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Città, arte e natura in Ian Watson


di Mirko Tavosanis


Ovvero prolegomeni ad una lettura tematica


Aggiungere un altro articolo a quanto già ottimamente scritto da Mario Fabiani a proposito di "The Moon and Michelangelo" può sembrare fatica inutile, e probabilmente lo è davvero per quanto riguarda l'impalcatura generale del testo. Tuttavia, forse ciò non toglie che si possa ancora scrivere qualche appunto ai margini dell'articolo precedente, postillandolo nei luoghi - o meglio, nel luogo - in cui mi sembra che la metodologia adottata tralasci qualche considerazione importante: in effetti, rimanendo nel solco della più rigorosa tradizione strutturalistico - narratologica, che nel campo della Fs (come in altri) ha dato validi risultati anche qui da noi, Fabiani si occupa della struttura interna dal singolo testo preso in esame, analizzato iuxta propria principia. Io penso però che sia non solo possibile, ma anche criticamente significativo allargare il campo di studio ad altri frammenti dell'opera di Ian Watson (d’ora in poi = IW), per vedere quali correzioni sia eventualmente possibile apportare al quadro generale come viene disegnato da Fabiani.

Prima di iniziare il discorso, ritengo di dover dare un'avvertenza e di dover fare una precisazione metodologica. L'avvertenza è che non ho letto che una parte ridottissima di quanto pubblicato da IW, autore piuttosto prolifico e contemporaneamente non molto ben conosciuto da noi, se si eccettua il ciclo di Yaleen recentemente proposto da Urania, e poche altre cose. Naturalmente, il lavorare su una quantità ridotta di testi, oltre ad espormi al rischio di aver trattato un campione statisticamente non significativo, mi impedisce - almeno per ora - di poter trarre conclusioni definitive e soddisfacenti; l'unica possibilità che ho, come indica anche il titolo di quest'articolo, e quella di abbozzare alcune linee d'interpretazione, e sperare che possano servire da utile traccia per qualche più documentato e competente critico futuro, che abbia poi specialmente la possibilità di leggere, a differenza del sottoscritto, tutti i testi in lingua originale.

Oltre a quest'avvertenza, penso che sia adesso opportuno dare una delucidazione anche sui metodi d'analisi che seguirò, più o meno dilettantescamente. Il testo che mi serve, sia pure indirettamente, da guida, è Le costanti e le varianti di Francesco Orlando, Bologna, Il Mulino, 1983, che in alcuni dei saggi da cui è composto offre, appunto, esempi di ricostruzione di sistemi di costanti tematiche all'interno delle opere di alcuni narratori. Spero che il senso e le modalità dell'operazione possano venir chiarite da queste citazioni, che credo abbastanza illuminanti, dal saggio su "Il presente e l'antico" nel cap. I, 18 di Le Rouge et le Noir: "se ci proviamo a sottrarre al caso e ad integrare nel senso il maggior numero possibile di frazioni o atomi tematici" (p. 137), in questo caso "Parlare di uno spessore simbolico del tessuto narrativo equivarrà a parlare di una unità di fondo dissimulata dalla varietà e dalla apparente accidentalità dei particolari" (ibidem), e "il compito del critico tematico di fronte ai 'testi letterari ha (…) un'affinità con quello dell'interprete postfreudiano di sogni o di miti - cioè consiste essenzialmente nel cercare di ablir le hasard o almeno di ridurre il margine apparente del caso al minima possibile" (p. 162), riconducendo la molteplicità dei "temi" di una o più opere all'unità originaria nella mente dell'autore. Ricavando dall'analisi, se possibile, anche una serie di informazioni che aiuti a dare un senso a ciò che sembra casuale, in modo da poter offrire un'interpretazione in profondità.

La fantascienza, intesa come letteratura in cui gli autori spesso concretizzano la loro visione della realtà nella creazione di propri mondi possibili, dovrebbe essere (e secondo me lo è) una vera miniera di costanti tematiche per una ricerca di questo tipo; non fa eccezione "The Moon and Michelangelo" (d'ora in poi citato come MAM), e nel complesso dei lavori di Watson (o meglio, della piccola percentuale di questi lavori conosciuta da me personalmente) alcuni racconti mi sembrano particolarmente illuminanti. In dettaglio, mi occuperò dei seguenti testi:

1) "On Cooking the First Hero in Spring" (1975);

2) "The Girl Who Was Art" (1976);

Entrambi i testi sono compresi nell'antologia The Very Slow Time Machine, tradotta da Michelangelo Spada nel n. 388 di Urania col titolo Cronomacchina molto lenta; i titoli italiani dei racconti sono rispettivamente "Una sola parola" (= SP) e :'L'artistica ragazza" (= AR), e le citazioni saranno date col numero di pagina di questa edizione.

