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Il giorno in cui si ruppe la diga (2ª parte)


Forse sono stati gli sheet dell'Ohio ad avvicinare così tanto Mildred a me. Senza di essi tutto avrebbe potuto essere così strano per me che sarei ritornata di corsa urlando verso superfici levigate, verso l'informazione al contatto.

Lei e Don vivevano nella casa della madre di lei. Una casa a tre piani con l'intelaiatura bianca con pavimenti di quercia che pendevano. Le fondamenta erano circondate da cespugli di rose che avevano raggiunto la maturità quando Mildred era una bambina; li curava con molta attenzione ed essi producevano boccioli sfioriti che riempivano la casa con colore e fragranza dalla primavera all'autunno.

Mi dava mazzi spinosi per la mia stanzetta sulla quinta strada, una stanza con soffitti alti e un'apertura di ventilazione per vapore e calore, assolutamente diversa da qualsiasi altra cosa nella cupola.

Tutti e tre ci facevamo visita a casa di uno o dell'altro la sera e ci cucinavamo e avevamo la stessa visione, pensavo, nel combattere l'epidemia. Tranne che avevamo discussioni infinite sul modo migliore di farlo. Don trovava difficile credere nell'inoculazione. Da parte sua non è che la cosa fosse completamente irrazionale, ma era l'unica soluzione provvisoria che avessimo. L'isolamento, ciò che stavano provando a Columbus, era semplicemente impossibile. Mi tollerava perché sapeva che doveva farlo. A volte lo scoprivo a fissarmi con un'espressione indecifrabile dopo un qualche scambio particolarmente acceso. Non trovavo la cosa per niente piacevole. Ma stavo cercando di forgiare una qualche connessione con lui in quanto era il mio collegamento coi suoi pazienti. Forse aveva mal interpretato i miei tentativi.

Stavamo seduti in cucina con ampie finestre spalancate sui profumi del giardino di erbe che lottava per affermarsi e sui passi di pedoni a casa mia e sull'odore dolce e pesante di rose da voi, e combattevamo su come avremmo salvato coloro che legalmente rifiutavano gli antidoti. Voi, gli esempi medici per la comunità, lo avevate fatto entrambi. Inspiegabile più che strano, pensavo, e mi sforzavo di arrivare a voi in qualche modo. Anche se la mia visione era spesso scombussolata da quei disegni buffi dalle linee arrotondate, alcuni dei quali a volte mi parlavano, posso dire che non erano reali; sono certa che Don fosse spiaciuto per il fatto che io non fossi stata resa invalida in modo serio. Per quanto poteva dire, gli sheet non avevano funzionato per niente, e invece avevano funzionato. Per me rientrava tutto nella categoria Avere A Che Fare Coi Nativi.

Come ho detto, misi su il mio nano laboratorio e dai miei semi preziosi iniziai a sintetizzare gli antidoti a tutti i possibili disastri che erano stati identificati. Li crescevo come cristalli, che si conservano bene, e mi era stato detto di usare ciò che mi circondava e così costruii un grosso ripiano di assi di quercia, le piallai e le tinsi, ridacchiando ogni tanto sul prozio di Thurber, l'unica persona che era morta per la ruggine del castagno. Non ne aveva saputo molto lui, ora probabilmente la gente poteva proprio morirne.

La madre e la nonna di Mildred avevano ammassato i barattoli in cantina per le conserve, colorati di verde pallido con le lettere "Balls" che si allungavano da una parte, e io ne riempii un centinaio e li sistemai accuratamente. Una volta ogni tanto Don si fermava e io gli mostravo con fervore i miei programmi che avevo portato con mezzi diversi (dischi, cristalli, sfere) e fortunatamente là avevano un computer che andava a cristalli, così dopo aver messo tutto in funzione gli spiegavo in qualche dettaglio la biochimica di tutta la cosa. Il fatto di trovarlo cosi indifferente mi sorprendeva e comunque pensavo che fosse perché erano cose che lui doveva sapere, di già. E lui le sapeva, naturalmente: ne sapeva abbastanza tanto da preparare gli sheet ma la cosa non richiedeva tante capacità, in gran parte erano auto-interpreti. Comunque faceva mostra di ignoranza, dicendo di essere troppo occupato con le regolari emergenze mediche della comunità per dedicarsi come si deve allo studio delle nano-epidemie ... questo era il motivo per cui, lui diceva, era contento della mia presenza. Diceva lui. Rimaneva sempre stranamente lontano da me ed evitava qualsiasi contatto. Questo lo notavo e questo non mi disturbava, tranne che spesso i suoi occhi erano addolorati e stoici, come se un elefante si fosse posto sul suo piede e sarebbe stato di cattivo gusto fargli notare la cosa.

Tenevo i backup in luoghi diversi per la città, naturalmente: l'attico di un vecchio palazzo di una banca che aveva una porta blindata che tenevo accuratamente chiusa; gli scantinati di una vecchia pensione in cui vivevo, con un divertentissimo signore anziano, Keefer, che viveva al piano di sopra. Non venne mai a mangiare con noi, anche se lo invitavamo spesso, e non avrebbe mai toccato i nostri avanzi deliziosi.

Ci incontravamo inevitabilmente in cucina di mattina. Fumava sigarette (coltivava lui stesso il tabacco e lo vendeva) e aveva una tosse secca. Gliela potevo curare gli dissi, innocentemente, il secondo giorno e lui si fece pallido e la tazzina del caffè gli sussultò tra le mani. Se ne andò costeggiando attentamente il tavolo e fuggì dalla stanza appena arrivato in vicinanza della porta. Mi ci volle una settimana per farlo tornare assieme a me nella stessa stanza e lo rassicurai facendogli capire che mi era vietato usare dei nano su chiunque non fosse consenziente. Gli dissi, comunque, di tenersi alla lontana dagli scantinati e per Dio lo fece. Supponevo di dover stare molto attenta con tutti quei nano anche se erano tutti curativi, lo sai, era qualcosa che quella gente avrebbe dovuto avere per trattenerli dal prendere l'altra roba; era come mettere sotto chiave le vitamine, ma io prendevo il mio contratto seriamente in quanto erano possibili delle mutazioni se si fossero mescolati in modo sbagliato.

Una volta alla settimana andavo a piedi o in bicicletta lungo una vecchia statale deserta fino alla diga e prendevo dei campioni dell'acqua chiara e profonda. Durante l'inverno mi portavo un'ascia per spaccare il ghiaccio. Sotto alla diga, che era vecchia, provavo sempre paura di quella V di cemento torreggiante, perfettamente curva per controllare la pressione e l’acqua piena di epidemia in cui gli assemblatori avevano tempo di lavorare attraverso i loro limiti e scadenze prestabiliti mentre si mantenevano in una serie di chiuse. Le epidemie venivano essenzialmente dalle piogge in quei tempi ed erano virulente solo per un periodo di tempo breve, di solito poche ore, a volte dei giorni. Non scoprii nella prima chiusa niente contro cui non avrei potuto trovare un antidoto. In una emergenza non avrei esitato ad amministrarne uno. Se avessi trovato un nuovo virus, avrei creato un antidoto. Sarebbe stato interessante. Di nuovo come a scuola. Ma non trovai niente. Dopo una pioggia trovai qualcosa abbastanza pauroso, l'Infezione Fascista, con una concentrazione sette. Ma era sparita prima che si fosse riempita la seconda chiusa.

