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Presentazione a "Io, Nomikos, l'immortale", di R. Zelazny


di Carlo Pagetti


1. La fantascienza americana all'inizio degli anni '60: rinnovarsi o morire.

L'inizio degli anni '60 segnò un momento di notevoli trasformazioni all'interno delle strutture culturali attraverso cui la fantascienza si esprimeva. Come lo stesso Zelazny mise in rilievo durante un'intervista concessa nel 1977: "Uno dei fattori più determinanti, negli Stati Uniti, fu che entro la fine degli anni Cinquanta molte riviste di fantascienza non erano più in attività, e negli anni Sessanta una grossa fetta della produzione usciva direttamente in volume. Questo permise un po' a tutti di liberarsi da certi tabù collegati alle riviste (sesso, religione, politica, ad esempio) e di tentare quelle sperimentazioni letterarie che prima non esistevano."

In realtà, il cordone ombelicale con le riviste specializzate non era affatto reciso - come mostra anche This Immortal che, prima di apparire in volume, fu pubblicato come "serial" nel Magazine of Fantasy and Science Fiction, ma, nello stesso tempo, si aprivano nuove opportunità e fresche occasioni di confronto con il resto della cultura attraverso collane e iniziative editoriali più consistenti. Il problema, per il "nuovo" scrittore americano di fantascienza, era duplice: non perdere i contatti con le abitudini del "fandom", a cui continuavano a fare da portavoce le riviste specializzate e le collane paperback più consolidare nel settore (come la Ace) e, contemporaneamente, affrontare il giudizio di strati emergenti di lettori potenzialmente più sofisticati, curiosi ma anche diffidenti, e di quei recensori che cominciavano a occuparsi di fantascienza nelle pagine letterarie di giornali e riviste.

Non tutti i mutamenti, ovviamente, erano di natura economica o produttiva. I vecchi parametri fantascientifici, orientati essenzialmente in senso didascalico, sia nella versione tecnologico-divulgativa che in quella sociologica (è sorprendente scoprire, a distanza di tempo, come un certo Asimov e un certo Pohl, ad esempio, potessero assomigliarsi) erano in crisi: la tecnica narrativa basata su un sostanziale realismo, qua e là corretta da meno ortodossi bagliori Fantastici - come dimenticare il successo di Bradbury negli anni '50,e le accuse di eresia lanciate dai confratelli? - aveva perso progressivamente credibilità anche nel quadro del ritardo storico a cui è sottoposta la cultura di massa. C'era, è vero, Philip K. Dick, impegnato, tra il, '62 e il '64, in un folle lavoro di produzione di testi fantascientifici che revisionavano le strutture tradizionali con una violenza formale quasi ossessiva - ma quasi nessuno si accorgeva di lui in America, se non per The Man in the High Castle (La svastica sul sole), che si poteva con facilita etichettare come romanzo sugli "universi paralleli". Altri scrittori, come Silverberg e Brunner, lottavano ancora con convenzioni e rituali stilistici sempre più ingombranti, mentre Vonnegut e Sheckley sembravano aver scelto, in Cat's Cradle e Journey Beyond Tomorrow, un tracciato satirico in cui si diluivano inevitabilmente le componenti più propriamente fantascientifiche - qualunque cosa esse fossero (non esisteva neppure uno studio sulle strutture formali della fantascienza in quanto "genere"). Nei confronti dell'opera di saccheggio compiuta da autori occasionali fuori dal campo - dai creatori di cronache fantapolitiche ai grossi nomi come Burroughs e Barth - la cultura fantascientifica mostrava, forse non del tutto a torto, una certa perplessità.

Ma, naturalmente, la realtà culturale non si muoveva solo in negativo, A parte la presenza di quei profondi fermenti innovativi che sarebbero poi esplosi nel corpo della società americana nell'ultima parte del decennio, e che Dick - come ho cercato di mostrare nella introduzione de I Simulacri ("Classici della Fantascienza", Nord, n. 42) - era già in grado di lucidamente anticipare, almeno altri due elementi che stavano lavorando accanitamente per modificare l'immagine e le prospettive della fantascienza. Tutti e due non avevano origine nelle vicinanze del neo-battezzato Capo Kennedy, da cui avrebbe dovuto intensificarsi l'operazione tecnologica più ambiziosa del secolo (la conquista dello spazio, appunto), bensì nella vecchia Inghilterra.

