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Appunti sull'immaginario telematico (3ª parte)


Ciberspazio onirico

Ad ogni modo, è presto per simpatizzare con questa riflessiva o quella immaginifica tesi. L'upload ovvero riversamento dei dati del reale nella principale forma attuale di virtuale, Internet, è tuttora in corso e durerà presumibilmente per un pezzo. Tutti i cibernauti attivi vi stanno partecipando, quali formiche che si affannino spinte dall'istinto ad ammassare provviste per l'inverno all'interno di un vasto formicaio, o api le quali volino verso l'alveare per accumulare energie utili un domani per sciamare altrove. Sempre che l'apicultore Aristeo non sottragga ogni frutto delle loro fatiche. Ciò non toglie che la contesa ninfa Euridice gli preferì il canto di quella "cicala" scioperata di Orfeo. E lì iniziarono i guai, stando a quanto riferisce il latino Virgilio nel quarto libro del poemetto le Georgiche (dove, per inciso, già si accennava ai problemi della scienza e della coscienza). Ma questa è tutt'altra leggenda, un po' ingarbugliata. E il discorso corrente finirebbe per mordersi la coda come ci si augura il serpente velenoso, che morse un polpaccio alla bella e sventurata Euridice, mentre fuggiva le pesanti attenzioni di Aristeo nella "foresta di simboli" del poeta Charles Baudelaire ... o di Sigmund Freud e Tim Berners Lee?

Più o meno sterili giochi di parole a parte (sempre meglio il vaniloquio della dissociazione, che il monologo del solipsismo!), né noi né altri disponiamo di un convenzionale controllo sui nessi di immagini e concetti che possono stabilirsi in Rete. Possiamo prevedere itinerari non strettamente consequenziari né necessariamente arbitrari. Collegamenti in qualche misura spontanei e fuori della norma ci sospingono insensibilmente verso una presunta logica originaria. o, piuttosto, verso il modello in corso di studio del funzionamento delle reti neurali. Nostalgico o futuribile, un lucido sogno a occhi aperti (o con occhiali visori). Attenti, tuttavia, a non esagerare con trucchi e camuffamenti! Probabilmente, è così che l'essenza della Rete delle Reti "gioca a nascondersi" ai nostri occhi e alle nostre spalle. Ricordate il proto-filosofo Eraclito, e il canto ingannevole delle Sirene? Piu semplicemente, può avvenire come per certe gallerie di specchi nei baracconi dei luna-park. L'uscita dal labirinto può trovarsi da tutt'altra parte rispetto all'ingresso del pubblico, o a dove noi ce la aspettiamo. D'altronde, la capacità trasfigurante che la Rete globale ha mostrato incoraggia a ribadire l'immagine di un inconscio telematico diffuso. È il minimo "logico" complemento da affiancare agli schemi ermeneutici del "corpo - s'intende, virtuale - disseminato nelle Reti" proposto da Antonio Caronia (cfr, Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle Reti, Franco Muzzio, Padova 1996), o dell'"intelligenza distribuita nel ciberspazio" propugnata da Pierre Levy.

Alfiere un po' elitario della coscienza luminosa, quest'ultimo in L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio (Feltrinelli, Milano 1996) si adopera a elaborare un'idea demistificante e rassicurante della matrice arcana del labirinto: "Non avendo eretto mura difensive, i minoici hanno inventato il labirinto, ovvero la complessità culturale, l'intelligenza collettiva proiettata nello spazio architettonico. Chi è dunque il Minotauro? È la bestia spaventosa che divorava i giovani ateniesi nelle profondità del suo antro oscuro? Questa versione del Minotauro è quella dei greci. Ma i greci guerrieri, polemici, figli di Micene e lettori dell'Iliade, non potevano comprendere Cnosso, l'enigma di una civiltà irenica. Il Minotauro, uomo-toro, non è altro che l'acrobata minoico che esegue sul toro sacro pericolosi salti rituali. Il Minotauro, l'ibrido uomo-toro, sta al centro del labirinto, ma si tratta dalla corte centrale del palazzo di Cnosso. Si esibisce all'aperto, leggero, aggraziato, su uno spiazzo inondato di luce. [...] E sotto il trasparente travestimento di Zeus, è proprio il toro minoico a trasportare Europa". Nel successivo saggio Cybercultura (Feltrinelli, Milano 1999), l'autore francese auspica in Rete un salto di qualità dall'"interconnessione caotica all'intelligenza collettiva". Per sfortuna o fortuna, tocca dedurne che un tale processo non sia ancora compiuto e i giochi non siano fatti.

