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Cancello zombie, è un monumento alla memoria


di Anna Gandolfi


"In aeroporto sono arrivato con la mascherina. Dico la verità: l'ho tenuta in tasca. Qualcuno la indossava, molti no. C'erano stati i due turisti cinesi contagiati a Roma ma l'idea era che la cosa non ci riguardasse granché ...". Andrea Mastrovito sale sul volo da Malpensa per New York il 20 febbraio. In quelle stesse ore l'ospedale di Codogno entra in emergenza: il tampone positivo del «paziente uno» rivela il primo focolaio italiano di Covld-19. «Sono atterrato, ho guardato internet. Ho pensato: un disastro».

La zona rossa stringe il Lodigiano. «Non immaginavo cosa sarebbe successo dopo». Dopo sono le chiamate dall'Italia. «Mia moglie Francesca ha proposto subito di inviare a casa, a Bergamo, le mascherine: negli Stati Uniti si trovavano ancora. La mia risposta: arriveranno fra due settimane, quando non serviranno più.

Invece di settimane ne sono passate dieci e sappiamo a che punto siamo». Cronaca della caduta verticale vista da chi sta sospeso fra due dei focolai Covid-19 piò brucianti del pianeta: la Valle Seriana e New York. Nella prima l'artista quarantaduenne è nato, nell'altra ha la sua base operativa. Ed è da Brooklyn, mentre in Italia si apre una «fase 2» per la ripartenza densa di incognite, che risponde al telefono. Nell'appartamento-studio i computer si giocano lo spazio con pile di bozzetti (nelle immagini di queste pagine): le tessere di un'opera finanziata nel 2019 dall'Italian Council del Mibact e che era destinata a debuttare a giugno. Mastrovito dall'anno scorso, infatti, sta ridisegnando Night of the Living Dead (La notte dei morti viventi), il film del 1968 in cui George A. Romero racconta un'epidemia e gente asserragliata in casa. Una storia allucinata diventata cult ma, nel 2020, superata a destra dalla realtà. Il lavoro poteva essere annientato, nella sua devastante coincidenza con l'emergenza coronavirus. "Ero stordito. Mi sono fermato». Poi la decisione di ripartire. "I am not legend (il titolo del film rivisto, ndr) è stata la catarsi, un modo per cercare un senso in qualcosa che continua a non averlo».

Il nastro si riavvolge, è di nuovo febbraio. Il 23 l'onda d'urto travolge l'ospedale di Alzano, alle porte della valle orobica falciata dal virus. «I miei parenti, i miei amici, gran parte della mia vita sono li: Alzano, Nembro, Albino, Seriate. Il telefono suonava: chi si è ammalato, chi è grave, chi è stato portato via d'urgenza. In una settimana sono morti tre parenti di Francesca. Dopo dieci giorni è toccato a un mio amico. La mattina, anche adesso, ho una paura dannata quando accendo il cellulare». Il 24 febbraio in Italia non riaprono le scuole. New York sembra vivere un'altra storia. «Chi ha contratto il virus sta meglio. Stanno tutti meglio», twitta il presidente Donald Trump. Il 20 marzo i morti di Bergamo, troppi, devono essere portati sui camion militari fuori regione: una foto cristallizza il dramma e lo traghetta in tutto il mondo. «Quella sera sono andato a letto piangendo», ricorda l'artista. Una settimana dopo anche il presidente americano cambia registro: «Se i morti negli Usa fossero 100 mila avremo fatto un buon lavoro».

Il mostro non se n'e andato. «Da casa sento il rumore dei tir frigoriferi diretti all'ospedale di Fort Greene. Sono obitori. Cinquanta camion, cinquanta cadaveri ognuno». Già a fine marzo lo spazio nei reparti non bastava più «e io, guardando i tir bianchi, tra le mille domande, mi chiedevo anche cosa ne sarebbe stato del mio lavoro». La sovrapposizione con la vita vera ha fatto sbandare il progetto. Finchè quella stessa sovrapposizione e diventata centrale: "I am not legend inizialmente puntava sulla memoria che scompare (da qui il titolo), era un affondo sul negazionismo, come sui ricordi affidati a cellulari e pc che poi si rompono portando via parte di noi". Ora l'intero materiale e stato rivisto, acquisendo luce nuova. «Con il negazionismo il rischio era la perdita della memoria della guerra. Con il Covid-19 rischiamo di perdere la memoria della ricostruzione: il virus sta portando via i nostri anziani, i nonni, i genitori.".