Il primo fattore rivoluzionario, il più noto e il più studiato all'interno dei circoli fantascientifici, era, naturalmente, quel movimento della "new wave" che, senza mai coagularsi in una vera e propria scuola, tuttavia aveva trovato un punto di riferimento nella rivista New Worlds ed espressione eterogenea ma non disorganica negli scritti narrativi e teorici di Ballard; Aldiss, Disch, in parte Moorcock e Brunner, e altri più giovani adepti. Il recupero ballardiano dello "spazio interiore", tra gli equivoci che poteva generare, ne conteneva almeno due che vale la pena di segnalare: da un lato il richiamo alla tradizione letteraria - dolce come il Canto di una Sirena per una cultura in cerca di nobilitazione e convinta, sino a quel momento, di non avere quasi radici a parte Poe, Wells e Verne, peraltro letti in modo approssimativo e, nel caso di Verne, in edizioni tagliate e mal tradotte; dall'altro lato, l'invito a occuparsi della psiche e della psicologia dei personaggi e a liberarsi della tirannia dell'intreccio.

In realtà, oggi ci rendiamo conto che l'invocazione della grande tradizione letteraria aveva spesso, in Ballard e negli altri scrittori più consapevoli, sfumature ironiche e parodistiche, mentre l'attenzione per i movimenti della psiche in Ballard portava a una ulteriore negazione della possibilità di un tessuto psicologico o pseudo-psicologico e voleva invece realizzarsi come esplorazione nelle zone oscure della nevrosi, della follia, dell'inconscio. Ancora una volta, in America Dick aveva capito per conto suo che l'unica forma di "psicologia" concessa alla fantascienza è quella dell'abnorme e dell'incubo.

Il secondo elemento di rottura si esprime attraverso la progressiva penetrazione nel tessuto della cultura di massa di un discorso sul "mito" e sulle sue implicazioni narrative. Le origini e i motivi della riscoperta del mito, che riguarda del resto tutti i livelli culturali, sono troppo complessi per essere qui esaminati: basterà ricordare la graduale ma sicura assimilazione, da parte degli ambienti fantascientifici, di un testo fondamentale come The Lord of the Rings (Il signore degli anelli), di J.R.R. Tolkien, pubblicato tra il 1954 e il 1955. L'America degli anni '60, traumatizzata dall'assassinio di Kennedy e di King, e dalla guerra nel Vietnam, apriva i grandi canali del consumo culturale di massa, sostituendo via via alle più semplici prospettive tecnologico-positivistiche L'esorcismo di una scoperta del passato, di un "eterno ritorno", che, spiegando gli oscuri eventi del presente (la morte di Kennedy iscritta nell'annuncio dell'"anghelos" di una tragedia greca), li potesse però, in qualche modo, "consumare'', giustificare e piegare a un più favorevole processo di rinascita e di purificazione. La mitologia spiegata alle masse perderà quasi del tutto il suo carattere numinoso: L'apocalisse è già avvenuta - come in This Immortal - e bisogna pensare alla ricostruzione della storia.

L'invenzione mitologica sarà, allora, nella fantascienza americana come in altre forme di cultura di massa la risposta alla crisi delle istituzioni culturali ma anche alle istanze ideologiche poste dalla situazione storica. Sui cieli americani passa, simile all'aquila imperiale, il mitico Thor dei Marvel Comics, il torvo ma invincibile mezzo Dio mezzo uomo di Stan Lee, a rassicurare la coscienza dei suoi "lettori" che i valori su cui l'America è stata costruita sono validi e immortali.

