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Il più stellare film non realizzato


di Stefania Ulivi


Lo storyboard con tremila disegni originali di Moebius diventato un volume grande quanto tre elenchi telefonici che vagò per le scrivanie di ogni tycoon di Hollywood. Un cast per cui, una volta tanto, l'aggettivo stellare non è sprecato: Mick Jagger, Orson Welles, Salvador Dalì, Gloria Swanson, David Carradine. Le musiche di Pink Floyd e Tangerine Dream.

Una durata ipotizzata tra le 3 e le 10 ore.

Circa 15 milioni di dollari di budget, due di pre-produzione. In tutta la storia fantasmagorica dei film rimasti su carta ce n'è uno più straordinario di ogni altro.

Per ambizione, visionarietà, talenti coinvolti, risorse artistiche e finanziarie, influenze. È Dune di Alejandro Jodorowsky, il suo tentativo di trasferire sullo schermo il romanzo di Frank Herbert.

L'opera che nelle intenzioni del regista di El Topo e La montagna sacra era destinato a «cambiare la mentalità del pubblico. Volevo creare un profeta, la venuta di un Dio artistico cinematografico più profondo di un film, qualcosa di sacro». A cui il regista cileno dedicò, a partire dal 1975, oltre tre anni di lavoro insieme a un gruppo di talenti (i suoi «guerrieri spirituali»): Jagger, Welles, Dalì, appunto, e altri nomi che sarebbero diventati leggendari negli anni a venire. Cioè: Jean Moebius Giraud; il mago degli effetti speciali e lo sceneggiatore Dan O'Bannon; l'artista HR Giger e l'illustratore di molte copertine di romanzi di fantascienza Chris Foss; il gruppo che con Ridley Scott darà poi vita a Alien. Quell'epopea è ricostruita nel documentario Jodorovsky's Dune di Frank Pavich che finalmente, dopo sei anni, arriva in Italia, distribuito dal 6 settembre da Valmyn in collaborazione con Wanted Cinema. Ritratto di un'opera incompiuta - ricordano molti intervistati, a partire dal produttore francese Michel Seydoux e dal regista Nicolas Winding Refn - che terrorizzò gli studios. Come sintetizzò Jodorowsky: «Quasi tutte le battaglie furono vinte ma la guerra fu perduta». Per Frank Pavich ricostruire quell'avventura ha significato, racconta a «la Lettura», immergersi in qualcosa di straordinario.

Sono tantissimi i film leggendari mai realizzati. Perché ha scelto di raccontare l'adattamento che Jodorowsky non riuscirà mai a fare di «Dune»?

«Perché davvero Alejandro non cercava solo di fare un film, ma di cambiare il mondo, voleva realizzare qualcosa capace di trasformare le persone. E, in questo, io credo, ha avuto successo: il suo Dune ha lasciato il segno in chi ne è entrato in contatto. Compreso me».

Jodorowsky paragonava il libro di Herbert a Proust. Lui apprezzò il tentativo?

«Per quanto ne so, non ebbero molti contatti. Di certo Herbert apprezzava e rispettava Alejandro come artista. E credo che all'epoca fosse eccitato all'idea che qualcuno portasse al cinema il suo romanzo, trasformandolo. Adesso chi scrive fantascienza si aspetta di essere adattato, allora non era un genere così rispettato».

Il numero e la qualità dei talenti coinvolti, i «guerrieri spirituali», è stupefacente.

«Questo è uno dei suoi aspetti più affascinanti: un grande artista con una grande visione. Compresa la capacità unica di trovare le persone giuste e metterle nella condizione di essere libere di creare, come lui ha sempre voluto essere. Non cercava imitatori o ammiratori, li aveva scelti perché erano speciali e voleva che dessero il meglio. "Voglio che tu sia tu, non me, per fare qualcosa di unico", era la sua regola di ingaggio».