Don chiamava stupidi la popolazione normale di Columbus e pensavo che fosse scorbutico a quel tempo, ma aveva ragione. Ho quasi paura che una compagnia di Stupidi mi trovi, mentre vado per la montagna, e mi prenda, ritenendomi una rappresentante di coloro che hanno causato tutti questi problemi. È per questo motivo, prendetene nota Stupidi (non che ci sia un qualche pericolo che raccogliate la cosa), che sono bene armata, con delle intenzioni che vanno ben al di là dei vostri sogni ignoranti. La mia arma è il mio cuore, l'ho già detto? Posso infondervi con tanti di quegli inforam che abbandonereste all'istante i vostri vecchi scopi e sogni, il che è la paura più grossa per gli Stupidi: cambiare. Mi spiace. Sono tutt'altro che gentile. La mia compassione è scivolata via, suppongo, o forse è proprio l'essere una persona anziana.

A Columbus si ammalarono veramente; il mondo li fece ammalare. Fui sorpresa nello scoprirlo anche se mi avevano messo in guardia a L.A.. Non avevano immunità per le nano-epidemie e mancavano dei recettori, cosicchè non potevano vivere nelle città fornite di cupola o anche crearsi una rete da uno dei nodi ancora funzionanti sparsi per il paese, solo per le notizie o cose simili. Legalmente non potevamo dare loro recettori senza il loro consenso informato. Loro non avrebbero acconsentito, anche se feci alcune conversioni: un ragazzotto che prese la magrail per L.A. subito dopo, una vecchia signora molto tranquilla che fu uccisa da una banda di giovani religionisti quando la scoprirono (l'incosciente glielo disse, standosene in un angolo della strada, mostrando le glorie dell'inforam dopo i suoi lunghi anni bui).

La piccola comunità rimase scioccata, si assemblò un gruppo di vigilanti per reazione. I religionisti scapparono, naturalmente, ma avrei desiderato ammazzare tutti quei giovanotti e signorine, o, orrore degli orrori, mettere loro degli sheet. Senza il loro consenso. Si, pensa pure che sono orribile. Lo ero. Lo sono ancora. Suppongo d'essere stata fortunata per via del fatto che i cittadini non si rivolsero contro di me, allora, ma non credevano che avessi obbligato nessuna delle due persone. C'era un salutare rispetto per un individuo laggiù, precisamente perché temevano tanto i nano.

Thurber era su di me e spesso ridevo istericamente per una o per l'altra delle sue vignette narrative proiettate attraverso di me. Un giorno nel fare esami medici mi ritrovai con Thurber durante le Giornate di Leva, allorchè fu chiamato erroneamente ogni settimana per essere esaminato per il reclutamento per la prima guerra mondiale e, alla fine, stanco, finse di essere un dottore. Senti un orologio che qualcuno aveva ingoiato; ho sentito il dolore dell'estinzione battere all'interno di ognuno dei miei poveri cittadini orgogliosi di Columbus, che rifiutavano l'inoculazione nonostante le piogge mortali che recavano la sola forma virulenta delle nanoepidemie; perdevano di potenza dopo essere giunte a terra. Tutti rimanevano all'interno se c'era solo probabilità di pioggia. Evitavano le maschere filtro, e perché no? Una goccia sulla pelle poteva essere sufficiente. Devi comprendere. Tutti coloro che credevano veramente nella potenza delle epidemie se ne erano andati da tempo, verso le città nelle cupole, e quelli rimasti in massima parte ignoravano il problema, con la stessa facilità con cui molte persone avevano ignorato la minaccia nucleare, il buco nell'ozono e la distruzione della foresta pluviale.

Penso che Thurber fosse un isterico, come me. O che mi ci fece diventare. Quello che voglio dire è che aveva quel forte senso dell'assurdità di ogni cosa che la maggior parte delle persone sembra non avere per niente. Mancano di immaginazione: mancano del potente ingrediente emotivo dell'isteria.

Perché, senza l'isteria, senza quella pazza risata che non faceva rumore sarei potuta morire io stessa, là con Don, con ... Mildred? Mildred, sei Tu? Sul serio, non mi importa se non avremo bambini. Se Tu sei Mildred, era un'idea stupida. Mi mancano gli strumenti per una cosa del genere qui anche se possiamo benissimo cercare se tu sei minimamente interessata. Se ci sono ancora delle cupole, possiamo trovarle, e preoccuparci delle cose laggiù.

Mildred, quando e se ti sveglierai, se tu ti sveglierai, e sopravviverai (in questo posso aiutarti, se non lo fanno i programmi) saprai, dovrai sapere, che io sono dovuta partire. Non potevo restare per aiutare; ho stracciato il contratto per salvarmi la vita. Ma non dare la colpa a Don per tutto questo. Se Don non mi avesse deliberatamente dato gli sheet sbagliati non sarei riuscita a cavarmela come ho fatto. Ma Thurber e Forts sull'Ohio River contro cui gli indiani hanno lanciato invano le frecce mi sono fluiti dentro, scrollando le mie convinzioni su cosa stava accadendo. I miei recettori da pioniere annusarono il pericolo e mi spinsero fuori di città. Dissero che l'elettricità esce fuori dalle prese e che il letto sta cadendo, sta cadendo sul serio. E realmente stava cadendo.

Mi ricordo del primo giorno nella clinica in cui fui realmente capace d'essere d'aiuto.

Ted Schneider spalancò di colpo la porta e spinse dentro sua madre per il braccio. Era solo un ragazzo, e il suo viso minuto e pallido appariva più disperato del solito. Apparivano tutti disperati una volta arrivati alla clinica, prima che li prendesse l'epidemia neppure i cavalli selvaggi li avrebbero trascinati dentro. Quella è una cosa che avrei potuto fare meglio, educarli sulla natura dell'inoculazione.

Se avessi avuto più tempo .... stavo solo all'inizio. Un piccolo frammento di nano-epidemia, poche molecole speciali da far scorrere nel tuo cervello, attaccare i tuoi organelli, bloccare manualmente cose peggiori. Cose che ti fanno pensare che puoi violentare e uccidere, o che lo sporco è delizioso. Cose arbitrarie di questo tipo, alcune più sofisticate di altre, tutti pensieri che invadono il cervello col potere della religione.

Comunque, a questo livello si è trattato di una modificazione di comportamento su scala enorme. Il livello di fede che fa concordare la gente sul fatto che una guerra particolare sia necessaria, per esempio.

Che proteggere la pratica di una religione che preghi l'amore e il perdono sia necessaria per commettere il genocidio. Quello era il tipo di cose contro cui mi trovavo là per fare l'inoculazione. Si trattava di un ballo complesso che stavo cercando di portare avanti e non posso biasimare la popolazione di Columbus per essere del tutto sospettosa nei miei riguardi e di quelli come me. Naturalmente le tue infezioni mortali regolari, tumori di ogni tipo, febbri deidratanti che uccidevano dopo settantadue ore: ... cose di questo tipo, erano anche totalmente possibili e la loro prevenzione faceva parte del pacchetto di base di immunizzazione. Solo che era molto difficile per quella gente credere che ciò che aveva ucciso poteva anche curare. Non erano ignoranti e non erano neppure idioti, era solo che ne avevano passate troppe e avevano deciso che era meglio morire piuttosto che credere ad un qualsiasi tipo di emissario ufficiale.

