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Il viaggio di Ra


di Alberto Henriet


Tutto ebbe inizio quando incontrai il Cavaliere della Morte oltre l'angolo. Il muro di mattoni fuligginosi, lungo il quale stavo camminando, era violato da scritte oscene, realizzate con vernice spray di un arancione fosforescente. Distratto da queste, non mi resi conto di avere svoltato a sinistra, infilandomi in una piazza perfettamente quadrata, e il selciato era di un lucente e caldo color ocra. Mi guardai alle spalle, e mi resi conto che la piazza non aveva uscite: era uno spazio perfettamente chiuso e delimitato da alte mura di bronzo che s'innalzavano verso il cielo lontano. Lassù c'erano grumi di nubi, la lama colorata di un arcobaleno sottile ed inquietante, e un azzurro così terso e cristallino da far male agli occhi.

Mi sentivo del tutto a mio agio in quello spazio strano, e così quando il Cavaliere della Morte apparve al centro della piazza, non mi stupii né meravigliai più di tanto. Sembrava l'esito perfetto e conseguente a livello logico di un percorso inevitabile di avvenimenti nuovi ed imprevedibili.

Il cavallo era scolpito nella pietra, granito probabilmente, aveva denti d'avorio, e sogghignava; il fatto che fosse di pietra non lo rendeva meno vivo, e quindi prese ad avanzare verso di me, trotterellando spedito, ma con grazia ed eleganza. Il cavaliere non si sarebbe detto vivo dal momento che era uno scheletro umano, e tuttavia era animato da quella che avrei definita, ad una prima impressione, come una buona carica di perversa vitalità.

"La pinacoteca non è lontana," mi disse il Cavaliere. "Mi puoi pertanto seguire a piedi fin là." E detto questo fece voltare il cavallo e lo spronò nella nuova direzione, senza curarsi se lo stessi o meno seguendo.

Dal momento che la piazza aveva preso a restringersi intorno a me, dapprima impercettibilmente e poi in modo visibile ad occhio umano, decisi che la cosa migliore da fare era dare ascolto all'ordine dissimulato del mio morto interlocutore.

Mi avviai con passo sostenuto all'inseguimento del roccioso cavallo.

Nel bronzo di una delle mura della piazza, si aprì una porta di rame, attraverso la quale cavallo cavaliere ed io entrammo, appena un attimo prima che il varco scomparisse nel nulla, così misteriosamente come s'era materializzato.

Andai quasi sbattere contro le terga del cavallo di roccia, ed egli mi parlò usando un microfono bio-elettronico che era inserito nel folto della coda color cremisi.

"Tu non sei chi pensi di essere, ma qualcosa di diverso e più profondo; dal momento che mi hai seguito, meriti di conoscere la verità. I quadri della pinacoteca ti chiariranno ogni cosa."

Detto questo, microfono cavallo e cavaliere si sciolsero in una macchia oblunga di collosa vernice scarlatta, che scivolò via, infilandosi di gran fretta nella griglia d' argento di un tombino musicale.

Entrare in un cassetto per visitare una pinacoteca può sembrare una cosa singolare. Lasciai una macchia minuscola di sangue sul pomello del cassetto, e andai avanti perché ero curioso di vedere i quadri.

Mi trovai in un deserto color ocra, perfettamente piatto; e pochi metri davanti a me, erano librate per aria due colonne di rame scintillante, e su quella di sinistra era scolpita una scritta che diceva MANU.

"È il nome della soglia che ti porterà a Duat, la pinacoteca," disse il microfono bio-elettronico inserito nella colonna destra.

Improvvisamente, la luce andò via, e il deserto piombò nelle tenebre. Solcai Manu, e mi trovai con una melagrana in mano. Quel frutto era luminoso, era come se uno spirito aureo si muovesse al suo interno. Alla fine, quella macchia viva e aurea eruppe dal frutto, e si volse verso di me a mezz'aria. Era una tigre pittorica. Una viva tigre dipinta.

"Tu sei Ra, il dio-Sole," mi disse, "ed io ti guiderò attraverso Duat, il mondo dei quadri sotterranei."