2. Roger Zelazny: dalla mitologia della Grecia alla guerra del Vietnam.

Il giovane Zelazny costituirà, dunque, nelle sue prime opere, la risposta americana ai mutamenti socio-culturali che stavano investendo la fantascienza di lingua inglese all'inizio degli anni '60. Mentre Zelazny costruiva la sua precoce fama letteraria, i circoli fantascientifici costruivano Zelazny, inondandolo di premi e di riconoscimenti.

Come "modello" Zelazny "andava bene" (come sarebbero "andati bene" Delany, il negro, e poi Le Guin, la donna): giovane, brillante, non un rozzo scienziato illetterato, ma un laureato proveniente da discipline umanistiche che se ne intendeva di teatro elisabettiano, citava Auden e utilizzava uno stile sofisticato, a tratti perfino estetizzante ...

Soprattutto, fin dall'inizio Zelazny si mostrò capace di cogliere i nuovi stimoli e indirizzi culturali e, nello stesso tempo, di assimilarli in un contesto narrativo carico di riferimenti alla tradizione fantascientifica e letteraria più ortodossa e codificata. Quando, nell’intervista già citata, egli afferma, "Immagino che il mio maggior apporto alla fantascienza sia stata l’adozione di un nuovo tipo di approccio nei confronti della mitologia", non affronta il problema cruciale della modalità di questo approccio, della sua relazione appunto sia con altri eterogenei imprestiti narrativi sia con la cultura dei lettori a cui è destinato il suo prodotto. Un'analisi appena superficiale dei suoi primi racconti più famosi, recentemente raccolti nel volume La montagna dell'infinito (Fanucci) rivela come essi siano costruiti attorno a una serie di riferimenti espliciti alla tradizione letteraria americana, riepilogata da Moby Dick di Melville fino all'Old Man and the Sea di Hemingway in "The Doors of His Face, the Lamps of His Mouth" ("Le parte del suo volto, le braci della sua bocca"), con l'opportuna variante di una storia sentimentale che coinvolge il rude protagonista e una bella ragazza ricca e viziata. La tradizione, rievocata, viene anche consumata, e le fauci del mostruoso Moby Dick cosmico (Ikky) sono il sesso femminile a cui non si può sfuggire. Nel premiatissimo "A Rose Rose for Ecclesiastes" ("Una rosa per l'Ecclesiaste") il rinvio non è tanto ai classici ottocenteschi, quanto a un classico interno al genere, come le Martian Chronicles di Bradbury, i cui paesaggi Zelazny riproduce con grande fedeltà, innestandovi però ancora una volta una storia d'amore "impossibile", raccontata con il linguaggio neo-romantico che la letteratura di consumo avrebbe esaltato in Love Story o romanzi del genere. Un aggancio a quel tipo di letteratura era, appunto, necessario per aprire nuovi mercati e raggiungere nuovi utenti, mentre la dovizia di riferimenti culturali degni d'un professore di liceo e un pizzico di erotismo in più garantivano al solido retroterra del "fandom" fantascientifico il senso di un ricco rinnovamento.

Riscoprire il mito voleva dunque dire, sostanzialmente, ripercorrere le fasi della tradizione amalgamandole ai modelli della cultura di massa. L'eternità, a sua volta, diventava la scoperta che le leggi del consumo potevano essere plasmate su quelle delle più alte tradizioni culturali.