Mastrovito tre anni fa aveva ridisegnato con 35 mila tavole Nosferatu, pellicola del 1922 di Friedrich Wilhelm Murnau, proiettando nel racconto la lacerazione delle migrazioni ("la Lettura" #294 del 16 luglio 2017). Il nuovo lungometraggio (70 minuti), ideato con l'associazione Casa Testori di Novate Milanese, è una sorta di sequel: ancora un’opera del passato cambia contesto e diventa metafora. Negli zombie c'è la parabola della perdita di coscienza del nostro tempo, raccontata con una tecnica di animazione speciale. Con una squadra di studenti delle Accademie di Belle Arti di Brera (Milano), Bergamo e Urbino, Andrea ha bloccato i frame del film, stampato 200 mila fogli, li ha modificati, ridisegnati e poi rimontati. La pittura bianca cancella chi è contagiato è annientato.

La sceneggiatura è stata riscritta: «I dialoghi avvengono solo attraverso citazioni in lingua originale tratte da romanzi, poesie, musica, cinema». Oltre 400 stralci: frasi di Primo Levi, da Apocalypse Now e Lo Squalo, i deliri di Hitler, fino ai Green Day. «Volevo mostrare la spersonalizzazione, l'omologazione. Mi sono accorto che le citazioni sono parte di una memoria collettiva. Un'operazione che voleva raccontare "l'annullamento" e diventata il contrario. Parla di qualcosa che è di tutti».

Schiantata nella realtà, l'idea alla fine si è rafforzata. «Sono partito da Malpensa il giorno dopo aver visto la partita Atalanta-Valencia a San Siro, indicata poi come possibile evento catalizzatore del contagio. Conosco persone giunte negli Usa dall'Italia che si sono segnalate con la polmonite, hanno chiesto di fare il tampone: negate». La consapevolezza è maturata poco alla volta: «Quando è stata chiusa la Lombardia ci siamo chiusi in casa anch'io, Francesca e nostro figlio Mattia, di due anni. L'abbiamo tolto dall'asilo e ci hanno guardato come alieni. Ho chiamato la mia galleria a Ginevra e amici della Fondation Bullukian di Lione: state a casa, non inaugurate. Anche loro: ma sei serio? Da Providence la scrittrice Leora Maltz-Leca, con cui collaboro, mi diceva: ma tu sei di Bergamo, it's scary. La situazione lì è paurosa». Lì.

«Poi è iniziato il Lockdown anche a New York. La. mia strada è deserta: chi ha potuto è partito, nu chiedo se così il virus sia arrivato negli Hamptons, nel Connecticut, come da noi con le fughe nelle seconde case. C'è stata la corsa alle armi: già ad aprile i nuovi disoccupati erano tre milioni, si temono assalti ai market. Abbiamo visto le fosse comuni, si è capito che a New York, ogni giorno, stavano morendo a casa o in strada quasi 300 persone al di fuori da ogni conteggio ufficiale». All'esterno ferro e fuoco, dentro le liti: la casa in cui Romero fa rifugiare i livorosi protagonisti sembra predire le risse dei politici di qui e di là dall'Atlantico. Ancora: «Mesi fa avevo scelto dallo Squalo il dialogo in cui gli imprenditori dicono di non chiudere le spiagge, di non spaventare gli ospiti paganti. Il film è del 1975 ma è successo lo stesso nella mia Valle Seriana, con il peso delle aziende nella scelta di negare la zona rossa che avrebbe salvato vite». Per l'artista il monito resta attualissimo, mentre si entra nella ripresa: "È da pazzi pensare che il pericolo sia scampato».

L'animazione è ultimata. «Per l'introduzione, slegata dall'opera di Romero, l'idea originaria era montare immagini di città deserte durante la Seconda guerra mondiale. Adesso no. Non più. Le foto saranno deserti di oggi. La mia Bergamo, la mia New York». La colonna sonora è del compositore irlandese Matthew Nolan e di Maurizio Guarini dei Goblin (già nei film di Dario Argento), «anche se il divieto di andare in sala di registrazione ha rallentato tutto». Per il lungometraggio era fissato un tour da Pistoia (dove era fissato il debutto, ora ipotizzato a ottobre a Vienna, New York, Toronto, Danzica, Pretoria. «A lungo non potremo viaggiare. Ma il film lo farà per noi». E sarà come un messaggio in bottiglia alla deriva tra i continenti, per ricordare ciò che il virus non ci deve portare via.






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