L'allusione ultima all'ennesimo mito greco - più che cretese, per la verità - del ratto di Europa tende in ogni caso ad accreditare una percezione della Rete delle Reti quale esito razionale e degno traguardo della civiltà occidentale, europea, mediterranea. Consentitemi allora di accogliere l'invito di Nando Vitale, in Cyberguida. Parole chiave della comunicazione e dei nuovi media (Datanews, Roma 1996), a considerarla più che altro come una "città in costruzione". Nel mio caso vissuto, però, si tratta di una "Città eterna" in costruzione e decostruzione da millenni. Se non un ipertesto, un vero e proprio palinsesto. Nel tessuto urbano, le rovine emergono ad ogni passo e interferiscono con edifici di tutte le epoche, concorrendo all'intelligenza dei luoghi e delle cose. Nell'inconscio telematico, lo stesso dovrebbe verificarsi per i ruderi della memoria storica e i monumenti della cultura del passato. Un nomadismo della coscienza che si estenda nello spazio e nel tempo, sfidandone le coordinate. Solo così si avvererebbe e comprenderebbe, finalmente, l'enunciato platonico che conoscere - e riconoscersi - è ricordare. Tenendo presente, di rincalzo, questa postmoderna integrazione dello scrittore Italo Calvino: "L'idea che nessuna storia e nessun pensiero umani possono darsi se non situandoli in rapporto a tutto ciò che esiste indipendentemente dall'uomo; l'idea d'un sapere in cui il mondo della scienza moderna e quello della sapienza antica si riunifichino" (su la Repubblica, 10 luglio 1985).


Specchio mobile

Piace a questo punto alternare con un narratore, il quale smentisce l'inconsapevolezza culturale attribuita da Simon Penny al movimento Cyberpunk (vedi sopra). Nel romanzo fantafilosofico Halo (edizioni Phoenix, 1996), a fianco di quelle scontate da America di Baudrillard e dal Manifesto cyborg di Donna Haraway, Tom Maddox introduce due citazioni molto particolari. La prima, da Funes, o della memoria di Jorge Luis Borges, enuncia: "La verità è che tutti viviamo lasciandoci qualcosa alle spalle. Non c'è alcun dubbio che tutti siamo intimamente consapevoli di essere immortali e che prima o poi ogni uomo potrà fare ogni cosa e sapere tutto". La seconda, dal saggio di Jonathan O. Spence Il palazzo della memoria di Matteo Ricci (missionario italiano in Cina nel XVI secolo), specifica: "Il vero scopo di tutti quei costrutti mentali era quello di procurare uno spazio deposito per la miriade di concetti che costituiscono la somma delle nostre conoscenze umane ... È per questo che i cinesi dovrebbero lottare con il difficile compito di creare luoghi fittizi, o di mescolare il reale con il fittizio, stabilendoli invece in maniera permanente nelle loro menti con una pratica e una revisione costanti così che alla fine gli spazi fittizi divengono come reali, e non possono più essere cancellati. Se tante volte volete saperne di più in merito, bè, andate a leggervi la puntuale postfazione di Daniele Brolli al romanzo!