Fino a che non accadeva a loro.

In quel caso erano felici che ci fossi.

L'immunizzazione funziona, anche se in modo imperfetto, ma in uno stato che non sia totalitario questa interferenza richiede un permesso. Questo faceva parte di ciò che si supponeva facessi, educare, ma io avevo realizzato da molto che la mia missione era stata sabotata una volta che ero entrata tanto ingenuamente dentro quel bozzolo. Non penso neppure che Don considerasse attentamente cosa fare.

Rimescolare l'interloper. Frugare fra le scorte a disposizione e dargli (o darle: sorpresa, Don!) qualcosa a caso per mettere fine all'informazione richiesta. Probabilmente non aveva nessuna idea su che cosa rappresentasse lo sheet di Thurber. Era semplicemente casuale. Forse, considerando la paura per gli sheet che aveva ereditato, pensava che sarebbe stato sufficiente. Sufficiente a far apparire il nuovo dottore stupido e incapace. Forse aveva ragione.

La signora Schneider era alta e piuttosto bella, con capelli lunghi color grigio acciaio, anche se era vestita in modo dimesso in quanto questa gente non poteva permettersi molto e pretendeva di non voler niente che fosse anche remotamente connesso con i nano, come per esempio vestiti economici. Il baccano ininterrotto dei cori dai soliti cinque o sei dimostranti riempì la stanza prima che Tad chiudesse la porta. Tad, quindici anni (sapevo il minuto, l'ora, il giorno della sua nascita il momento stesso che gli strinsi la mano) con capelli marroni tutti arruffati e la magrezza sorprendente della gioventù, guarda in giro per la stanza come se avesse superato le porte dell'inferno ed io, nel mio camice bianco inamidato, fossi il diavolo. Allontanò subito la sua mano dalla mia.

"È lei," disse e scosse la testa. Le lacrime si raccolsero nei suoi occhi, tremava. Mildred uscisti fuori di corsa per offrirgli una Coca, lui rispose di no e la madre disse, "Bevila," e lui la bevve.

Lei si voltò verse di me e disse, "È vero, è successo a me. Qualcosa di terribile. Quanto ho ancora?"

"Dobbiamo fare dei test, signora S," dissi, anche se una volta che le strinsi la mano ebbi una idea sufficiente dei parametri generali. "Vuole firmare per favore dei moduli di assenso?"

"Con piacere," disse e iniziò col sedersi su una sedia di plastica tutta graffiata sotto un impianto di illuminazione che mancava di un bulbo. Mildred stava cambiandolo. Vidi chiaramente una cascata di piccole scariche elettriche di colore giallo che cadevano sulla testa della signora S. dalla presa vuota. 'perché non si siede là?" chiesi e la spinsi verso l'altro lato della stanza.

"Stia lontana. Mozzico, lo sa," disse.

"Lo capisco," dissi e fu più amichevole dopo di ciò, anche se non sono sicura che mi credesse.

Aggrottò le ciglia sopra il suo lavoro e osservò un paio di volte la mana che teneva la penna in modo interdetto, come se si chiedesse come funzionava. Digrignò i denti mentre firmava bruscamente le carte e me le allungò. "Si sbrighi, per favore," disse. Tu, naturalmente, lo sai cos'erano le Epidemie di Metà Secolo, ma per un ascoltatore occasionale devo spiegare: c'erano delle epidemie precedenti. Epidemie di pensiero. Epidemie di atteggiamento. Queste epidemie attingevano a radici biochimiche, neurologiche e ferormonali simili. Attingevano e giocavano con noi umani inermi così come la malaria causa sudore e morte.

Tad e sua madre temevano questo e con ragione. Temevano allo stesso modo l'inoculazione ma avevano realmente la tremarella. Potevo centrarli e lo feci, avevo l'inforam preciso in laboratorio. Ci volle quasi un'ora a fare i test e ad adattarli leggermente e li inalarono (Tad era stato esposto, l'aveva contratta nella stessa tempesta anche se non presentava ancora sintomi) e tutto andava bene. Non feci scherzi, non cambiai le loro emozioni o la loro intelligenza anche se avrei potuto farlo in modo facilissimo. Diavolo avrei potuto inoculare l'intera dannata città nel giro di ventiquattr'ore ma credevo nella legalità allora e nella libertà di scelta. Ci credo ancora. Hai libertà di non venire se do anche il minimo accenno di sospetto. Sono sola ma questo non vuol dire che devi venire per forza, anche se potrebbe salvarti la vita.

Preferirei morire qui con I.G. e Mildred il Bufalo Acquatico e il Nonno e Peter Johnson piuttosto che ti si costringa a venire.

Don venne nel mio laboratorio quel pomeriggio. Si faceva scuro presto quei giorni, era di dicembre.

Stavo a Columbus da sette mesi. Prendevo appunti sul mio computer. Era solo il mio terzo caso. Ero soddisfatta. Speravo che avrebbero iniziato ben presto a credermi. Avevo contrattato di restare solo per due anni, ma non avevo nessuna intenzione di partire, mai.

Don mi fece sobbalzare; mi voltai al suo scalpiccio. Di solito bussava.

"Tad di sicuro è riconoscente," disse, e nell'oscurità non riuscivo a decifrare il suo viso, lontano circa sei metri. S'era fermato.

"Vieni avanti," dissi, "Siediti."

Non si mosse. "Siamo solo un esperimento per te, non è vero? Non siamo gente reale. Siamo una specie di manufatto che sei venuta a studiare. Non puoi immaginare di essere indipendente dal tuo sistema completamente pazzo."

"Per prima cosa, non l'no inventato io questo sistema. E lei ha firmato l'assenso, se e quello di cui stai parlando."

"Non capisci," disse.

"Guarda," dissi alzandomi. "Non ho fatto niente per intromettermi nella tua comunità. Niente di niente. Non ho iniziato neppure i miei programmi educativi, secondo la tua richiesta, e a quanto pare sarebbe stato meglio se l'avessi fatto. Per fortuna ora sono qui, ma potrei insegnarti o, anche meglio, insegnare a Mildred a farlo. È semplicemente un lavoro da tecnico medico. Ho preso un goccio di sangue della signora Se ... "

"Signora Schneider."

"Ma tu ... tutti la chiamate ... "

"È stata la mia maestra," disse.

Rimasi silenziosa per un attimo poi feci, "È proprio spaventoso, non è vero?"

Non disse nulla.

"Mi fa veramente piacere d'essere stata qua, di essere riuscita ad aiutarla ad uscirne fuori," dissi. Mi sentii subito in colpa, un pochettino. Bloccava la porta. "Perché sei tanto arrabbiato, Don?"

La sua voce si abbassò fino a sospiro. Non riuscii quasi a sentirlo. "Forse perché non potevo aiutarla io." Penso sia ciò che disse. Poi il vano della porta era vuoto.

