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Recensione di Marcello Bonati a "La soglia"


Questo romanzo è, fondamentalmente, la storia di due giovani che vivono due situazioni esistenziali molto dure, difficili, piene di odio, di rancore e di violenza sia fisiche che morali.

La scrittrice definisce queste sue opere come "psicomiti", che, a parer mio, sta a significare, praticamente, un tentativo di creare una storia con tipici caratteri mitici, partendo da materiale psichico molto ricco e ribollente.

Ancora un "juvenies", come Il ciclo di Earthsea, dunque?

La risposta è no, assolutamente; qui non ci troviamo di fronte a riti di passaggio, come avveniva, invece, là, bensì ad una "scoperta", quasi una rivelazione dl speranza che si affaccia nelle esistenze dei due giovani, concretizzata, nel testo, con quella terra fantastica: "… entrando nella radura entravi in un tempo diverso, un tempo più lento. Era assurdo, non era nemmeno il caso di pensarci." (pag. 21); "… lei aveva deciso di chiedergli (al Padrone, n.d.a.), perché lì non c'erano né il giorno né la notte, perché il sole non sorgeva mai eppure non si vedevano mai le stelle: com'era possibile?" (pag. 32).

C'è la soglia, e poi quell’altro universo, così differente, "la terra del Crepuscolo"; vi si parla una lingua strana, e si è sottoposti a leggi strane, direi principalmente magiche… è dunque un universo alternativo?

Ecco, secondo me questo universo "altro" non si avvicina né a quello illustrato da Dick ne "Vedere un altro orizzonte" (The crack in space, 1966), né a quello descritto da ToIkien nel suo "Il signore degli anelli" (The lord of the rings, 1954-55) che, mi sembra, rappresentino un po' i poli opposti di questo tipo di "campo" fantascientifico; non fa parte, praticamente, delle infinite variazioni sui tema (I), ma si presenta, ai nostri occhi, come una proiezione concreta dei sogni e dei desideri dei due giovani protagonisti.

Può essere un paradiso riconquistato o a fuga dalla realtà arida e opprimente ma, prevalentemente, è il mistero, ancora una volta, a fare da padrone.

Qualcosa minaccia la comunità di Tembreabrez, La Città della Montagna, la paura serpeggia e Irene e Hugh si ritrovano ad essere pedine di un gioco che non comprendono, che non capiscono, ed e, invece, proprio qui la particolarità di quel mondo fuori dal tempo: è la concretizzazione mitica dell'adolescenza, in cui si intuisce di far parte di un disegno più vasto ma del quale non si riescono ad afferrare i contorni e le linee, nel quale ci si sente investiti di un ruolo e di un significato che ancora non si riscontra nel proprio Ego.

"Non possiamo percorrere le strade. Sono chiuse. Tu sai che alcune ci sono chiuse da molto tempo• non …non giungo notizie dalla città del Re… " (pag. 36).

"… tutte le strade sono chiuse… Ma perché? Da chi, da che cosa? Era un tabù, o un timore così profondo che non potevano parlarne. (pag. 39)

Hugh è colui che gli abitanti aspettavano da tempo, il salvatore, colui che poteva risolvere la situazione… ma non ne sa nulla, assolutamente nulla, come Irena.

E, lei, dapprima contrariata per l’intrusione di Hugh nel "suo" mondo di pace, decide poi di accompagnarlo nella difficile e misteriosa missione che potrebbe salvare la comunità da quella minaccia sconosciuta. Da un certo punto in poi, la trama si sviluppa seguendo il filo della rivelazione, della scoperta a piccolissimi passi della consistenza della missione di Hugh, tra enigmi e mezze parole, tra trattative e traduzioni simultanee dall’inglese alla lingua del crepuscolo e viceversa.

Hugh, infine, accetta completamente il personaggio, e dice: "Sono bloccati… Non possono fare ciò che devono. Se io lo posso, lo farò. Va bene così" (pag. 155).

Un lungo addio cerimonioso, e il viaggio ha inizio. Ancora una "recherche"? In qualche modo si, ma di qualcosa che è, per il lettore, allegoria, e per i protagonisti mistero, paura dell'ignoto, vinto dall'amore per la comunità.

I due partono, conoscendo solamente la direzione; si interrogano ripetutamente su cosa incontreranno e sul perché, su mille perché…; Hugh ad un certo punto dice che "gli sembra tutto fasullo, una commedia". Cosa trovino, poi, è in quale modo affrontino la situazione, lo lascio scoprire a voi; credo che sia assolutamente indispensabile che l'interpretazione dei fatti sia individuale; dipende, forse, dall'età del lettore, visto che è, come ho già accennato, una specie di raffigurazione allegorica delle lotte dell'adolescenza nei riguardi del mistero, del mondo dei "grandi".

Comunque, nella fuga dei due davanti a quel "qualcosa" che dovevano affrontare, io vi riscontro una somiglianza con la vigliaccheria del protagonista de "Bàrnabo delle montagne" di Dino Buzzati (2); anche là era una prova esistenziale molto importante mancata a causa di un'emotività eccessivamente accentuata.

Per il resto, la trama è scorrevolissima, dolce, piena di descrizioni minuziose ma mai noiose dei paesaggi e dei personaggi; nei pezzi in cui la scena si svolge nel mondo normale, si nota un appesantimento notevole del tono che, credo, si possa dire in tutta sincerità, la Le Guin ha costruito appositamente per creare un maggior contrasto con l'altra e più ponderosa parte del testo, quella che si svolge al di là della Soglia.

Estremamente ben riuscito il personaggio di Tembreabrezi, così come stupendo risulta il quadro della vita di quello strano popolo.

In conclusione, un gran bel divertissment, ricco, straricco di pathos; è impossibile che non rimanga nulla della lettura di questo libro, troppi i possibili ami che la scrittrice getta verso l'inconscio del lettore che, in sintesi, viene trattato con molta delicatezza; si, la Le Guin ama i propri lettori, e credo che si possa proprio dire che essa provi per loro un sentimento direi quasi materno.

È un libro che o lo si rifiuta o lo si ama intensamente. Io l'ho amato, e anche molto!






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