Siamo ormai abbastanza navigati - i pochi che hanno finora resistito ... - per tornare al pensiero puro, nonostante che questo faccia il verso alla psicoanalisi. A quale concezione aggiornata dell'inconscio far riferimento? Va dato atto a Gilles Deleuze, in coppia con lo psicologo Félix Guattari di aver reso al "territorio" dell'inconscio un'estensione, salva restando una profondità che qui si intende preservare.

Perché una tale immagine tridimensionale meglio si addice a quel vario reticolo di links casuali e causali, che è la Grande Ragnatela. Ma ancor più interessa la dinamica fra realtà e immaginazione, attivata da quel motore che Baudrillard chiama seduzione e che in Deleuze resta la "libido" di ascendenza freudiana:

"La libido non ha metamorfosi, ma traiettorie storico-mondiali. Da questo punto di vista, non sembra che il reale e l'immaginario formino una distinzione pertinente. Un viaggio reale manca di per sè della forza di riflettersi nell'immaginazione; e il viaggio immaginario non ha di per sè la forza, come dice Proust, di verificarsi nel reale. Per questo l'immaginario o il reale devono essere piuttosto come due parti giustapponibili o sovrapponibili di una stessa traiettoria, due facce che continuamente si scambiano, specchio mobile".

Almeno a livello esteso, ci sembra di poter insinuare che in tale "specchio mobile" sospeso tra immaginario e reale, o perfino sogno e veglia, si sia oggi concretizzato nell'ambito della rete telematica ipertestuale. Si nutre qualche residua, più che lecita, perplessità? Vediamo dunque come il filosofo proseguiva, in Quel che dicono i bambini (nella raccolta di testi Critica e clinica, Raffaello Cortina, 1996; edizione originale francese, 1993): "Al limite, l'immaginario è un'immagine virtuale che si affianca all'oggetto reale, e viceversa, per costituire un cristallo d'inconscio. Non basta che l'oggetto reale, il paesaggio reale evochi immagini simili o vicine; bisogna che sprigioni la propria immagine virtuale, nello stesso tempo in cui questa, come paesaggio immaginario, si addentra nel reale, secondo un circuito in cui ciascuno dei due termini insegue l'altro, si scambia con l'altro. La visione è fatta di questo raddoppiamento o sdoppiamento. di questa coalescenza. È nei cristalli d'inconscio che si vedono le traiettorie della libido".

Purtroppo la riflessione di Deleuze non termina con un'evocazione simbolica di "Apollo, la mente che guida verso la forma" e la reminiscenza sia pure platonica, bensì di "Dioniso come il dio dei luoghi di passaggio e delle cose d'oblio".

Può darsi, ci si chiederà come la superficie riflettente di uno specchio possa conciliarsi con quella trasparente di una finestra, metafora pure impiegata da altri autori. Se tante volte non si ha presente una suggestiva stampa del pittore olandese Maurits C. Escher, intitolata Tre mondi, giova rammentare l'esordio del romanzo Il paese delle nevi di Yasunari Kawabata. Il grande narratore giapponese, premio Nobel per la letteratura, ci introduce nella scena di una vettura di un treno in viaggio. Il protagonista è intento a scrutare il panorama serale attraverso il finestrino. Per il mutare delle condizioni di luce e con un aggiustamento almeno all'inizio casuale dello sguardo, il vetro riflette il viso di una giovane donna seduta nello scompartimento illuminato dall'interno alle sue spalle. Irresistibilmente, l'attenzione è attratta pian piano da quell'immagine. E così ha principio la storia. Fino a quel punto però, le immagini del paesaggio e quella del volto seguitano ad alternarsi, sovrapporsi e confondersi, creando il gioco di un'illusione ottica la quale conferisce fascino all'incontro imminente e ne costituisce l'enigmatica premessa. Spazio esterno e interno comunicano proprio tramite questo specchio mobile. Due realtà altrimenti separate e distinte vengono a interferire in modo tale, che l'una fa da sfondo all'altra o viceversa. nella cornice di un'unica labile ma rivelatrice composizione. Al centro, la sfalsante instabilità della condizione umana, colta in un attimo di spaesamento e di solitudine.