Posso insegnarti, pensai. Rimasi tra i miei barattoli, aguzzando la vista alla luce dello schermo del computer. "Guarda," dissi, parlando al mio studente inesistente. Mi diressi verso lo scaffale, strizzai gli occhi nella debole luce e lo trovai. Dissi, "Ecco la roba, ecco il B-7892, che ha curato la signora Schneider, la tua maestra. È già mezzo replicato; i nano attivi sono verdi, vedi, Don; la soluzione di crescita è bianca. Ho replicato un fusto di soluzione di crescita la settimana successiva al mio arrivo; è laggiù nell'angolo. Se non mi odiassi tanto sapresti un milione di volte di più di questo semplice fatto."

Andai al mio schermo. Toccai alcune barre; feci andare i progressi. "Vedi? Secondo le mie stime migliori, questo è estrapolato dal suo campione di sangue, lei si sarebbe messa ad abbaiare nel giro di dieci ore. È un classico. Posso rintracciarlo fino ad Atlanta nel 2014. Uno degli scherzi macabri dell'epidemia. Tad ha detto che aveva già morso la zampa di una sedia quando le si è fatto sopra nella sala, il davanti del suo vestito era bagnato di lacrime, aveva gli occhi spalancati per il terrore. Vedi, è quello che ho scritto nelle mie note, solo quello che mi ha raccontato." Toccai un'altra barra ed è quello che disse lo schermo, solo in un modo più tecnico. "So che tu non pensi sul serio che sarebbe accaduta una bella cosa alla signora Schneider. Non è vero, Don?"

La stanza ora era proprio buia ed io rimasi là per un bel po' da sola, senza fare niente.


Che dire della madre di Don? Ci avevo pensato. Aveva ammazzato il fratello di Don e aveva puntato la pistola su Don, che a quel tempo aveva solo tre anni, quando una vicina bussò alla porta. La madre di Don con molta cura posò la pistola sul tavolo delta cucina, passò sopra al corpo del figlio morto e andò ad aprire la porta. Don iniziò a urlare e corse fuori una volta aperta la porta. La vicina guardò dentro, afferrò coraggiosamente Don e scappò. Udì il colpo che ammazzava la madre di Don all'incirca un minuto dopo, alla distanza di un mezzo isolato. Il padre di Don era morto due anni prima di una qualche nano-infezione.

All'orfanotrofio Don fu trattato con tutte le cure, era un bambino sveglio e avevano bisogno di dottori.

A quel tempo, prima della terribile Terza Ondata, l'università era ancora intatta e con le buone o con le cattive Don prese la laurea senza dover mai lasciare la sua città natale. Ma, in qualche modo, questa era anche la mia storia.

Quando Mildred mi raccontò la cosa una mattinata che accecava per il biancore mentre stavamo passando attraverso i cumuli di neve per andare all'ospedale. rimasi folgorata.

"Che storia terribile," dissi.

"Si, lo è proprio." rispose.

Naturalmente tutti in città pensavano che, medicalmente parlando, fosse il cacio sui maccheroni (come una delle prozie pazze di Thurber avrebbe detto), il Dottor Don, Superman. Con un tecnico in medicina accanto, Mildred, avrebbero salvato la città. Ma la loro città si trovava in una Area di Necessità, non certo una novità per loro, esattamente, ma una categoria che sconfinava nell'assurdo per quanto li riguardava. L.A. aveva anch'essa un sacco di Necessita, no? Ha, ha, pensavano, immaginate qualcuno da quelle cupole che viene ad aiutare noi. No, no, pensava Don, non abbiamo bisogno di nessun altro qui, all'infuori di me, il Superdottore! E della fedele Mildred, anche se naturalmente c'è veramente poco che non possa sistemare io da solo, pensava Don. Ora lo so questo, allora no.


Benissimo. Concretezza. Sono d'accordo. Obbedisco. Ecco:

La neve era alta a Columbus, quell'inverno, e io era deliziata. La neve era una favola che diventava realtà, Non avevo mai visto prima la neve e dopo di Novembre non è più scomparsa.

Nevicava mentre scendevo a piedi lungo Front Street col mio fardello di pane appena cotto. Fine inverno, una tempesta d'Aprile; tutti quanti che si lagnavano ed erano depressi, ma non io. La ricordi, Tu?

Facevo da sola il pane. Ridevi, non è vero, chiedendomi se non prendevo i nutrimenti solo da tubi o da una parete del cibo alla città fiore di L.A. come se avessimo abbandonato tutto ciò che era importante nel convertirci.

La neve fredda e umida mi puntinava il viso. Ancora non comprendevo il fascino che provavo per certe strade. Pensavo che mi attraessero i rami alti e scuri senza foglie degli aceri contro i lampioni antiquati, ma in realtà era La Strada Dove Viveva Lui, Thurber, cioè. A dire la verità c'era un drugstore aperto per tutta la notte in quel posto, ma chiuse quando Jat Thatcher decise di chiamarlo un night. Stava aperto per tutta la notte solo se lei si ubriacava e suonava della musica ad alto volume e chiunque arrivava sapeva di non poter contare sulle pillole. Una volta era stato un luogo dove andavano gli scrittori per un po' a lavorare, in quella che era la casa di Thurber, cioè. Ma la misteriosa attrazione del Luogo era su di me con forza, come se fossi Thurber, da fanciullo, dove tutti i parenti sono eccentrici ed eccitanti ed è per questo, supponevo, che io ridessi così spesso. Non credo che Thurber lo facesse, realmente, di ridere tanto voglio dire, in quanto la gente che può farci ridere è spesso fatta di brontoloni arcigni nella vita reale, ma non ne sono molto sicura. Forse se lo teneva dentro e lo intensificava, come lo sperma che si suppone torni ai centri spirituali nello yoga tantra. Forse questo è il segreto della gente che può far ridere gli altri.

Sono una fonte di informazione, no?

Il mio viso pungeva per via del vento freddo quando incontrai l'aria calda dentro la tua cucina.

Pensavo a voi due come ad una persona, anche se nelle vostre menti ciò non era vero, anche se credo che tu stessi rendendotene conto. Ed io ero il ponte involontario tra l'allora e questo adesso proprio strano. Cos'è l'adesso per te, mi chiedo? Sono curiosa. Dimmelo.

Mildred, tu eri diversa da chiunque altro avessi conosciuto a L.A. Terrena. Connessa. I tuoi occhi erano blu e sorridevano, tranne quando Don si rivolgeva bruscamente a te. Allora si scurivano. Verso la fine ci vidi della rabbia autentica anche se non avevi idea su come esprimerla.

Quella sera la cucina odorava di pomodori estivi e di aneto e di basilico tirati fuori dai barattoli. Una pentola d'acqua bollente creava il vapore sui vetri. Due bottiglie di vino fatto in casa da un paziente erano state stappate. "Vigneto Jefferson" ci lessi; la signora Jefferson aveva decorato la propria etichetta con l'approssimazione di un grappolo, ma l'inchiostro s'era sciolto con la condensa. Tre cucciolotti bastardi piuttosto grossi allungavano le zampe sopra la tavola che li teneva nell'angolo, la madre era fuori a fare una corsa. Mildred me ne aveva promesso uno. Li accarezzai tutti con la mano libera ed essi si contorsero e si rallegrarono di piacere.

