Scene da un matrimonio
di Stefania Ulivi
Due anni dopo la morte del marito Scott, popolare scrittore di bestseller, Lisey Landon decide di mettere mano al suo studio con imprevedibili effetti a catena, tra scoperte e rimozioni, che rischiano di mettere discussione l'immagine dell'uomo accanto a cui ha passato una vita. Ogni riferimento a fatti e persone realmente accaduti e tutt'altro che casuale, visto che l'autore è Stephen King e il romanzo, La storia di Lisey uscito nel 2006, è dedicato alla moglie Tabitha che anni prima, mentre lui era ricoverato in ospedale per un incidente, decise di mettere ordine nel suo studio. Non pago, lo scrittore ha accettato di scrivere gli otto episodi della miniserie Lisey's Story, diretta dal regista cileno Pablo Larraín (Neruda, Jackie, ora al lavoro su Spencer su lady Diana con Kristen Stewart), prodotta da J. J. Abrams, da domani su Apple tv+. Protagonista è Julianne Moore, anche coproduttrice.
Con lei Clive Owen, Joan Allen, Dane DeHann, Jennifer Jason Leigh.
Scene da un matrimonio in salsa thriller se non horror.
«Questo è il bello! Stephen ha dedicato il libro a sua moglie, si è ispirato al loro matrimonio e in generale ai legami di lungo corso. Solo i due protagonisti conoscono la storia, la loro vita insieme non esiste senza di loro. Stephen ci ha costruito intorno il manifesto di un mondo segreto con un luogo misterioso, Boo'ya Moon. Adoro il sovrannaturale, gli horror psicologici, perché sono porte attraverso cui analizzare le nostre emozioni. e ansie».
Lei e molto ansiosa?
«Tutti lo siamo, credo. E il motivo per cui amo libri e film, è che aiutano a non sentirci isolati, a smettere di pensare di essere gli unici a sentirci confusi. Sono anche una grande fan della terapia e di quanto ci possa aiutare a capire chi siamo. Scriviamo storie di fate e di mostri ma sappiamo che non esistono: i mostri sono i sentimenti con cui dobbiamo convivere, specie in tempi così complicati».
Stephen King è un grande maestro di paura. Lei da cosa è spaventata?
«Dall'idea di fare qualcosa di finto. Come attori, il nostro lavoro è essere credibili, sempre. Ti presenti sempre con la stessa faccia, devi trovare un modo di re-inventarla o usarla in modo diverso. E fortunatamente ho avuto oltre che un partner perfetto, Clive Owen, un'ottima guida, Pablo».
Con il primo aveva lavorato ne «I figli degli uomini» di Cuarón. Larrain aveva prodotto «Gloria Bell» di Sebastián Lelio.
«È una persona su cui poter fare affidamento, ha permesso a tutti di andare in profondità dei nostri personaggi. Mi sono fidata. Da sola non ci sarei riuscita».
Ha conosciuto Tabitha?
«No, solo Stephen. È stato con noi quasi tutto il tempo, sempre disponibile, davvero una grande persona. Ci parlava di lei tantissimo. È un autore capace di rendere universali le cose di cui scrive, ti ci puoi immedesimare. Si capisce che è un grande esperto di famiglie».
Da cosa?
«Dal modo in cui tratteggia, giocando tra realismo e toni fantastici, i ricordi di infanzia di Lisey e Scott, meraviglie e traumi. E il rapporto tra lei e le sue sorelle. Vero e toccante: hanno avuto difficoltà, ma fanno affidamento l'una sull'altra, andrebbero alla fine del mondo l'una per l'altra.
Penso che King abbia pescato dalla sua esperienza».
A proposito di esperienza, Scott Landon è oggetto di ossessione malata da parte di un fan. A lei è mai capitato?
«No, mai incontrati di troppo invadenti. Mi piace che la gente abbia una reazione di fronte al mio lavoro, che mi si dica che ha significato qualcosa. Semmai ci resto male se chi mi ferma dice "Oddio chi sei, che film hai fatto?". E non sa neanche chi sono».
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