3) "The Artistic Touch" (1981);

Quest'ultimo racconto è stato tradotto da Vittorio Curtoni nel n. 4 di Asimov: Rivista di fantascienza (Armenia, 1981), con il titolo "Il tocco dell'artista" (= TA); anche in questo caso le citazioni si riferiscono al testo pubblicato in questa sede.

Tutti questi testi presentano, come vedremo, due costanti tematiche in comune con MAM: la presenza di una città (o altro agglomerato urbano) e la presenza di un’opera d'arte, che in tre casi su quattro è la città stessa, mentre nel quarto (SP) è un'appendice - ma funzionalissima - del villaggio alieno descritto nella narrazione. La trama dei racconti non è indispensabile all'analisi tematica, ma preferisco darla schematicamente di seguito per precisare il contesto.

SP: una spedizione terrestre atterra sul satellite di un pianeta gigante, e scopre una razza indigena (come in MAM, è difficile per gli esploratori decidere se si tratti o no di esseri intelligenti); gli "argillosi", come vengono chiamati, possiedono apparentemente un linguaggio costituito di un'unica parola ed un'unica manifestazione artistica, una specie di strada apparentemente fiancheggiata di statue. I terrestri scopriranno poi che le statue non sono altro che gli argillosi stessi, uno dei quali viene cotto ed ucciso ad ogni alba. La lingua composta di una sola parola è, come questo rituale, un modo di affermare la continuità degli individui in un mondo sottoposto dall'irregolarità della propria orbita ad un continuo mutamento di apparenze.

AR: in una Tokyo d'inizio millennio, una ragazza specializzata nel "ricreare perfettamente col proprio corpo le opere immortali di Tadanori Yokoo, stella mattutina nell'alba economica del Giappone intorno alla metà del Ventesimo secolo" (p. 90), lavora appunto come quadro vivente per i ricevimenti di un uomo d'affari.

Viene sostituita dalla moda di utilizzare ologrammi che riproducono "riquadri arbitrari di ambiente urbano" (p. 97), frammenti di panorama scelti a caso dal Reticolato, e si sposta, con tutto il suo materiale di scena, sull'Isola dei Sogni, la discarica di Tokyo.

TA: un terrestre creatore di opere d'arte che sono costituite di puro caos arriva su un pianeta abitato da una razza aracnide ("nota per la spiccata sensibilità estetica, grazie al terzo occhio artistico", p. 77), che vive in una città-ragnatela che è anche, prima in parte e poi integralmente, un oggetto artistico. L'universo ordinato reagisce ai gusci contenenti caos, e per reazione produce attorno ad essi una sempre maggiore perfezione estetica, finchè la Grande ragnatela, divenuta ormai esclusivamente un oggetto d'arte (e quindi non funzionale per scopi pratici) impedisce la vita ai suoi abitanti, la cui razza si estingue.

Naturalmente, un'esposizione così sintetica rischia di far credere al lettore che questi racconti di IW siano ben poca cosa; in realtà l'interesse del testo, più che al semplice intreccio, mi sembra vada alla serie di problemi filosofico - artistico - scientifici esposti di volta in volta, per lo più (in SP, TA e MAM) attraverso la forma del dialogo tra personaggi. La mia sensazione è che infatti i testi si possano leggere almeno a due livelli ben distinti: un discorso "di facciata" - che è quello di gran lunga più importante -, oggetto dell'analisi di Fabiani, ed un livello "profondo", rintracciabile appunto attraverso la ricorrenza di queste costanti tematiche, che dovrebbe essere il tema del mio scritto e di cui per ora posso dare solo una lettura molto provvisoria.

Spingendo un poco a fondo questo tentativo di analisi, mi sembra corretto dire che, ai fini della presenza contemporanea delle due costanti tematiche viste poco più indietro (quella della 'città' e quella dell'opera d'arte), il fatto che l'ambientazione sia umana od aliena, che il punto di vista appartenga o meno alla città, che infine la narrazione sia autodiegetica (i.e. in prima persona) o riportata da un autore più o meno onnisciente, tutto questo sembra contare poco. Allo stesso modo, e qui mi richiamo al contenuto degli schemi proposti da Fabiani, credo che per l'ipotetica struttura nascosta che sto cercando di lumeggiare conti ugualmente poco che l’"arte" prodotta sia frutto di cultura oppure di semplice istinto o caso: si tratta sempre di elementi secondari, anche se naturalmente importantissimi per il singolo testo, alle cui caratteristiche sarà legata la loro apparizione. Il livello "profondo", lo ribadisco per evitare equivoci, non è infatti secondo me significativo in un'opera isolata, mentre lo diventa se si considera integralmente la "personalità artistica" di un dato autore; conseguentemente, la distribuzione degli elementi occasionali già visti non mi sembra pertinentizzi qualche ulteriore significato se si entra nel campo dell'intertestualità (ammiri il deliziato lettore la struttura armoniosa di questi sostantivi ed avverbi polisillabici!).