Posai il pane, appesi il cappotto e versai un po' della delizia della signora Jefferson nella tazza da caffè. Non hai idea quanta fossi felice con voi due. Forse eravate i genitori che non ha mai avuto, chissà.

"Sa un po' di ferro, non trovi?"

Mildred mi prese la tazza e fece un sorso.

"Si," rispose.

"Come l'acqua da un pozzo minerale proprio profondo," dissi, non per niente dispiaciuta che il vino facesse echeggiare i suoi elementi distintivi, anche se poteva essere che la signora Jefferson invecchiava il suo vino in botti di ferro.

"Ci porti sempre in giro, eh, Piccola Signorina Dottoressa Di Città!" disse Don in modo piuttosto selvatico, pensai, dall'angolo della cucina dove stava tagliando le cipolle. Sbuffò e sbattè gli occhi ma preferì continuare a tagliare. Taglia taglia. Taglia taglia. Una bottiglia di vino semivuota gli stava a fianco.

"Non volevo dire …" dissi, ma poi lasciai andare. Mildred lo fissava con una espressione sorpresa.

Ancora non si rendeva conto che spesso era solo scortese perché quando la trattava a quel modo non riusciva neppure a capirlo.

E non so perché scegliesse quella notte per mettermi contro la dispensa, quando Mildred uscì sul portico di dietro a chiamare il cane, cinque minuti dopo, per dichiarare la sua passione per me e per cercare violentemente di baciarmi.

Mi mise le braccia attorno e mi sussurrò nell'orecchio "Non sapevo che sarebbe venuta una donna. Non sapevo che saresti stata tanto bella." A questo risi. Mi ignorò e continuò. "Mi spiace. Mi spiace di aver fatto cadere il letto. Lascia che ti aiuti ad uscirne. Posso riportare tutto indietro. So più cose di quante tu non creda, sugli sheet, comunque. Forse non lo sai esattamente, forse non puoi. Mildred ed io ... avevamo dei problemi e temevo che con l'arrivo del nuovo medico ... è per questo che rimasi così sorpreso quando ti vidi, ma era compito di Mildred di portarti agli sheet e lei non sapeva che li avevo cambiati per renderti pazza e che posso dire? Solo dopo ho guardato per vedere che cosa ti avevo dato; avevo solo tirato fuori qualcosa in mezzo al panico quando avevamo saputo che il tuo treno era realmente sopravvissuto. Ti odiavo prima che arrivassi. Pensavo che avresti preso il mio posto qui, che tutti avrebbero capito che riuscivano a cavarsela senza di me. Non sapevo che saresti stata ... tu. Julia, mi spiace tanto, amore" e mi strinse e fu allora che sentii i tuoi passi sulle scale del portico e ancora mi rimproveri di essere confusa? Oltre al fatto che era stata intenzionalmente e nanotecnologicamente confusa? Potrai mai perdonarmi per non aver detto nulla, e intendo proprio nulla, non credo che abbia detto due parole durante la cena o abbia mangiato due bocconi. Gli sheet? Il letto che cadeva, come lo sentivo cadere spesso di sopra mentre mia madre (cioè la madre di Thurber) urlava che il letto doveva almeno cadere su Papà. Che diavolo? Come faceva a saperlo? Ricordo di averlo fissato mentre si pressava contro di me e senza parole lo spinsi lontano e corsi via dalla dispensa mentre entravi col cane, coi capelli brillanti per la neve. Ricordi come ti ho guardata? Ti ricordi che Don disse, "Bene, mangiamo allora!" e iniziò immediatamente a buttare i nidi di pasta alla carota nella pentola? Ti ricordi che me ne andai presto? Mi ricordo quanto ti mostrasti delusa e come mi fissava lui per tutta la cena, col timore naturalmente di cosa avrei potuto raccontarti. Ero arrabbiata, piena di bile e lui lo sapeva. Di sicuro si immaginava che non avrei resistito molto senza raccontartelo. Ciò che avevamo, la nostra amicizia, era durata solo dieci mesi o poco più. Eppure mi aveva dato una vita intera di ricordi, ricordi su cosa siano gli esseri umani reali, che possono essere ... cosi interessanti, così divertenti (lo dico nel modo più rispettoso, vorrei che capissi, perché devi realmente conoscere qualcuno, credo, per essere realmente divertita da lui. Forse questo è amore, o almeno una grossa porzione.)

Mildred, non posso spingere questa storia nei canali adatti. Pensavo, mentre scivolavo lungo le strade buie e piene di neve, ora cosa direbbero quei sociologi? Dovrei raccontarlo a Mildred, e lasciare che si azzuffino? Mi biasimerebbe, anche se non ho fatto niente, per quanto ne posso dire, per provocare una confessione di questo tipo? In quel momento mi resi conto quanto fossi importante per me, Mildred, e quanto sarebbe piatta la mia vita a Columbus senza la tua brillantezza. Ripensavo a quel pomeriggio dell'autunno precedente quando ti tenevo mentre singhiozzavi, dopo un incidente in cui Don era stato particolarmente meschino e se n'era andato da casa, sbattendosi dietro la porta. Sentivo il bisogno di qualcosa ... ed ebbi paura e lasciai che le mie braccia perdessero tensione. Tu ti ritirasti e mi guardasti in modo così diretto e mi baciasti con forza, poi ridesti, ti voltasti verso il lavabo e ti buttasti l'acqua sul viso.

Poi riempisti un bicchiere di vino per tutte e due sui bicchieri di cristallo di tua nonna e ce ne andammo nel giardino dell'autunno morente sotto gli aceri ardenti e ci sedemmo sulle seggiole di ferro, stranamente in pace, felici, connesse, complete.

Ci sono persone la cui sola presenza ti rende allegro. Non ne avevo incontrata nessuna prima. Dopo quel pomeriggio ogni giorno in cui non ti vedevo non poteva essere così luminoso, anche se non ci toccammo mai più non faceva differenza. Non ero l'unica a provare questa cosa, mi resi conto mentre ti osservavo al lavoro coi tuoi amati concittadini, coi bambini, con persone anziane prossime a morire. Tutti la provavano.

Suppongo che anche Don se ne rendesse conto, dopo lo scontro, nel riflettere, quella notte, ripulendo il mio piatto intatto di pasta alla carota e buttando via il mio bicchiere di vino della signora Jefferson. Almeno si suppone che qualcosa in linea con queste cose gli passasse per la mente. Quando arrivai a casa ero esausta. Non riuscivo neppure a pensare. Andai a letto.

La mattina dopo mi alzai e ancora non sapevo cosa fare. Presi il caffè con Keefer che tossiva in modo secco a tutto spiano. Di certo apparivo distratta. La neve era alta più di un metro, ma si andava sciogliendo. Guardavo fuori dalla finestra e pensavo. Vidi Don che passava, portando una grossa sacca.

Niente di insolito, semplicemente in cammino verso l'ospedale.

Mi chiesi poi, guardando fuori attraverso le tende bianche, se per caso non aveva contratto qualche tipo di epidemia. È quello che direbbe Mildred, sbuffai nei miei confronti, aveva sempre una scusa per coccolare Don. È ciò che le direbbe anche Don.

"Cosa?" chiese la signora anziana.

"Niente," risposi. "Non ho detto niente." Mi alzai per prepararmi per andare all'ospedale. Di colpo mi sentii molto in ansia per i miei vasi di cristallo e per il mio computer.