Mick Jagger come Feyd-Rautba. Salvador Dalì, che ottenne di essere pagato 100 mila dollari al minuto, nei panni dell'imperatore. Orson Welles, in quelli del barone Vladimir Harkonne. Nel suo caso l'argomento vincente fu di mettere sotto contratto anche il suo chef parigino preferito. Piu che un cast sembra un romanzo esso stesso.

«Già un'opera d'arte in sé, è vero. Jodo viveva con grande passione e purezza l'idea di fare il film, e loro lo sentivano.

Quando li incontrava non avevano altra scelta che dire si. Forse non capivano cosa avesse in testa, ma ne percepivano la forza. Nessuno di loro si spaventò. E la parte del protagonista, Paul Atreides, doveva andare al figlio Brontis, allora dodicenne, che per due anni segui un training con un maestro d'arme che gli cambiò la vita».

La tesi del documentario è che, sebbene mai girato, «Dune» abbia cambiato il cinema di fantascienza.

«Ha avuto un'influenza diretta e indiretta. Se Alejandro lo avesse finito, sarebbe cambiato tutto: se fosse stato un successo al botteghino come accadde con El Topo e La montagna sacra, per esempio, Hollywood avrebbe puntato su film più strani, bizzarri. Al contrario, se fosse stato un flop, Star Wars e molti film che seguirono non sarebbero mai nati. Ricordiamo che George Lucas dovette combattere per farsi prendere sul serio, nessuno credeva nel suo successo. Ma già la sceneggiatura ebbe un impatto straordinario. Non sappiamo in quanti misero le mani sul libro di Jodo e Moebius, penso molti. Tutti sono influenzati da altri, a volte intenzionalmente, a volte no. Ci si può divertire a cercare influenze nelle opere di Lucas, Robert Zemeckis, Ridley Scott. Se guardi alcune scene dei loro film, ricordano quei disegni. Non so se si può considerare un omaggio o solo una buona idea da portare sullo schermo. O, forse, è che le idee di Jodorowsky sono così potenti che circolano nell'universo e qualcuno le assorbe. È magia».

Il legame con “Alien” è diretto.

«Tutte le strade portano ad Alejandro, perché il team creativo era lo stesso: O'Bannon, Foss, Moebius, Giger. E così diverso da altri film di fantascienza. È qualcosa di unico, che nasce dal tempo trascorso insieme a Parigi. Tutto ciò ha reso Alejandro felice: aveva avuto ragione a puntare su persone di incredibile talento che hanno avuto carriere fantastiche. Ha contribuito a cambiare le loro vite, come un guru».

Del libro originale di Jodo e Moebius, che fu all'origine dell'opera «L'Incal» della coppia, restano poche copie. Potrebbe essere pubblicato?

«È un oggetto di culto, sarei felice uscisse, ogni pagina esattamente uguale; so che Alejandro e anche Michel Seydoux ne sarebbero felici ma credo non sia facile anche per questioni di diritti. Come sono certo che Jodorowsky sarebbe felice che qualcuno, anche dopo la sua morte, dice, ne facesse un film di animazione».

Il 3 settembre a Venezia, alla Biennale Cinema, vedremo la versione di Denis Villeneuve. Jodorowsky ha bocciato senza esitazione quella che De Laurentiis affidò a David Lynch, nel 1984. Come giudicherà questa?

«Credo sia molto curioso. Villeneuve è un regista incredibile, lo ha dimostrato anche con il sequel di Blade Runner. Sarà il suo Dune, diverso da come lo possiamo immaginare. Il mio sogno sarebbe di vederlo con Alejandro».

Come stà?

«Ha 92 anni, continua a vivere e lavorare a Parigi nella sua casa dove l’ho intervistato per tre anni. Per lui la vita è creazione, raccontare storie, mettere gli altri nella condizione di farlo. Non ha mai interferito nel mio lavoro. Solo dopo aver visto il film che fu presentato a Cannes, siamo diventati amici. E continuiamo ad esserlo.

Mi emoziona che il doc esca in sala in Italia. Non racconta solo un regista che vuole fare un film, ma una persona capace di ispirare la gente. Jodo ci ha insegnato che ogni cosa è possibile.






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