Recensione di Marcello Bonati a "Il giorno del perdono"
Bellissimo romanzo/antoloqia, questo, ultima delle opere della maggiore scrittrice americana, e non solo, raccolta di quattro racconti lunghi/romanzi brevi, apparsi originariamente sulla "Isaac Asimov's Sf Magazine", facenti parte di quel ciclo Hainita che comprende le opere migliori di lei.
Quattro storie, quindi, strettamente collegate fra di loro, per ambientazione, si, ma, soprattutto, per il tema di cui trattano; la liberazione, dall'oppressione, sia dalla tirannia sia dal Maschio Sciovinista, e, forse, unicamente da quest'ultimo; vi si racconta, infatti, di schiavi e sfruttamento, di Padroni crudeli e spietati che difendono il loro potere con ogni mezzo, lecito e non, ma, alla fin fine, credo, il tema unico che li unisce, come, daltronde, unisce tutta quanta la produzione della Le Guin, è quello dell'oppressione sulla Donna, lo sciovinismo, che, nonostante le conquiste indubbie che il femminismo ha ottenuto, imperversa ancor oggi in gran parte del cosidetto Occidente civilizzato.
La Le Guin, da quanto mi è dato di capire dalla lettura delle sue opere, credo abbia subito violenza sessuale; traspare, direi, piuttosto (evidente in molte sue opere, ma, forse, in questa in particolare; ed il titolo originale penso non possa che avvalorare ciò.
In tutti e quattro i racconti, infatti, traspare la tipica mancanza di desiderio delle donne che abbiano subito violenza sessuale, che, alla fine, viene superato, in, appunto, quattro maniere diverse: "Non avevo desiderato né uomo né donna sin dai tempi di Shomeke, questa è la verità. Avevo voluto bene a delle persone, e le avevo toccate con amore, ma mai con desiderio. Il mio cancello era rimasto chiuso. Ora si era aperto. Ora mi sentivo venir meno tanto da non poter quasi camminare al solo tocco della sua mano." (pag. 231-"Liberazionle della donna").
Sempre in quest'ultimo racconto, la Le Guin si sofferma ripetutamente su un aspetto direi piuttosto importante della questione; non bisogna scordarsi, infatti, che ella è un'anarchica, una così detta radicale, e, in questa sua analisi del rapporto oppressore/oppresso, non poteva mancare questa considerazione: "… è attraverso la nostra sessualità che siamo tutti, uomini e donne, più facilmente resi schiavi. (...) Le politiche della carne sono le radici del potere." (pag. 179); e: "È nei nostri corpi che perdiamo o diamo inizio alla liberta, nei nostri corpi che subiamo o poniamo fine alla schiavitù." (pag. 233).
La Palusci, nell'introduzione, fa notare che " … ogni personaggio deve lasciarsi alle spalle qualcosa di sé, dei propri pregiudizi, per acquisire una consapevolezza più vasta. " (pag. 9).
C’è, poi, come in molte altre opere di lei, un richiamo molto forte al valore delia Cultura per ottenere la Libertà, come, direi, mezzo per affrancarsi dall'ignoranza in cui il Potere relega e, appunto, giungere ad una consapevolezza più allargata.
Sempre nell'ultimo dei racconti, vi è una certa qual riverberanza del capolavoro di lei "I reietti dell'altro pianeta" (The Dispossessed: An Ambiguous Utopia, '74); infatti anche in esso vi sono due pianeti vicini, uno, per così dire, conservatore, ed uno progressista, uno in cui vige ancora lo schiavismo e le donne non hanno alcun diritto, e l’altro in cui una rivoluzione ha modificato questo stato di cose.
Veramente molto bello, è assolutamente indispensabile per chiunque voglia comprendere l’opera di questa Grande della letteratura americana.
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