Quando vidi che i miei ripiani. erano stati violati che cosa feci? Niente. Mi trattenne il sentirmi divertita, come se mi ritrovassi in una delle storie di Thurber ed attendessi di vedere cosa poteva succedere, di modo che avrei potuto raccontarlo di nuovo in maniera comica così da far ridere tutti. Non come sono solita fare. Era una sorta di pesantezza, una distanza. Erano cose buone, dopotutto, barattoli e barattoli di cose buone contro l'inverno furioso delle epidemie. Nella loro forma pura. Se nessuno si fosse messo ad armeggiarci o a mischiarle.

Che fortuna per Don, la mia reazione Voglio dire nel breve termine.

Dopo di ciò non ero sicura su cosa fare, ma la freddezza degli occhi di Don quel giorno, quando ci capitò di incontrarci nell'ufficio di Mildred, mi mise paura. Veramente, mi impaurì. Pensai alla Nonna demente di Thurber, che ancora credeva che stesse combattendo la Guerra civile. Don è pazzo, pensai.

Illuso. Penso che fosse un effetto collaterale proprio brutto di quegli sheet di Thurber, creava categorie convenienti in cui poter sistemare la gente, basandosi su similitudini minimali.

Ma nei termini del problema da affrontare sentivo che alla fine stavamo arrivando da qualche parte.

Sempre più gente veniva a farsi immunizzare. Diavolo, tre in una settimana!

Quale era il pericolo delle epidemie? Il pericolo era precisamente quello che stavo sperimentando io: la pazzia. La mia era su scala piuttosto ridotta in quanto sapevo cosa stesse accadendo, lo sapevo realmente, mi rassicuravo e non avevo il tempo di cercare di scoprire sul serio quale fosse esattamente il problema ... e, in qualche modo, la cosa mi divertiva, fine a quella notte. Penso che si potrebbe dire che faceva parte dell'eccitazione dell'essere senza cupola. Un altro modo di dirla era che era troppo stupida per vivere. Avrei dovuto affrontare Don e Mildred e prendere il primo treno per casa, arrivavano ad intervalli di sei mesi, questo è vero, ma comunque arrivavano. Ne doveva arrivare uno entro breve tempo, se non era saltato in aria. Pensavo di aver compreso in qualche modo cosa stesse accadendo, ma questa comprensione mancava di acutezza; ciò faceva parte della malattia. Rilasciava i suoi componenti chimici che imitavano nella struttura i componenti chimici naturali del divertimento, dell'endorfina e degli oppiacei; come se stessi continuamente ridendo nel profondo.

Penso che Don, una volta accortosi della possibile efficacia di ciò che avevo portato con me, decidesse di studiarlo e quando ne avrebbe saputo a sufficienza lo avrebbe reclamato a se, per sua gloria maggiore. La parte orribile era che avrebbe fatto il damerino con me. Cosa si credeva, che avessi deciso di vivere e morire a Columbus e diventare Mamma Julia? Diavolo, no di certo. Avrei fatto i miei due anni, soddisfatto la mia curiosità, forse avrei fatto un giro delle altre grandi cupole, Toronto, Quebec, NY, poi mi sarei diretta verso casa, a meno che non avessi preso realmente l'occasione di avventurarmi tra le zone spoglie di Cape Breton che per qualche ragione mi attirava, una ragione che ora conosco: la mia dimora, per ragioni che non avrei potuto predire all'interno della cupola, e il mondo selvaggio.

Lo so, da qualche altra parte ho detto che avevo deciso di non partire più. Penso di aver avuto il desiderio di restare per sempre, prima di quella notte spiacevole.

Comunque avrebbe sciupato il Quadroperfetto se avessi detto qualcosa a qualcuno. Don era troppo orgoglioso per chiedermi di non dire niente, questo devo concederglielo, ma mi sembrava che Mildred avrebbe dovuto sapere ... non penso di certo che fosse compito di qualcun altro. Ma lui fece in modo di tenerci divise per tre giorni. Mentre metteva in atto il suo piano, me ne accorgo adesso. In quanto a me, stavo sola. rimuginando sulle cose, cercando di decidere cosa fare e cosa dire. La sola cosa di cui ero assolutamente certa era che lui per me non suscitava nessun interesse.

Sapevo quanto Tu amassi Don. Sapevo quanto poco lo meritasse. Sapevo quanto avrebbe potuto distruggerti sentire ciò che era successo. E anche se non ce n'era alcuna ragione, pensavo che sarebbe stato più facile incolpare me piuttosto che lui della cosa e io non volevo essere scacciata dal tuo cuore.

Pensai che forse avrei dovuto pensare a partire. Ma ciò mi spiaceva enormemente: avrei lasciato il mio lavoro senza finirlo! E sapevo che ti sarei mancata e che saresti rimasta perplessa e mi chiedevo se avessi dovuto chiederti di venire con me. Mi chiedevo ogni tipo di cose mentre andavo a lavorare e non dissi nulla.

Poi le cose si fecero, dovremmo dire, proprio curiose.


Lunedì mattina mi persi il mio pellegrinaggio regolare alla diga. Il vecchio Keefer era praticamente emorragico in cucina. Ansimando accettò d'essere curato.

Mi ci volle quasi tutto il giorno. Ma come mi fece felice la cosa, non solo l'aver curato Keefer, ma il pensare (se le cose avessero preso un corso normale, cosa su cui a quanto pare non potevo fare molto affidamento) che sarebbe stato un esempio vivente di cosa i nano, se usati correttamente, potevano fare.

Per questa ragione mi avviai presto il martedì per la statale. Il cielo era pieno di nuvole scure, aveva piovuto per tutta la settimana, aveva nevicato per tutto l'inverno. Il fiume accanto alla statale stava già scorrendo verso la pianura fluviale, con un mese d'anticipo, dicevano.

Avanzando assorta, pensando in parti uguali a Keefer, Mildred e Don, non prestai molta attenzione a ciò che mi circondava fine a che non arrivai quasi alla diga. Ero passata per la corsia d'uscita gelata e preso la strada di servizio solo per abitudine.

Poi notai qualcuno che si arrampicava lungo le scalene di metallo accanto alle chiuse.

Era circa ad ottocento metri. Mi fermai incuriosita. Come si mosse realizzai che si trattava di Don.

Iniziai a correre.

Mi ci vollero cinque minuti per raggiungere la base della diga e il condotto di fuoriuscita nelle chiuse coprì il rumore dei miei passi che nelle mie orecchie erano forti quanto il martellare del cuore.

Si fermò nel salire alla prima chiusa e tirò fuori qualcosa dalla giacca. Allungò il braccio. Agitò il polso.

Non ero sicura con esattezza, mentre guardavo in su verso di lui, così meravigliata da non potermi muovere, su quale tipo di nano avesse versato in quella chiusa. Si poteva sicuramente immaginare che non lo sapesse neppure lui. Ma qualsiasi fossero gli effetti, mi si poteva accusare con facilità. Mi ricordai dei miei barattoli razziati. Poche chiacchiere. I nano erano nella chiusa finale e si sarebbero ritrovati nel sistema della riserva idrica nel giro di una ventina di minuti.