"Che bello essere un dio!" pensai, e sorrisi.

Per entrare nei quadri di Duat, usai la Carne di Ra, la mia manifestazione pittorico-tridimensionale che mi permetteva di infilarmi nei dipinti. Il mio corpo restò dormiente in attesa nel retro di Manu che si chiamava Baku e da cui sarei uscito al termine del mio viaggio nel Dual.

Mi sentivo vivo e vitale, e non temevo nulla.

"Come ti chiami, tigre?" chiesi.

"Il mio norne è Mehen, Colui che circonda," rispose, e con le sue spire mi avvolse. Era strano vedere una tigre spiraliforme attorno al mio corpo.

"Entriamo nel primo quadro," disse Mehen, trascinandomi con sè.

"Per entrare, Mehen, devi dire il mio nome," richiese il guardiano della soglia pittorica, un cobra che sputava fiamme ad intermittenza.

"Il tuo nome è Lligatt," risposi tranquillamente, e il serpente s'inchino, e mi fece passare.

Mehen ed io eravamo diventati una sola entità.

Ci trovammo sulla riva di un lago di fuoco liquido. Per attraversarlo, avremmo usato la mia barca d' oro. Uno stormo di fenicotteri rosa trainò la mia imbarcazione attraverso i flutti di fiamma. Ne uscimmo indenni.

Per entrare nel secondo quadro, dovetti rivelare il nome di un altro serpente che là stava di guardia. Usai la voce di Mehen, il quale disse: "Il tuo nome, serpente, è Hereret."

Trovai il cavallo di roccia intento a camminare su un grumo di nubi di porcellana incrinata, e trasudante sangue in minuscole gocce scolorite.

Era senza cavaliere.

"Come procede il tuo viaggio in Duat, Ra?" mi domandò senza un vero interesse.

"Abbastanza bene, anche se è un po' oscuro," risposi con calore.

"Il significato di ogni cosa apparirà evidente al momento giusto, ci vuole pazienza, le cose procedono secondo il loro corso," aggiunse e poi tacque, la testa che sembrava ciondolare a caso in un arco incostante intorno al collo.

"Che cosa ne dici, Mehen, di quel cavallo?"

"Non ne dico nulla, e di quale cavallo parli?" Il cielo era sgombro di cavalli.

Sorrisi. Tutto era piacevolmente bizzarro.

Nel terzo quadro, c'era un uomo minuscolo e completamente nudo, senza genitali e dalla pelle scarlatta, abbracciato ad una spiga dorata.

"Ra, mio signore, proteggo il raccolto sacro per te."

"Grazie," dissi. occorre essere educati. In ogni circostanza. Tenni la bocca aperta, e vi vaporizzai dentro qualcosa da un'ampolla azzurra. Avevo la gola secca.

Nel quadro numero quattro, c'era una gran confusione, come se fosse giorno di mercato. Le croci venivano innalzate e presto incendiate quando i corpi degli agnelli spellati erano stati là inchiodati con cura.

Uno scriba ammantato di porpora e dalla testa di metallo mi porse un papiro. lo dispiegai e lessi alla luce della mia luminosa melagrana. "Il game-pod funziona male, potresti avere dei problemi in qualche quadro di Duat, fai attenzione ... "

Il game-pod? Mi chiesi mentalmente; sembrava che dovessi saperne qualcosa, ma non capii, e non mi venne in mente nulla.

E poi ebbi un lampo di consapevolezza inconscia, e urlai a squarciagola: "Il VIAGGIO DI RA ... Pausa!" e la luce mondò con violenza il mio campo visivo.

Ero a letto. Il mio game-pod bio-elettronico pulsava nelle mie mani, sotto la punta calda delle dita. Il bio-cavo che mi univa al gioco virtuale era surriscaldato. Lo staccai dalla mia bio-porta.

Il VIAGGIO DI RA è davvero affascinante come gioco virtuale, però devo portarlo a revisionare. Non si può scherzare con la realtà virtuale. Misi via tutto quanto, e tornai a distendermi sul letto. Nuovi sogni mi attendevano, visioni oniriche temporaneamente sostitutive dei miei giochi virtuali.






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