Recensione di Marcello Bonati a "La rosa dei venti"
L'antologia "The Compass Rose” della Le Guin (premio Locus '83, premio Ditmar international '86 (Australian Sf Achivement Award); solamente due racconti inediti) comprende " ... materiali non sempre e non del tutto omogenei... "; è " ... sperimentale e "aperta" ... " (C. Pagetti, "Rose invernali, ovvero innesti leguiniani", introduzione al volume, pag. III); io, a lettura appena ultimata, vi ho ravvisato, in effetti, la presenza di materiali molto diversificati; ciò che secondo me li diversifica è il loro disporsi in un'ideale scala graduata che va dalla fantascienza al mainstream.
Per evidenziare ciò ho scelto tre racconti che si pongono uno ad una estremità, uno all'altra, e uno in mezzo.
Il primo è "The Patways of Desire" ("Le vie del desiderio", pag. 160; finalista premio Nebula '79, categoria racconto); in esso si trovano molti degli stilemi base della fantascienza tou-cour, quali innanzi tutto, un mondo alieno, con indigeni, e una squadra d'esplorazione terrestre.
II linguista della missione, da molti indizi, pare ravvisare, nel linguaggio degli indigeni, delle radici molto evidentemente derivate dall'inglese moderno, per quanto essi siano i primi terrestri ad essere scesi su quel mondo: "Nessuno era mai venuto dalla Terra a questo sistema solare, prima di noi. E questa gente parla inglese. " (pag. 167)
Prima, immediata deduzione, quella che, in effetti, essi non siano i primi, che anche qualche altro terrestre sia sbarcato prima di loro, e abbia influenzato il linguaggio locale: " … sono stati influenzati, corrotti, da qualche contatto con qualcuno del Servizio Spaziale di cui non sappiamo nulla, di cui non ci hanno parlato.” (pag. 168); deduzione, questa, che facilmente viene accettata dal lettore, in quanto ormai codificata, nel nostro genere letterario, quale soluzione più frequentemente di situazioni simili.
Ma la Le Guin non la avvalla, e, scartatala, ecco che, poco più sotto ne propone un'altra, decisamente più originale, che ne costituisce la vera e propria caratteristica saliente, il "novum" suviniano: " ... se siamo i primi, allora siamo noi. Stiamo influenzando indif. Parlano nel modo in cui noi, inconsciamente, ci aspettiamo che parlino. Telepatia. Sono telepati" (idem).
È evidente che con questo già si entra in un ambito molto meno razionale di quello che si sarebbe verificato se la Le Guin avesse sviluppato il seguito della trama partendo dalla prima idea; proseguendo il racconto si allontana sempre più dall'ambito razionale per esplicitarsi, alfine, come uno dei tipici psicomiti leguiniani, percui, se in termini contestuali, l'intera civiltà di quella luna aliena non sarebbe altro che il frutto delle fantasticherie di un ragazzo terrestre, risulta chiaro il tipo di emergenza che la Le Guin propone: esplicitato; come se, in effetti, volesse rivolgersi direttamente al lettore, dicendogli: "guarda che è solo un frutto della mia fantasia"; "Stai dicendo che siccome un ragazzo scrive assurdità su un quaderno a ... a Topeka, incomincia a esistere un pianeta lontano trentun anni luce, con tutte le sue piante e i suoi animali e i suoi abitanti. Anzi, è sempre esistito. "(pag. 188)
Un racconto, in definitiva, che si pone all'estremità fantascienza della nostra scala ideale, per quanto connotato di tutte le caratteristiche essenziali della poetica leguiniana, qualificandosi come psicomito, e contenendo le contrapposizioni natura-cultura e, soprattutto, razionalità-irrazionalità che la caratterizzano nel suo insieme.
Il secondo racconto è "The First Report of the Shipwrecked Foreigner to the Kadath of Derb" ("Prima relazione delle straniero naufragato al Kadath di Derb", pag. 81), ed è quello che porrei nel mezzo della nostra ipotetica scala graduata; vediamo ora di vederne il perché.
La sua struttura esterna, macroscopica, è tipicamente fantascientifica; un astronauta terrestre, accidentalmente naufragato su un pianeta alieno abitato, a colloquio con un’autorità temporale locale.
Ma ciò che viene comunicato nel testo avrebbe potuto, con tutta facilità, essere comunicato attraverso una struttura mainstream, o, meglio, l'impalcatura fantascientifica rimane unicamente tale, cioè non contiene alcun fattore di novurn, nessun accadimento straordinario. In effetti questo racconto non è altro che uno sperticato elogio della bellezza della natura del nostro pianeta.
Dicevo che ciò avrebbe potuto essere espresso attraverso un'altra struttura narrativa, come, che so, un monologo interiore di un personaggio inserito in una qualsivoglia opera mainstream, ma appare evidente che, inserito in questo contesto, nell'immaginario del fruitore può più facilmente avere un effetto di visione globale; un po' come vedere il nostro pianeta da una stazione orbitante invece che dal balcone di casa nostra.
Il terzo, quello che porremo all'estremità mainstream, è "Two Delays on the Northern Line" ("Due ritardi sulla linea nord", pag. 47).
Qui nulla è minimamente fantascientifico, né la struttura esterna, l'ossatura, né il contenuto; è un racconto, suddiviso in due parti motto ben distinte, che ha come tema la morte, in particolare gli effetti di essa sugli affetti di chi rimane, così come, d'altronde, anche un altro racconto contenuto in questa antologia, "L'obolo", anche se là visitato in una chiave decisamente più ortodossa ovvero per mezzo di una struttura tipicamente horror.
La morte, come un qualche cosa di terribile, con la sua ineluttabilità, la sua totale mancanza di senso, diviene elemento che irrompe nella quotidianità, perturbandola.
Per concludere, dunque, direi che all'estremità mainstream si trovano dei racconti che, avendo come fulcro un elemento perturbante, si pongono poco oltre il limite del racconto horror, anche se non lo sono, in quanto sono privi delle strutture che caratterizzano quel tipo di narrazione, e che, chiaramente, i restanti racconti si possono tutti inserire fra i due estremi.
Altri contributi critici:
"Libri", di Silvio Sosio, "La spada spezzata" n. 12, pag. 36
recensione di Silvio Sosio, "Ucronia" n. 1, pag. 106
"Un labirinto per ogni mostro" (1ª parte), di Nicoletta Vallorani, "Ucronia" n. 1, pag. 66, relativamente al racconto "Mazes"
recensione di Vittorio Catani, "THX 1138" n. 2, pag. 69
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