Sta di fatto che, per sua miglior natura, l'uomo non sa rassegnarsi all'inspiegabilità del mondo. Anzichè da freno duraturo a questa sua aspirazione, le trappole di pretese verità canoniche fungono da incentivo per evaderne e cercare altrove o procedere oltre. Esse sono tappe più o meno obbligate di un tragitto dalla meta incerta. Né la narrazione e a maggior ragione quella fantascientifica viene meno a tale "traiettoria di fuga", come la definisce Piergiorgio Nicolazzini in Postcyberpunk, ovvero la fantascienza tra pop e avanguardia (nell'antologia di più autori Sangue Sintetico, a cura di Roberto Sturm, peQuod, Ancona 1999). Gli chiediamo in prestito una ragionevole, benchè provvisoria e parziale, conclusione: "Se la cultura di massa è una macchina capace di colonizzare e saturare non solo lo spazio fisico ma anche quello dell'inconscio e del desiderio, si rende necessaria una strategia che affronti il problema alla radice, elaborando strumenti che restituiscano un ruolo attivo, consapevole alla scrittura narrativa, esattamente come la fantascienza cyberpunk nei confronti della tecnologia. Occorre un linguaggio per comunicare e adattarsi a un paesaggio già saturato da segni, icone, repliche, schegge che scandiscono il rumore di fondo della mass culture. L'unico atteggiamento possibile appare quello di rivolgere l'attenzione verso gli stessi simboli e archetipi della cultura pop, del consumismo e dei mass media, con spirito eversivo, non inerte o connivente, liberando l'immaginazione e la carica di innovazione formale, trasformando, scomponendo, azzerando, ma poi riannodando i fili di una nuova logica del senso. Ed è in questa sensibilità avant-pop che la fantascienza gioca le sue carte".


Monitor sull'inconscio

Conclusione delle conclusioni, la topografia dell'inconscio esteso abbozzata da Deleuze è accostabile a quella della coscienza pronosticata nella "noosfera" di Teilhard De Chardin e assimilabile al "villaggio globale" di Marshall McLuhan. Ma si converrà che una sintesi del genere, nella massima espressione corrente, coincide con la Rete delle Reti. D'altro canto i processi di "mappatura", di "cristallizzazione" e crescita "rizomatica", progressivamente messi a fuoco dal filosofo francese, neanche troppo alla lontana ricalcano le modalità della strutturazione naturale la quale emerge dall'ordine potenziale insito in una situazione caotica di elementi. "Suggestioni epistemologiche" direbbe il nostro Franco Ricciardiello, autore fra l'altro del romanzo dal titolo sintomatico Ai margini del caos (A. Mondadori, Milano 1998). A maggior ragione, l'inconscio è una componente rilevante di strutture semispontanee quali quelle delle lingue nazionali o dell'affabulazione popolare, notoriamente a lungo oggetto di studio da parte del moderno strutturalismo. Quindi, nessuna meraviglia che possa o debba esserlo di produzioni altamente antropizzate, come la Grande Ragnatela. Solo che in questo caso si tratta di un prodotto ancora poco considerato e analizzato da un tale punto di vista, causa la relativa novità e ipertrofica complessità.

Ogni cristallo rispecchia quelli adiacenti, come un sito telematico riflette implicitamente i contenuti di un altro cui sia collegato, in base a un sistema o criterio quasi di aggregazione frattalica. In questo ambito in effetti la contiguità contribuiamo noi a determinarla, stabilendo i links "giusti". Contraddicendo in parte sia Baudrillard sia Deleuze e a conferma delle teorie di Freud e di Jung, occorre inoltre ribadire che l'odierno "villaggio globale" non si estende solo in superficie ma è sedimentato in profondità. Esso ha un sostrato archeologico che può essere riportato alla luce non tanto tramite faticosi scavi o sondaggi di psicologia del profondo, quanto grazie a pochi click del mouse e all'ausilio di qualche digitazione sulla tastiera del personal computer, divenuto terminale interattivo dell'infosfera. Manco a dirlo, un "paesaggio urbano con rovine". Latitudine, longitudine o altitudine, segnalano a noi stessi e agli altri di volta in volta la nostra posizione registrando la nostra traiettoria nella scatola nera dell'"eterno ritorno dell'uguale". Questa tuttavia è una "battutaccia" nicciana, che sarebbe perlomeno ingenuo prendere alla lettera!

