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La quotidiana atrocità in mostra


di Gianluca Cremoni


Nei romanzi pseudo-autobiografici L'impero del sole e La gentilezza delle donne Ballard cercò di ripercorrere la sua infanzia e la sua vita, in cerca delle radici delle proprie ossessioni e dell'ispirazione. Al seguito del cast del film di Spielberg tornò a passeggiare presso il campo di concentramento di Langhua, Shanghai, che lo aveva ospitato durante l'ultimo conflitto mondiale. Ma Ballard fa sua una frase di Thomas Wolfe, "non si può mai tornare a casa", intendendo che in realtà stava riscrivendo una nuova vita, agganciandosi con la memoria e i ricordi agli anni di guerra.

Il processo di regressione psichica era cominciato presto al ritorno in Europa, negli anni '60 con la quadrilogia delle catastrofi, ma anche nel decennio successivo con le antologie di racconti Cronopoli e La civiltà del vento. Ballard elabora una trasformazione del rapporto dell'Uomo col mondo. Il groviglio della folta vegetazione cinese viene racchiuso nel labirinto delle emozioni della mente umana. Il processo è biunivoco: il sistema nervoso dei personaggi è proiettato sugli intrecci degli svincoli autostradali e delle mappe urbanistiche. È la nota concezione dell'inner space, la scoperta degli spazi sconosciuti all'interno della mente e, come naturale conseguenza, l'artificializzazione dei suoi meccanismi (in contrapposizione all'antropomorfizzazione degli enti sconosciuti degli spazi siderali, molto comune nella fs). La demarcazione tra interiore ed esteriore cade, l'Uomo fa parte delle geometrie esterne, diventa impossibile distinguere anche tra naturale e artificiale: un pensiero che acquisisce e rielabora osservando i quadri dei surrealisti, ad alcuni dei quali (Max Ernst su tutti, ma anche Dalì) s'ispira per le ambientazioni dei suoi romanzi.

La mostra delle atrocità (una raccolta di frammenti narrativi scritta in più tempi) rappresenta un nodo importantissimo della produzione ballardiana: l'Uomo si trova ad affrontare un altro groviglio: il mondo dei mass media e della tecnologia. L'artefatto umano ha raggiunto un grado tale da renderlo autonomo, l'Uomo è costretto alla propria riprogettazione e al nomadismo psichico. La geometria dei sistemi di comunicazione diventa l'estensione del sistema nervoso. Nei paragrafetti che si succedono incalzanti, quasi con isteria, Ballard mette in scena le ossessioni, le perversioni, le mitomanie che nascono nella mente facendole "esplodere" nel mondo esterno (Burroughs nota che l'autore si rifà nuovamente al mondo dell'arte realizzando in letteratura quel processo di "blowing up" che attuavano Rauschenberg e la Pop-art quando ingrandivano enormemente un'immagine). Prende vita un inconscio collettivo fatto di mitologie contemporanee ed eventi shock alla base del quale c’è una sessualità che pervade tutto.

Il canale più diretto tra il cervello umano e il mondo esterno è certamente l'organo della vista, ed è proprio attraverso l'occhio che si compie quel connubio umano/artificiale. Ballard riprende gli stilemi dei pop-artisti, le loro tautologie iconografiche, descrivendo titaniche immagini di Elizabeth Taylor e di Jacqueline Kennedy installate su pannelli alti centoventi metri che scompaiono nelle foschie degli strati alti delle città. Più avanti serializza la morte di Marilyn, catastrofe psichica per eccellenza, o ancora descrive l'encefalogramma di Einstein e l'operazione di rinoplastica della regina Elisabetta come codici segreti con significati reconditi. Egli sfrutta la potenza energetica dell'iconografia contemporanea, la stessa che aveva individuato già negli anni '50 Roland Barthes che, dopo aver identificato la sovrapposizione di significanti (che eludono il significato) che sta alla base dei miti contemporanei, asseriva che "il mito è a destra". Che è poi la destra reaganiana contro cui si scaglia il sarcasmo di Ballard: Ecco perché voglio fottere Ronald Reagan è costato la censura della prima edizione americana. Il futuro Presidente viene analizzato clinicamente e accostato a Hitler e Nixon, è reputato eccitante per un gruppo di bambini spastici e il suo volto è assimilato a un pene in erezione.

