggio, affidando la componente descrittiva in primo luogo allo stile, alla fantasia del lettore, a quel che di descrittivo è insito nella narrazione stessa.

Inoltre, bisogna dire che quando si scrive altro da resoconti giornalistici o manifesti politici, il non-detto, l'enigma, il mancato disvelamento diventano un elemento fondamentale del fatto letterario, del suo fascino artistico.

(La drasticità, la schematicità, il massimalismo di alcune conclusioni pagano il rigetto per i mega-romanzi, per le tetralogie o eptalogie… che, se sfrondati, non del superfluo, ma semplicemente dell'inutile, nella maggior parte dei casi si ridurrebbero alla lunghezza di un riassunto da scuole medie!).

La trama di La soglia poi, corredata qua e là di piccole gemme, di poetiche sentenze, ripropone la dicotomica questione: realtà o fantasia? Ed è fatale, direi, il ritorno deliberato dei due futuri sposini del romanzo nel loro chiassoso e nevrotico e soleggiato mondo. Tuttavia, anche se ciò, potrebbe suonare: in fondo in questa realtà ci siamo dentro, viviamo bene o male in questa società, per cui è qui che dobbiamo agire per vivere nel modo migliore… tuttavia, dicevo, il "qui" al termine della passeggiata circolare attraverso il mondo della sera e della paura (povera mamma-drago!) non è esattamente il "qui" iniziale, che c’era prima della scoperta della soglia".

C’è un dato nuovo, fondamentale: la memoria.

Il mondo fantastico resta "comunque", come rammemorazione. Ecco allora che, a un momentaneo tentennamento della ragazza, Hugh ribatte: "Irena. Lo ricordo".

Dunque, Hugh ricorda. E noi pure. La preannunciata chiusura moralistica è la seguente: alla nostra memoria d’uomini, fantascienza o non fantascienza, romanzo o racconto, letteratura o elettronica, sono affidate le (ultime) possibilità.

Ricordatevelo!






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