Una similitudine supplementare può forse metterci meglio a nostro agio. Siamo in visita sotto la volta di un planetario. Si spengono le luci. Nel silenzio, stiamo per assistere a una proiezione incrociata, Va da sè che la cupola, all'interno della quale vediamo dispiegarsi il risultato della proiezione, è per noi la Grande Ragnatela. I proiettori sono due. Con un compatibile grado di approssimazione, li chiameremo coscienza e inconscio. Inizia il primo a proiettare il cielo stellato. Ma poi la visione è soggetta a un effetto zoom su alcuni interstizi vuoti. Ed ecco entra in funzione il secondo proiettore, mostrando degli aloni variamente colorati ad arte intorno ad aree circolari completamente scure. In astronomia, sono i cosiddetti sconcertanti "buchi neri" (una sorta di smagliature dell'Universo, entro cui si annidi un simulacro di alterità assoluta?).

Quella che sembrava una visuale completa e dettagliata non lo era affatto. Sia pure artificialmente potenziati, i nostri organi naturali addetti alla visione sono inadeguati. Lo era la nostra stessa concezione convenzionale della visibilità. Si e dovuti ricorrere a una simulazione per supplire a tale carenza, e per rendere visibile ai "non addetti ai lavori" l'invisibile. ciò non toglie che quest'ultimo esista e sia sempre esistito, interagendo con il resto in maniera condizionante e condizionata. Beninteso, nessun espediente per accreditare l'esistenza di un invisibile che non lasci consistenti tracce della sua assenza/presenza dietro o intorno a sè.

Con beneficio d'inventario, l'inconscio telematico diffuso rientra in quest'ultima categoria. Né meno importante, tanto per riprendere il discorso insospettabile di Einstein, è che ci sia una ricaduta di senso verso il nostro "centro di gravita interiore". Lì pur sempre si innesca il processo creativo, nel cuore del nostro màndala. E, per quanto sia, di fronte a ciò l'intero World Wide Web resta un fenomeno impersonale che si presta a un'esperienza personale. Il ciberspazio come interfaccia fra outer space e inner space, per parafrasare James Ballard in un famoso intervento del 1962 intitolato Qual è la strada per lo spazio interiore? Premesso che "La fantascienza è la mitologia del mondo moderno", scriveva la narratrice nord-americana Ursula K. Le Guin a proposito di Mito e archetipo nella fantascienza: "Come tutti gli artisti, lo scrittore di fantascienza cerca di costruire e far uso di questo collegamento o ponte tra il conscio e l'inconscio, in modo che anche i suoi lettori possano intraprendere il viaggio. [...] L'unica strada che porti all'autenticamente collettivo, all'immagine viva e significante in ognuno di noi, sembra passare per l'autenticamente personale. Non l'impersonalità della ragion pura; non l'impersonalità delle masse; ma l'irriducibilmente personale, l'io. Per arrivare agli altri, l'artista entra dentro di sè. Usando la ragione, egli entra deliberatamente nell'irrazionale. Più lontano va dentro di sè, più vicino arriva all'altro".