Mi voltai. Saltai nei cespugli laterali e caddi tra gli alberelli.

Nel correre, tutti quegli sciocchi disegni mi attraversarono il campo visivo, tutti che fuggivano da Columbus per via della voce falsa sul rompersi della diga e io pensai Si, Don, Si! Ecco la risposta! Porto tutti fuori di città proprio come nel racconto. Dire loro che la diga si è rotta!

Ero fradicia di sudore quando raggiunsi le prime case di Columbus, la fattoria di Sally Cabriello e sapevo che aveva un telefono.

Spalancai la porta e urlai, "La diga s'è rotta!"

Si fece pallida. "No!" I suoi capelli chiari erano tirati indietro con una bandana. Teneva il figlio biondo e un altro di quattro anni corse al suo fianco e disse, "Mamy che problema è?"

"Posso usare il telefono?" chiesi.

Annui e afferrò una sacca e vi gettò scatole di piselli e di grano. Come dissi a John, l'operatore, e lo esortai a dirlo a tutti, il Piano 2 era partito, dovunque si trovavano dovevano andare tutti sulle enclavi di terreno sopraelevato che erano state preparate. Sally, impacchettò i figli, li spinse alla calma e li portò fuori. Mise il ragazzino nel carretto, mise quello piccolo nel seggiolino della bicicletta. Poi si fermò, guardando attraverso la finestra, fissandomi e pensando, lo capivo, e di lei che ne sarà?

"Vai," urlai e mi sbracciai, agitata. Apparve dubbiosa, poi si rivoltò verso i figli e saltò sulla bicicletta senza un altro sguardo.

Nel frattempo John disse qualcosa di veramente strano.

"Don mi ha detto che ci avreste provato a farlo," disse.

"Cosa?"

La voce di John era piatta, senza partecipazione.

"Ha detto che avreste provato a fare qualcosa di questo tipo. Pretendere che la diga si fosse spezzata cosicchè tutti avrebbero concordato a farsi inoculare. È abbastanza sveglio, lo sapete."

"Non capisci," dissi desiderando che mi fosse accanto così da potergli tagliare la gola. "Tutti devono andare via dalla città. Ora. Non c'è tempo ..."

E poi il telefono mi fu tolto di mano.

Don riappese e disse ansimando, "Ti ho vista. Mi spiavi."

"Idiota," dissi. "Di a John di far andar fuori di città tutti quanti. Non hai idea di cosa hai combinato."

Si limitò a ghignare e staccò il filo dalla parete.

"Mi dirai esattamente cosa fare per rimettere a posto tutti quanti. Andiamo."

Bene, pensai, mentre mi spingeva per strada davanti a lui. Non mi importa chi ottiene i meriti. Ho la possibilità di inoculare tutta la stramaledetta città.

C'erano molte cose che nessuno dei due aveva considerato.

Una, Sally. Era ottima come sirena.

Due, il fatto che quando tornammo in città, la clinica era aggredita dalla folla.

E tre, la dica realmente crollò.

Era vecchia. I torrenti primaverili, dopo tutta quella neve, l'avevano stremata.

Lo sentimmo lo stesso minuto in cui arrivammo alla clinica.

Avevamo visto che non potevamo entrare dalla porta principale così andammo sul retro. Era ingombra. La gente urlava a Mildred chiedendo nano antidoti da portare nel Bunker di Sopravvivenza. La gente è buffa, non è vero? I bambini piangevano, quasi tutti, aggiungendosi alla generale cacofonia infernale. Mildred voleva far credere di non sapere dove i nano fossero, dubbiosa su cosa volessi fare, suppongo.

"Sono su all'ultimo piano, venite!" strillò coraggiosamente Don, mentre Mildred fissava lui poi me. Io mi limitai ad annuire e lei urlò. "Aspettate ora, con calma, allineativi qui ... "

Poi sentimmo l'esplosione sorda.

Tutti capirono cosa fosse successo. Pensavano che la diga si fosse rotta prima, anche se non avevano sentito nulla, il che probabilmente li aveva fatti sentire al sicuro, come se forse non s'era rotta, forse era solo una piccola incrinatura e abbiamo tempo di guardarci attorno.

Ora sapevano che era un fatto accertato.

Mildred era fra loro e la porta.

"No!" urlò Don. "Da questa parte! I nano sono da questa parte!"

Ci misero tre o quattro minuti a passare dal vano della porta. Alcuni presero su le sedie e il suono dei vetri fracassati si mescolò con le urla generali e i pianti e il rumore dei passi di un centinaio di persone impazzite che scendevano correndo le scale principali per unirsi alla follia in strada.

Poi ci fummo solo noi tre.

Le lastre di vetro rimaste nei telai delle finestre erano sporche di sangue. Mildred se ne stava afflosciata nel vano della porta.

Corremmo verso di lei e ci inginocchiamo accanto. Mi guardò fissa negli occhi. "Per favore, salva Don," mi disse, come se sapesse che avrei potuto non farlo. Non potei trattenermi dal pensare, certo ... se ho tempo. Potrei essere occupata, comunque.

A Don disse, "Prendi l'argento di mamma dal buffet e portalo sull'attico. Non scordartelo. E anche le foto nella cassettiera dell'ingresso." La testa da un lato era gonfia. Il naso appariva rotto. Mentre parlava Don le sentiva velocemente il corpo in modo esperto. Si volse verso di me. Boccheggiò un paio di volte prima di poter parlare.

"I bozzoli," disse. "Possono curare un collo rotto?"

Cercai di corsa un collare stabilizzatore. L'assicurammo ad una tavola. L'ascensore non funzionava.

Mentre ci fermavamo ad ogni pianerottolo per riprendere fiato potevamo vedere la gente che correva su bici, cavalli, a piedi, dirigendosi verso il Bunker, che si trovava centocinquanta metri sopra la città. Vidi quattro adolescenti che tiravano fuori il signor Tolliver, il padrone della gelateria, dalla sua auto gialla e lo buttavano in strada e poi arrancammo per un'altra rampa, sudando.

I bozzoli erano al dodicesimo piano, in cima.

L'acqua fluiva attraverso le strade per quando ci arrivammo e qualsiasi cosa Don avesse gettato nella chiusa stava facendo effetto. Naturalmente non avevo idea di cosa fosse. Ti fissò, Mildred, ed iniziò a ridere istericamente. Poi si mise a piangere. Ti tirava, facendo piccoli singhiozzi, cercando di tirarti lontano dal bozzolo. Mi stavo guardando attorno in cerca di qualcosa per colpirlo alla testa, devo essere onesta con te, quando collassò sul pavimento.

Ti tirai in uno dei bozzoli senza il suo aiuto, ciò che dicono sulle emergenze che ti rendono più forte è vero. Le mani mi tremavano ma subito iniziò a respirare per te. E mi indicò che eri stabilizzata.

Qualsiasi danno ti avessi procurato nel maneggiarti sarebbe stato riparato. Ero debole per il sollievo. Il bozzolo si alimentava da solo, naturalmente, i batteri erano ancora vivi, una delle ragioni per cui erano tenuti sottochiave all'ultimo piano, per via della loro pericolosità. Guardai Don. La mia energia s'era affievolita. Non sarei riuscita a sollevarlo nel bozzolo, come potevo farcela? Guardai verso di te.

