Naviga, Laney, naviga in Rete
di Carlo Formenti
William Gibson? Cyberspazio! L'associazione scatta come un riflesso condizionato anche per chi non abbia letto una riga dello scrittore americano che ha rivoluzionato la fantascienza. In Italia Gibson ha avuto un curioso destino: quasi tutti sanno che le invenzioni di Neuromante (il suo romanzo d'esordio) hanno tenuto a battesimo il gergo adottato da milioni di "navigatori" (il libro uscì nel 1984, assai prima che le reti di computer divenissero parte integrante dell'immaginario quotidiano); in compenso i suoi libri (oltre a Neuromante, sono stati tradotti Giù nel cyberspazio, La notte che bruciammo Crome, Monnalisa cyberpunk e Luce virtuale) hanno avuto da noi diffusione relativamente modesta.
E questo non solo perché in Italia la fantascienza resta tuttora appannaggio di una nicchia di appassionati, ma anche perché Gibson è un autore «difficile», che ha strappato il genere agli asfittici scenari della space opera per trascinarlo sullo spinoso terreno dell'attualità (le trasformazioni sociali, antropologiche e culturali indotte dai nuovi media) e, soprattutto, l'ha "contaminato" con uno stile ispirato alle avanguardie letterarie più che alla tradizione "popolare". Ma il lettore "pigro" si rassicuri: è arrivato il suo momento. Aidoru, il nuovo romanzo di Gibson, segnala che il tempo della radicalità politico-letteraria è finito.
Il protagonista, Colin Laney, è dotato di un particolare talento: navigando in Rete, riesce a «vedere» particolari configurazioni («nodi») di dati che gli consentono di scovare informazioni riservate sui personaggi e sugli eventi di cui si occupa.
Talento che lo rende prezioso per una spietata multinazionale dello show business, la Slitscan. Tuttavia, dopo che una delle sue "intrusioni" ha provocato il suicidio di una donna, Laney abbandona la Slitscan per accettare un nuovo ingaggio che lo condurrà a Tokio. E a Tokio approda anche Chia McKenzie, fan quattordicenne di Rez, un cantante rock cino-irlandese. Chia è stata «inviata» dalle amiche per scoprire cosa c'è di vero nelle voci relative al prossimo matrimonio fra Rez e la star giapponese Rei Torei. Rei Torei non è una donna in carne e ossa bensì, appunto, un «Aidoru», un costrutto virtuale generato dai computer che si manifesta nel mondo reale esclusivamente attraverso il proprio "avatar": un seducente ologramma. E Laney scoprirà di essere arrivato a Tokio per ragioni analoghe a quella di Chia: l’entourage di Rez lo vuole assoldare per scongiurare l'abominio di questa «unione innaturale» fra un essere umano e uno spettro elettronico. Le storie di Laney e Chia si alternano, scandite in brevi capitoli.
Montaggio veloce che conserva un'eco di «sperimentalismo», annacquato tuttavia da una scrittura decisamente più piana e scorrevole di opere precedenti (niente a che vedere con la frammentarietà ossessiva di Neuromante).
Ma anche i «contenuti» sono meno radicali. Resta il cinismo delle multinazionali (la Slitscan insegue Laney e cerca di ricattarlo) e delle onnipotenti mafie (Chia, inconsapevolmente usata come «corriere» per introdurre in Giappone una tecnologia proibita, verrà perseguitata dal Kombinat, un'organizzazione criminale russa); resta la vocazione autoritaria del potere politico (il governo americano non si limita a vietare il consumo di tabacco, ma arriva a «cancellare» dai vecchi film qualsiasi fotogramma che richiami il fumo); resta la simpatia per l'individualismo anarchico di protagonisti «marginali», costretti a lottare contro i mezzi soverchianti e la mancanza di scrupoli di grandi organizzazioni.
Tuttavia è difficile rintracciare in Laney la carica di orgoglio luciferino che Gibson aveva infuso in Case, il «cow boy» del cyberspazio protagonista di Neuromante.
Anche dal punto di vista degli scenari, Aidoru sembra ripiegare verso soluzioni più «realistiche», abbandonando la lussureggiante visionarietà dei libri precedenti (ne è esempio straordinario il «villaggio pensile» costruito sul ponte di una derelitta San Francisco descritto in Luce virtuale, riproposto nella recente antologia Cuori elettrici curata da Daniele Brolli).
Occorre tuttavia riconoscere che in Aidoru non mancano spunti interessanti, come la rappresentazione di una Tokio del XXI secolo appena riemersa da un disastroso terremoto: città cupa, aliena e delirante (ricordate il film Black Rain?) crogiolo di etnie, costumi, architetture avveniristiche e ributtanti rovine (ci sono edifici diroccati, tappezzati di urina solidificata e resa inodore da trattamenti chimici). A conferma che nell'ultimo decennio le ombre giapponesi hanno prepotentemente colonizzato l’immaginario filmico americano.
La conclusione? Diremo solo che il «matrimonio proibito» si farà, in un finale che sospinge Gibson sulla via di quella felice «unione mistica» fra umanità e tecnologia che altri autori del filone cyberpunk imboccano sempre più volentieri (vedi Tom Maddox in Halo, ed. Phoenix), mentre finora aveva trattato il tema in modo paradossale e problematico. Insomma: scrittura scorrevole, storia studiata per solleticare i giovani appassionati di musica rock e nuove tecnologie e un potenziale di mercato migliore, Ma quanta nostalgia del Gibson difficile e cattivo di Neuromante!
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