In questo senso, l'immortalità del protagonista di This Immortal non è solo un altro efficace richiamo al corpus fantascientifico (e alle motivazioni inconsce che ne costituiscono una componente notevole), ma è una metafora della stessa visione della letteratura che Zelazny sviluppa con grande coerenza. Conrad Nomikos cambia identità di epoca in epoca, ma rimane sempre uguale. È un Dio immortale, che può essere ucciso in duello. Ha conosciuto tutte le donne della terra eccetto la madre (Zelazny non giunge alle convulsioni edipiche dello Heinlein di Lazarus Long), però può soffrire per amore come qualsiasi mortale. È una forza terribile, che si erge a protettore dell'umanità, che, anzi, dirige la storia post-apocalittica verso una nuova rinascita - presumibilmente di prosperità borghese, perché dopo l'apocalisse si può anche scoprire che il presente della società borghese non era così malvagio. E il "briccone divino" della critica psicanalitica, protagonista di un romanzo picaresco, è, nello stesso tempo, il "detective" di un racconto giallo in cui tutte le varie fasi della fantascienza vengono riepilogate e giustificate attraverso la comicità di maniera di un supeman umano. Siamo infatti arrivati a uno dei miti centrali attorno a cui si è andata costituendo la cultura fantascientifica di consumo: quello del superman umano, che tiene scherzando tra le mani le sorti del globo. Mentre Ballard e Dick, in quegli stessi anni, fanno esplodere le nevrosi all'interno dei personaggi come del linguaggio narrativo, rivelando l'inesistenza di una fittizia "normalità" e "riproducibilità" del reale, Zelazny compie il percorso opposto dimostrando in Conrad Nomikos che il dio oscuro parla, pensa e agisce come un bravo diavolo, e che tutta la tradizione letteraria americana si può in qualche modo omologare in un romanzo di fantascienza.

Tuttavia, voltando la pagina finale di This Immortal non si trova solo un foglio bianco, ma la terra bruciata del Vietnam. La Grecia post-apocalittica del romanzo riflette un'immagine di distruzione e di morte in cui si rispecchia la coscienza sporca dei distruttori e il desiderio di una impossibile ricostruzione. Il pelleverde vegano Myshtigo, rappresentante di una razza che ha asservito la Terra senza averla annientata con un "insetticida" (come avrebbero potuto fare gli Americani in Indocina, utilizzando le armi atomiche o batteriologiche) non è malvagio come sembra è, anzi, affetto da una malattia incurabile (vecchio trucco che la cultura popolare ha ereditato dal romanticismo).

Prima di morire, egli lascerà la Terra ai suoi legittimi possessori. Il Vietnam può essere riedificato: basterà aver fiducia negli alieni venuti dal cielo che, del resto, sono gli unici a mostrare un genuino interesse per gli antichi monumenti terrestri, e respingere le tentazioni criminose dei selvaggi cannibali, guidati da un antropologo folle, un Kurtz redivivo che, in modo assai appropriato, cita Cuore di Tenebra di Conrad (non Nomikos, ma Joseph) e che anticipa, naturalmente, il Kurtz-Marlon Brando di Apocalypse Now. Il processo di ricostruzione sarà guidato dalla benevola figura di un dittatore-padre (Nomikos stesso), non dissimile da uno di quei personaggi "al disopra delle parti" che gli Americani tentarono poi di tirar fuori dal cilindro poco prima di abbandonare Saigon.

La funzionalità del ruolo di Zelazny è in queste possibilità di interpretazione che This Immortal offre a una lettura attenta. Che poi egli abbia preso coscienza di certe implicazioni culturali, modificando, almeno in parte, il suo approccio alla fantascienza, fino a incontrarsi con Dick nel romanzo a quattro mani Deus Irae, è un discorso che andrà fatto in altra sede.

Se la Terra di This Immortal è un enorme museo, il suo capo, l'immortale e simpaticissimo Pan-Conrad, non può che ricoprire la carica di sovrintendente alle antichità. La fantascienza rivelandosi come territorio di assimilazione della tradizione letteraria, recupererà la sua "modernità" e importanza culturale, legittimando anche la propria funzione di, fenomeno di massa. Dopotutto, secondo i Vegani, "la formula della Coca Cola era stata la grande scoperta archeologica del secolo". Come dar loro torto?

Nella più audace delle sue operazioni culturali, tra una zuffa e un convegno d'amore (l'eufemismo è d'obbligo), Pan-Conrad fa smontare, di fronte agli occhi sbalorditi del vegano Myshtigo, la Piramide di Cheope, inaugurando, come osserva un personaggio, un'"arte distruttiva" che ricorda certe visioni surreali di Ballard, come i suoi scultori di nuvole. Ma il saggio vegano nota che ogni blocco di pietra è marcato: alla fine, la piramide (della fantascienza) ritornerà in piedi intatta, nuova e vecchia nello stesso tempo.






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