Esemplificando la cosa in modo formale, prendo ad esempio tre opposizioni tra A e non-A:

a) la città è umana in AR, non lo è in SP, TA, MAM (ma nell'ultimo caso si fanno numerosi rimandi tanto all'architettura medievale quanto alle metropoli terrestri recentemente ricoperte dai cupoloni del fu Buckminster Fuller);

b) l'"oggetto d'arte" è un prodotto culturale in TA, e probabilmente si può considerare tale anche in SP; non lo è in AR e MAM;

c) il protagonista (o il gruppo di protagonisti) è esterno alla città in SP e MAM, non lo è negli altri casi.

In modo ancora più formale, indicando con A) la "presenza di città umana", con B) l'"arte come prodotto culturale", con C) il "protagonista interno alla città", e segnando con l'asterisco l'esistenza di queste caratteristiche nel mondo del testo, si ottiene la seguente tabella:

-----SP-----AR----TA----MAM

A)----------*

B)---*------------*

C)---*------------------*

Che non avrà un grosso significato, ma che almeno vivacizza la pagina (o così spero), Oltretutto se passiamo a questioni un po' più serie, cioè l'interpretazione dei dati raccolti, casca immediatamente l'asino (cioè, in modo molto appropriato, il sottoscritto); vale a dire che, una volta rilevata (più o meno) l'esistenza di questo legame "città" + "opera d'arte" abbastanza tipico di IW, non sono in grado di motivarne l'esistenza. Fatto tanto sgradevole quanto utile potrebbe essere il contrario, soprattutto tenendo presente - cosa che ancora non avevo sottolineato - tutta una serie di temi minori che crea quasi una costellazione di motivi attorno alla costante principale. Appartiene a questa categoria, soprattutto, il sottotema dell'incorporarsi del singolo nella città come parte di un complesso organizzato, passaggio diretto e drammatico in MAM, simbolicamente mediato in AR (dove non solo l'isola dei sogni è posta ai margini di Tokyo, ma anche la città, rappresenta un'opera d'arte sui generis: " ... il computer seleziona a caso un'altra sezione, brandello di terreno calpestato, attraversato da una traccia arcuata di crateri da impatto, lasciati da gocce di piscio di cane", p. 100), leggermente sfumato in SP, dove, anche se il viale di statue è (obviously) collegato alla città. esiste una contrapposizione affine a quella del racconto appena citato (p. 166: "Mentre aspettavamo una nuova alba, discutemmo del viale fiancheggiato da statue, scoprendo che nessuno di noi si era dato la pena di uscire dal villaggio per darci un'occhiata da vicino. Era come se la forma del villaggio fosse in qualche modo cosi autosufficiente da trattenerci al suo interno, senza che ce ne accorgessimo!"); nonchè altre costanti di minor rilevanza, quale quella che prevede che l'esito finale della trasformazione sia una statua (MAM e SP), e simili. Ma probabilmente non è il caso di continuare ad esporre cose che, come ho detto, non posso giustificare. Si può tentare però di ricavare qualche utile insegnamento da quanto esposto.

Punto primo: se si accetta quanto detto finora, bisogna aver chiara la nozione che, come mi sembra traspaia anche dalle righe di Fabiani, le grandi opposizioni interne al testo (ad esempio quella cultura vs. natura) sono sotto lo stretto controllo cosciente dell'autore. Abbastanza probabile che IW arrivi ad un livello di autoconsapevolezza narrativa tale da poter prevedere ed indirizzare la possibilità che una sua singola opera venga interpretata in modo definito: che ad esempio da MAM si possa ricavare obiettivamente tutta una serie di schemi e di rapporti, cultura e natura, umano ed alieno, esterno ed interno, e così via, ad libitum. Di conseguenza, l'autore si prospetta come figura di Grande Burattinaio (non piduista, però!), capace di pianificare a tavolino lo scheletro del testo, agendo attraverso una fitta serie di riferimenti culturali. Molti racconti di IW sono infatti costruiti per dare il massimo risalto al contenuto, alle idee di base, magari baroccamente proliferanti oppure rivestite dal minimo di narrazione indispensabile per farle passare per racconti e non per saggi tecno-filosofici - concetto che forse appare un po' difficile da digerire, dopo che per anni la tentazione ricorrente della critica italiana è stata quella di dichiarare tanto più bravo uno scrittore quanto meno sospettabile di essere "scrittore di idee"-; mi pare che anche la struttura oppositiva possa rientrare in questo gioco.