Un po' romantica ma fedele alla lezione junghiana, più avanti l'autrice de La mano sinistra delle tenebre includeva nella visuale l'intera narrativa di genere, ogni forma anzi di espressione letteraria e artistica:

"Soltanto l'individuo può alzarsi e avvicinarsi alle finestre della sua casa, tirare le tende e guardare fuori, nelle tenebre. A volte ci vuole un coraggio considerevole per farlo. Quando si aprono le tende, non si sa cosa ci può essere fuori nella notte. Forse il chiarore delle stelle; forse i draghi; forse i servizi segreti. Forse la grazia di Dio; forse l'orrore della morte. È tutto là fuori. Per ognuno di noi" (nella raccolta Il linguaggio della notte. Saggi su fantasy e fantascienza, Editori Riuniti, Roma 1986). Proprio nella scia della vecchia e in gamba Ursula possiamo allora azzardare una risposta all'ultimo interrogativo rimasto in sospeso, che dovrebbe interessare e coinvolgere il lettore/narratore sia on-line sia off-line. Qual è una possibile dinamica creativa dell'inconscio collettivo, proiettato nella sfera telematica e, di rimando, nel nostro intimo terminale?

Nè l'immagine di una città in perenne costruzione né quella di un firmamento che giochi a rimpiattino possono qui aiutarci gran che. Se non altro, esse implicano tempi di modifica troppo lunghi per le nostre normali capacità di ricezione. Quando clicchiamo su un link o stabiliamo un contatto in Rete, è a volte come se spalancassimo la finestra di cui sopra (in versione originale e fuori di metafora, si trattava di quella dello studio di Jung durante una seduta psicoanalitica). Ciò che quasi subito vediamo eccede, magari di poco, la nostra ricerca deliberata o le stesse intenzioni di chi ha predisposto il collegamento. La libera associazione mentale, il lapsus o il refuso di ascendenza freudiana, c'entrano fino a un certo punto.

Piuttosto abbiamo a che fare con il controverso concetto junghiano di sincronismo: coincidenza di un evento fisico e uno psichico, senza apparente relazione causale. All'avvenimento fisico basta sostituirne uno informatico, e alla finestra il nostro monitor. Ma il ripetersi della combinazione può far si che l'apparenza assuma connotazione di verità. Indubbiamente, questo secondo nesso è soggettivo. A un link esterno razionale e oggettivo, ne corrisponde uno interno ed emozionale. Se non in stretta conseguenza, esso scatta in concomitanza. Ma può riattivarsi anche a distanza di tempo, perfino in sogno. Senza bisogno del ricorso a sofisticate manipolazioni cli computer-grafica, lo stimolo telematico ha funto per noi da affective avatar. Da segnale satellitare di ritorno, partito dall'inconscio esteso o dall'immaginario collettivo e diretto all'immaginazione individuale.


Interfaccia epocale

Abisso digitale, paesaggio mediatico, villaggio globale, labirinto telematico, specchio cibernetico, finestra virtuale, màndala nero o azzurro che sia ... E, ovviamente, rete internazionale o ragnatela planetaria.

Varie, e alcune abbastanza scontate, le immagini passate in rassegna in questa ricognizione, che in qualche modo e misura possono rimandare alla Rete delle Reti o vi sono state effettivamente correlate.

Probabilmente essa è tutte queste cose insieme, e altre ancora. Per il volenteroso - o, se volete, velleitario - ricognitore, minimo comune denominatore resta il poterla considerare una grande interfaccia, che funga da inedita mediazione all'interno delle antitesi le quali hanno animato da secoli la dialettica della nostra cultura e ne hanno alimentato la travagliata fenomenologia. C'è semplicemente da scongiurare, e da adoperarsi ad evitare, che il suo impiego venga distorto al fine di generare un'ennesima deleteria "falsa coscienza", sia al livello cosiddetto di "massa" sia di vere o presunte elites intellettuali. Infatti poche forme di convinzione o assuefazione, per quanto invasive o subliminali esse siano, possono essere oggi altrettanto ambite da parte dei soliti o non meglio identificati "persuasori occulti". Non ultimo, pure questo rischio rientra nell'aspetto inconscio del mezzo telematico!