Reagan incarna in una sola persona l'icona hollywoodiana e il politico liberale americano telepersuasore e demagogico: il miglior bersaglio per la critica ballardiana. Ma i catalizzatori psichici collettivi più potenti sono il sesso e la morte violenta.

L'eccitazione sessuale è stimolata dalla ripetizione e dall'impatto dell'immagine: le geometrie dei cavalcavia seguono sinuose le curve delle natiche, il carapace di un'elegante automobile americana è eccitante come la superficie interna della coscia, l'incidente automobilistico è percepito come evento fertilizzante, come una liberazione d'energia sessuale, e nella sua tragicità la sessualità si rafforza e si ridefinisce (tema ripreso nel romanzo Crash). Ballard mette in mostra una serie d'illustrazioni di organi sessuali immaginari e di testi medico-legali sugli effetti dell'impatto di un incidente sul corpo umano, rilegge la Teoria della Relatività di Einstein come trattato erotico, assume la distanza tra le rotule d'importanti first ladies come indice di eccitazione sessuale e immagina violenze sessuali a "Che" Guevara bambino.

A questo punto entra in gioco la guerra, ossessione di superiorità/sessualità atavica dell'Umanità (o meglio dei governanti). La stimolazione sessuale risulta più rapida ed efficace se vi è una somministrazione di notiziari di atrocità, filmati di torture a Viet Cong, di assassini e di esecuzioni di condanne a morte in diretta; l'induzione al rilassamento invece è ottenibile con filmati di combattimenti tra uomini e follia clinica. il test atomico dell'atollo di Eniwetok diventa un luna-park, i documenti di spionaggio militare fanno parte di deliranti disegni erotico-esoterici. Ballard arriva a ipotizzare una fusione di scienza e pornografia, anzi di scienza come più grande produttrice di pornografia.

È uno scenario di violenza ed eccesso, ma non troppo fantascientifico se si pensa alla quantità di trasmissioni televisive basate sul concetto di real-TV (nato nel cinema coi cosiddetti mondo-movies che hanno come capostipite un cinico come Jacopetti, all'esistenza del mercato illegale degli snuff movies (veri e propri "festival di atrocità cinematografiche"), o soltanto di un libro che raccoglie tutte le frasi dei piloti registrate nelle scatole nere pochi istanti prima che l'aereo precipiti (The black Box di Malcolm MacPherson), e a tutto il materiale pornografico feticistico di stampo clinico e asettico attualmente in commercio. Ma è l'autore stesso a cercare di capire dove tutto questo potrà condurci: "la morte di un bambino o la guerra nel Vietnam potrebbero essere visti come contributo al bene comune".

La materia prima rielaborata e tritata da Ballard proviene dichiaratamente dal rapporto della commissione Warren sull'assassinio di J. F. Kennedy. Centinaia di pagine di dati, statistiche, studi minuziosi fino al limite dell'assurdo, una massa immensa d'informazioni paragonabile solo alle Pagine Gialle di Los Angeles. Una vera e propria enciclopedia dell'assassinio presidenziale che non riuscì a chiarire tutti i dubbi, sbagliando nell'individuare la direzione dei colpi. Fu infatti il filmato di un cineamatore a rivelare che gli spari provenivano da davanti e non dalla finestra dello school boo depository, che al momento si trovava alle spalle del presidente. Ballard si affretta a omaggiare Zapruder, il cineamatore, e a fissare i fotogrammi-chiave in ingrandimenti analitici. L'assassinio di JFK con tutti i misteri che si è portato dietro, ha rappresentato (fino alla morte di Lady Diana) la tragedia che più ha coinvolto i mass media; essi hanno creato il Kennedy che conosciamo instillandolo nell'inconscio collettivo.