Glossa a margine: il gioco a volte si fa troppo pesante, anche per chi, come IW, di solito riesce a far volteggiare e piroettare le idee come le clave di un consumato giocoliere. A parte la farraginosa spiegazione parascientifica che conclude frettolosamente MAM, in altri racconti i temi affrontati dal Nostro, specialmente in campo umanistico, evidenziano come la quantità dei concetti talvolta non corrisponda alla qualità. In un racconto come "Ghost Lecturer", apparso sull'Isaac Asimov's Science Fiction Magazine (March 1984), Lucrezio viene trasportato nel futuro per dare ad un certo Jim Roseberry l'occasione di sfotterlo un po' in Tv. Ovviamente le cose non andranno così, dato che Lucrezio provenendo da un diverso paradigma scientifico si porta dietro anche le leggi naturali pre-galileiane, ma quello che ci interessa è come IW, oltre a servirsi anche qui in modo piuttosto faticoso del meccanismo parascientifico, attribuisca ad esempio a Lucrezio un ateismo che, almeno come dichiarazioni formali, non era certo proprio né del poeta latino né di tutta la scuola epicurea (p. 51: "Jim overheard. 'For God'-s sake!' Lucretius eyed Jim with a pained expression. 'DO you still believe in gods?"'), oppure tributa a Galileo un eloquio in "medieval Italian" (p. 50) che, a parte i problemi cronologici, trascura il fatto che l'italiano letterario a cavallo tra Cinque e Seicento coincide in buona parte con la lingua oggi parlata (a differenza di quanto succede ad esempio per l'inglese di Shakespeare).

Punto secondo: se si accetta il contenuto del primo punto, bisogna allora compiere una critica radicale di tutta la cosiddetta critica neosimbolista o neotradizionalista, portata avanti specialmente da Gianfranco de Turris e dal gruppo a lui legato (più o meno strettamente). Il fatto che i cosiddetti "archetipi immortali" derivino non da una diretta insufflagione nella testa dello scrittore effettuata dall'inconscio collettivo o da simile entità astratta, bensì dal lavoro compiuto - coscientemente o meno - dal singolo sulla letteratura preesistente, mina alle basi questo modo di fare critica. Se gli "archetipi" sono in realtà qualcosa che si acquisisce solo attraverso la mediazione dei testi, nella stessa maniera con cui si impara a costruire un racconto su opposizioni natura/cultura, umani/alieni; se le vere opposizioni inconsce sono basate, freudianamente e non junghianamente, sulla mente del singolo (come è il caso, se la mia analisi è corretta, del legame 'città' + 'opera d'arte' in IW, che mi sembra non corrisponda ad alcuna eco del Sacro Primordiale), credo sia obbligatorio riconoscere la falsità dei presupposti su cui si basano simili strutture d'interpretazione. Discorso troppo grosso perché sia possibile farlo compiutamente qui. Spero comunque che anche solo questi accenni bastino a stimolare qualcuno più competente del sottoscritto, ad occuparsi della questione.

Postilla. Ad articolo compiuto, dopo aver riconosciuto la mia incapacità di dare un senso alle opposizioni profonde di IW, posso permettermi di infilare di soppiatto, in via non ufficiale, una mia ipotesi aggiuntiva di spiegazione. Che consiste nella formula 'città = opera d'arte = natura + cultura = tutto'. In altri termini, spesso le città di IW, lungi dal rappresentare un'alternativa al mondo naturale esterno, inglobano la natura: si vedano le moltissimo città "ecologiche" del ciclo di Yaleen, contrapposte non solo alla civiltà semiindustriale della riva ovest (fatto scontato in tempi di utopie "verdi"), ma anche alla giungla ostile della stessa sponda. Oppure, si può pensare alle città protettive di "Il dio sole" o di "Agorafobia, anno 2000" (racconti presenti sul già citato n. 838 di Urania); ed integrare il tutto con la ricorrente concezione watsoniana dell'opera d'arte come di qualcosa che esplicita ed immortala le caratteristiche dell'individuo.

Così (AR, pp. 99-100), "Il Reticolato si muove capricciosamente sulla Città, sezionandola in aree di due metri quadrati, irradiandone l'immagine in case raffinate, ove vengono riprodotte piatte e verticali nel posto d'onore. Sezioni di tetto, teste di folla, impronte di pneumatico, orme di piede, spazi lisci, spazi ruvidi, rifiuti, cappelli, linee ferroviarie, sassi, vetri, metalli, merde ... Non si può dire che la Città sia sporca o pulita, caotica od ordinata, naturale o innaturale. Ciascuna sezione di due metri quadri è solo quello che è, comprende in sè tutti gli altri, e un frammento di REALTÀ TOTALE. (...) La città è."






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