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I mostri della laguna


di Stefania Ulivi


La storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Meno che mai i reietti. gli scherzi di natura, i freaks. Gabriele Mainetti non fa neanche finta di nascondere l'emozione di trovarsi, alla sua seconda prova da regista, in gara a Venezia 78 con un film fuori misura, Freaks Out. Un fantasy storico, un kolossal: 24 settimane di riprese, budget intorno ai 14 milioni di euro. Un'ambientazione - la Roma del 1943 occupata dai nazisti - ad alto rischio. «Ero terrorizzato», ammette il regista di Lo chiamavano Jeeg Robot, il film d'esordio con il supereroe proletario arrivato da Tor Bella Monaca, che ne ha rivelato talento e ambiziosi. E decretato il successo: oltre 5 milioni di euro di incasso nel 2015. «Il mondo della periferia romana lo conosco bene, benché, come dice un mio amico, io sia nato al chilometro zero, in pieno centro. Ma, mi domandavo, come faccio a raccontare la guerra? La conosco dai racconti di mia nonna materna, le ho fatto tanti video. Con Nicola Guaglianone - con cui ha scritto anche Jeeg Robot, ndr - che ha avuto l'idea di partenza, sapevamo che non era possibile avere un approccio da neorealismo. Non è la riproduzione filologica di un momento storico che non abbiamo vissuto. Ma il racconto libero di ragazzi della generazione anni Ottanta che mescolando passato e futuro, cronaca e fantasia». E molte suggestioni cinematografiche, da Tim Burton a Spielberg.

Un film su «mostri che agiscono come uomini e uomini che agiscono come mostri», per dirla con Guaglianone.

Protagonisti cinque reietti, appunto. L'impresario Israel (Giorgio Tirabassi) che sulla pista del Circo Mezza Piotta esalta i talenti di quattro emarginati che ha praticamente adottato, come un padre putativo. C'è Matilde (Aurora Giovinazzo), la ragazza elettrica, Cencio (Pietro Castellitto), il giovane albino capace di domare ogni insetto, Fulvio, una sorta di uomo lupo dalla forza sovraumana (Claudio Santamaria: «Non volevamo fosse Chewbecca, il buono su cui fai affidamento ma un po' monodimensionale. Abbiamo costruito una maschera complessa e stratificata, con un passato doloroso: di famiglia nobile, è stato rinchiuso per anni dal padre per nascondere al mondo la sua mostruosità»). L'ultimo è Mario (Giancarlo Martini), uomo magnetico. Si trovano catapultati nella Roma ferita dalle bombe e dall'osceno rastrellamento degli ebrei al ghetto, incroceranno il giovane nazista Franz (Franz Rogowski), fedelissimo di Hitler e del suo disegno di costruzione della pura razza ariana di cui lui - freak con sei dita per mano, capace di vedere il futuro - si sogna strumento, salvo scoprirsi sbagliato. E quando arrivano i partigiani, vediamo che la lotta ne ha fatto dei freaks.

«Ci divertiva l'idea di accostare al freak, che di per sé è unico, un personaggio fortemente conflittuale come il nazista e vedere cosa succedeva.

Freaks Out nasce proprio da questo conflitto - osserva Mainetti -. Il nazismo voleva tutti uguali e loro sono tutti diversi. Il titolo è un omaggio al film meraviglioso di Tod Browning, che non ha avuto il riconoscimento che meritava e gli ha distrutto la vita, purtroppo. Ma non solo. Si riferisce anche al significato inglese: freaks out vuol dire impazzire. E poi a loro, ai nostri freaks, costretti a abbandonare il loro nido sventrato, catapultati fuori».

Per gli attori un notevole tour de force. Santamaria fin dal trucco. «Oltre quattro ore, mi attaccavano pelo per pelo sulla faccia. Intanto io leggevo Il conte di Montecristo». Non ha dubbi, come tutti gli altri, che Freaks Out segnerà uno spartiacque. «Jeeg Robot è stato lo scavo preliminare, questo sarà la diga di un cinema spettacolare, che diverte, ma raccontando questioni che riguardano tutti». Spettacolare, nel senso più pieno, rilancia Castellitto: «In Italia siamo abituati a sfuggire alla spettacolarità, ad evitarla. Qui invece se la mattina leggevi della scena di un forno crematorio che esplodeva, poi succedeva davvero». Quelle più impegnative sono toccate a Aurora Giovinazzo, esordiente: «Trovata dopo mille provini. È una ballerina, una combattente, una vera tigre. Il femminile è centrale nel film, dove gli uomini sono tutti un po' piagnoni e lei diventa la vera guida del gruppo». Non supereroi da blockbuster. «La loro forza è collettiva, salvare sé stessi per salvare gli altri».

Coprodotto da Mainetti con la sua Goon Films, con Lucky Red e Raicinema, arriverà in sala il 28 ottobre. E firma anche la colonna sonora con Michele Braga. Dove spicca una versione «alla Rachmaninov» di Creep dei Radiohead, eseguita dal giovane nazista Franz. «Merito di Claudio che è amico di Thom Yorke. In una settimana ha detto sì.






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