Le immagini scioccanti delle tragedie e degli avvenimenti planetari che venivano trasmessi dalla televisione (l'assassinio di JFK, il Vietnam, la guerra nel Congo, la carestia nel Biafra, il programma spaziale) agivano come catalizzatori uno sull'altro, sollevando grandi domande alle quali nessuno rispondeva. Parallelamente si sviluppava la pubblicità televisiva (e della cartellonistica in generale) che diffondeva in modo assillante le immagini dei nuovi prodotti tecnologici, magari gli stessi coi quali si verificano le tragedie da trasmettere. Un esempio su tutti: il prodotto commerciale più pubblicizzato del nostro secolo, l'automobile, è la causa più frequente al mondo di morte accidentale. Ma, ci avverte Ballard, la televisione responsabile, quella dei notiziari BBC e dei valori civili, è più pericolosa di quella spettacolare e pubblicitaria, proprio perché seria.

Oggi i media sono, proprio come La mostra delle atrocità, una mappa in cerca di territorio, un sistema nervoso senza cervello che trasmette una mole impressionante d'informazioni, dati e immagini, spesso con contenuti superficiali, fatui o inventati. Messi così di fronte a questo bombardamento di immagini sempre più forti e scioccanti, il nostro inconscio vacilla; l'unica possibilità, ci suggerisce Ballard, è quella di costruirci uno scenario di emergenza, una serie di incubi personali (come quelli che immaginiamo durante la fase R.E.M.) che costituiscano la nostra identità da contrapporre alla realtà creata dalla televisione e dagli altri mass media. Si può notare l'influsso del pensiero di Jean Baudrillard, nel quale il mondo è inghiottito dall'apparenza, le cose scompaiono sostituite dalle loro simulazioni: il Grande Fratello è l'immagine stessa.

La mostra delle atrocità risulta quindi il tentativo di ricreare quella ragnatela d'informazione mediatica che si era trovata ad affrontare l'Uomo dopo la seconda Guerra Mondiale, e come tale dimostra il proprio valore di analisi del mondo dei media e di provocazione dell'establishment. Negli anni '50 e '60 grazie alla diffusione della televisione la popolazione del mondo occidentale per la prima volta aveva la possibilità di assistere coi propri occhi alle grandi tragedie dell'Umanità (la guerra, gli assassini di stato, i suicidi) e le imprese d'interesse globale (i lanci in orbita, i record di velocità, le imprese "eroiche"). Il cinema raggiunse il grande pubblico che scoprì più da vicino i divi di Hollywood, su cui si erano create vere e proprie mitologie. In questi anni negli Stati Uniti e poco più tardi in Europa il numero degli apparecchi televisivi superò quello delle radio. Il medium incontrastato delle due guerre, dei regimi e delle repubbliche degli anni '30, era soppiantato definitivamente da questo diffusore d'immagini, e l'inconscio collettivo doveva risentirne molto. E proprio alla fine di questo periodo risale il libro: Ballard stesso confessa di non trovare più motivazioni che lo spingano a scriverne un seguito. Negli anni '70 qualcosa è cambiato: il programma spaziale è naufragato, si è verificata una banalizzazione delle celebrità, è sorta una specie di neoproibizionismo contro la pornografia. Non si può non notare che sono tutte conseguenze della televisione stessa, che prima sfrutta l'evento, lo sviscera dei suoi significati più veri, lo spettacolarizza e poi lo lascia in balia dei diminuiti interessi del pubblico (rispetto ai divi, alle imprese, alla violenza, al sesso ostentato, ecc.).

Vorrei concludere citando una battuta che l'autore riporta in una glossa: un topolino da laboratorio, al termine di un esperimento, dice: "sono riuscito a condizionare quello scienziato: ogni volta che schiaccio la leva mi porta il cibo". Mi piace pensare che gli sperimentalismi di Ballard servano soprattutto a sé stesso per trovare quella regressione psichica che inevitabilmente lo porterà al campo di concentramento di Langhua.






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