Data l'ampiezza e la tendenziale indeterminazione della problematica, tuttora esposta a interpretazioni sotto angolature assai settoriali o polemiche, sarebbe arduo riportare o solo rinvenire nella Rete stessa tutti i collegamenti di un certo interesse. Ci si limita perciò a fornire sugli autori maggiormente, e si confida non invano, sopra citati o tenuti a mente durante lo sviluppo del discorso. Circa il rapporto fra il pensiero di Gilles Deleuze e Felix Guattari e i nuovi media, oltre ai vari articoli e saggi in italiano di Franco Berardi su "supporto cartaceo", si consulti la bibliografia telematica in inglese curata per l'Università di Arlington nel Texas da Alan Taylor all'indirizzo http://www.uta.edu/english/apt/d&gweb.html. Dello stesso ricercatore, ma su Jean Baudrillard e la sua impietosa analisi degli effetti snaturanti dei media elettronici, non meno puntuale la bibliografia telematica presso http://www.uta.edu/english/apt/collab/baudweb.html (entrambi non più attivi).

Dal punto di vista del narratore, senza dubbio più gradito al redattore del presente intervento, sono stati comprensibilmente privilegiati - e alcuni su documentati – i riferimenti al genere narrativo per vocazione intrinseca maggiormente incline a recepire l'istanza dinamica dell'alterità e del ribaltamento del proprio io, anzichè alla tautologica identificazione del soggetto scrivente. "La scrittura è inseparabile dal divenire:", afferma il solito Deleuze in La letteratura e la vita (in Critica e clinica, opera già citata), citando peraltro Howard Ph. Lovecraft, "scrivendo si diventa-donna, si diventa-animale o vegetale, si diventa-molecola fino a diventare-impercettibile". E, ancora, nel basilare testo Rizoma (tradotto per Castelvecchi, Roma 1997; edizione francese, 1980): "Scrivere è forse portare alla luce questo concatenamento dell'inconscio, selezionare le voci sussurranti, convocare le tribù e gli idiomi segreti, da cui estraggo qualcosa che chiamo Me". Ne c'è bisogno di essere filosofi o psicologi, per cogliere una differenza tra la connotazione soggettivante e vincolante dell'io e quella oggettivante - nonchè, ci si augura, a lungo andare liberatoria - del sè. Si perdoni l'inevitabile pasticcio di parole, di conseguenza la fantascienza di qualità pare meglio propensa ad avvertire il mondo come proiezione dialettica di qualcosa fuori di sè, piuttosto che il vicolo cieco della "cosa in se" di classica memoria!

Essa, infine, è particolarmente sensibile alla tematica in questione. Genericamente pertinenti a questa, gli articoli di Vittorio Catani L'apocalisse del corpo? e Nuove mitologie di fine Millennio, nella rivista on-line Delos Science Fiction nn. 37 e 46. Di qualche attinenza, nella rivista Intercom:

Ken MacLeod, La fantascienza dopo che il futuro se n'e andato;

Nicola Griffith, I nuovi alieni della fantascienza;

Domenico Gallo, Osservazioni sui tentativi di impostare una indagine critica nei confronti della fantascienza;

David Porush, L'ascesa della cultura cyborg, ovvero la Bomba era un cyborg.

Di notevole interesse, in quest'ultimo intervento, una sintesi del saggio La cibernetica e i fantasmi di Calvino. Nella stessa pubblicazione on-line e-sulla narrativa Cyberpunk, assieme ad altri articoli di vari autori è reperibile un'informativa interpretata da chi qui scrive. Abbiamo così iniziato a esplorare una Rete narrante – recente l'antologia a stampa I mondi di Delos. I migliori racconti di fantascienza pubblicati in Internet, scelti da Franco Forte e Ubik, Garden Editoriale, Milano 1999 - è finito con l'approdare ad una pensante. A volte, può persino capitare che essa pensi sè stessa ... Per la collaborazione telematica, un grazie particolare al disponibile Catani. Inoltre, a Franco Ricciardiello, Danilo Santoni, Umberto Santucci, Gianluca Cremoni "Kremo" e Marco Vallarino.






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