Mi dovetti sedere a pensare per alcuni minuti prima di decidere cosa fare e come farlo. Ora dov'è quel barattolo di compatibilità, mi chiedevo, di sicuro devo averne uno, dovrebbe essere giallo, non credi, anche se c'era un codice più preciso così sfogliai i miei tabulati, come se avessi un'infinità di tempo, e lo trovai. È difficile da spiegare, ma quel barattolo era pieno di storie.

Le storie sono buone per insegnare cose come la compatibilità, soprattutto se credi che le stai vivendo. Iniziai a volteggiare oltre il mio ripiano di barattolini chiedendomi se anche la compatibilità fosse stata scassata mentre cercavo di ignorare la vista della First National Bank che crollava, abbastanza lentamente, su un fianco fuori della finestra ad occidente.


Quando finii ero riuscita a caricare Don e ad amministrare, credo, la compatibilità. Devi ricordare che le cose erano, a metterla proprio bella, piuttosto bislacche. Inclusi un codice radio, nonostante la Fibrillazione (sembrava scemare un po' ogni paio di mesi) in quanto non avevo idea dove sarei andata ma nella mia presunzione pensai che quando tu ti saresti risvegliata, ricresciuta, e poi ogni incarnazione di te da lì in poi, avresti voluto ritrovarmi. O, in caso negativo, almeno avere qualche informazione da me sulla sopravvivenza.

Ti detti, mentre sprofondavi sempre di più nell'immersione del bozzolo, ogni singola immunizzazione che potevo gestire. Diavolo, non era difficile. Bastava raccogliere i barattoli di immunizzazione dal pavimento attorno alle mie ginocchia. Qualcuno, perché ora penso a Don? Ne aveva buttato giù una fila o due. I cristalli s'erano sparpagliati sul pavimento in un arcobaleno di quella che appariva come sabbia colorata. Aveva aperto la grossa latta di soluzione di crescita e l'aveva versata dove potevano mescolarsi, così si stavano replicando come ossessi, ne sono certa.

Uno dei cuccioli, erano cresciuti abbastanza e Ti seguivano al lavoro aspettando pazientemente fuori dell'ospedale, si avvicinò alla porta e dopo aver mostrato la propria gioia nel vedermi iniziò a leccare i nano sul pavimento. Hmmm, pensai mentre lo caricavo nel foro del bozzolo, dovrebbero essere saporiti.

In uno stato intorpidito raccolsi campioni di ciò che pensavo mi sarebbe potuto servire e li sigillai strettamente nelle mie piccole fiale di plastica originali, e le incartai nella plastica e ... oh, che importanza ha se lecca, pensai alla fine e spinsi i barattoli sigillati nella mia sacca originale e sigillai anche quella.

Comunque, per quando I.G. ed io uscimmo fuori dalla finestra del secondo piano e nuotammo verso First Street dove arrivammo a riva, io con la mia sacca di nano, non aveva propria alcuna importanza. In qualche modo eri fortunata.

C'era il fatto che una nuova epidemia stava attraversando il paese. Columbus se la sarebbe presa comunque. Veniva dall'Asia, seppi poi, non appena si fermava la Fibrillazione, mentre io e I.G. ci dirigevamo ad ovest, poi a nord, sul treno meccanizzato fino a qui, alla fine della linea.


Ora so che la compatibilità non ha attecchito almeno su uno di Te, Don. Quando sei salito su per la collina, peloso e con la barba, tutto ciò che dovetti fare fu di abbracciarti e poichè non eri cambiato il tuo respiro s'è fermato. È tutto. Ho le istruzioni dentro di me e ora non posso cambiarle. Se sei compatibile, che è un'istruzione nano proprio precisa, tu vivrai di sicuro quando ti stringerò.

Bè, questo dovrebbe tenere lontani tutti gli altri te, se ce ne fossero. Leggilo nelle informazioni.

Mi chiedo che cosa hai fatto con Mildred, tu che non eri compatibile. Perché non è mai venuta? Lei era già compatibile. Mi sarebbe piaciuto vedervi arrivare assieme. O almeno mi sarebbe piaciuto vedervi tutti e due con dei bambini. Se sei diventato compatibile. Mildred ne parlava molto. Mi chiese se avevo dei nano che potessero aggiustare ciò che non andava in lei e lo feci, ma non te lo ha mai detto. Le dissi di farlo e basta; lui non sarebbe mai stato d'accordo. Lui voleva dei figli. Ma, naturalmente, non come dono di un nano. Bene, penso questo di averlo sistemato, almeno.

Questi sono pensieri miei. Ma ho molte cose da fare.

Diserbo la mia soia. Parlo col Nonno.

E una volta all'anno visito il Pointed Fir Lodge.

Vado giù nella cantina gelida in pietra e seriosamente discuto la scelta del vino.

Io e I.G. abbiamo scelto una barca a remi che non fosse fradicia. I remi tagliano nell'acqua luccicante e mi allontano dai fondali in granito tremolanti, tiro con forza, finchè non scivoliamo velocemente. Ci vuole un po' a prendere i lucci, ma ci si diverte. È il divertimento maggiore al mondo. Ne prendo sempre due. A volte li arrostisco, a volte li faccio al cartoccio con le erbe.

C'è un sacco di riso in cantina e si trovano germogli amari di rucola in primavera.

Una sera il treno automatico arriva veloce in città e si ferma con precisione sul segno. A volte io e I.G. lo guardiamo dall'ombra della vecchia stazione di pietra, altre volte finiamo la cena con calma e comodità e lo sentiamo solo arrivare e andarsene mentre le candele tremolano ... dipende da quanto siamo stati a pesca e dipende dall'umore dei lucci.

Non è mai sceso nessuno.

Domani tornerà. Mildred. Probabilmente Tu sei vecchia ora, forse ti sei svegliata molto tempo fa e il Don con cui ti sei svegliata era compatibile e assieme avete ricostruito la vostra città e salvato la mente dei vostri concittadini e non avete permesso ai vostri doppi spettrali di crescere. Feci del mio meglio per sovrappormi a quella vecchia programmazione annuale in quel giorno orribile, ma non potevo essere sicura di esserci riuscita.

A volte desidero d'essere stata abbastanza forte da tornare e interromperlo. E a volte mi fa piacere di non esserlo stata, pensando (come faccio spesso, qua, nel sole brillante di queste mie cime montane) ai migliori risultati possibili, che dopo tutto non sono poi così improbabili. Ero la seconda del mio corso, lo sai; se c’era qualcuno che poteva correggere la programmazione in un tempo così breve, quella era io. E in quel momento non potevo sopportare l'alternativa di lasciarti semplicemente morire.

Così, se ha funzionato. Se ha funzionato, e il Don che era compatibile è morto, come probabilmente è successo nel momento che ha raggiunto i 78 anni, secondo le mie proiezioni genetiche, molto prima dei tuoi 107 anni progettati per favore, vieni. Prepara solo una valigetta, non avrai bisogno di molte cose.

Scendi al capolinea.

Dirigiti verso nord.

Fine


© Kathleen Ann Goonan, 1995

Pubblicato originariamente come una Omni online novella

Titolo originale, The Day the Dam Broke

Traduzione italiana, Danilo Santoni






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