di Paolo Mereghetti

Sono passati 22 anni quando Neo e Trinity si sono imposti nel panorama fantascientifico dando forma (e nome: Matrix) all'incubo che si può nascondere nell'idea stessa di realtà virtuale.

Altri hanno inventato personaggi iconici o smontato la linearità temporale ma nessuno come i Wachowski si era misurato con l'ambizione di costruirvi una intera mitologia. Allora non tutto era andato per il verso giusto (Reloaded e Revolutions inferiori alle attese) e forse per questo, adesso, è solo Lana che prova a ripartire con Matrix Resurrections. Con qualche segno dell'età che passa, Neo (Keanu Reeves) continua a programmare ed è sempre sensibile al richiamo del nuovo Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II) che gli spiega IN che mondo fittizio stia vivendo. Con due grandi novità - oltre a una predominanza di combattenti femmine - rispetto all'originale: Trinity (sempre Carrie-Anne Moss) questa volta si chiama Tiffany e non sa di vivere in una realtà «neurosimulata», dove a tirare i fili sembra essere un misterioso «analista» (Neil Patrick Harris) sul cui divano Neo si sdraia a raccontare le proprie paure. Sempre uguale è invece la difficoltà a decrittare un film che proprio nella sua ingarbugliatezza ha uno dei suoi titoli di vanto.

Trattandosi di fatto di un reboot, i fan possono immaginare come andrà a finire, gli altri scopriranno il Bullet Time (l'effetto visivo che rallenta le pallottole in arrivo ), le trappole della realtà virtuale, l'abilità di Trinity con le moto, la fotografia del nostro Daniele Massaccesi e soprattutto che non bisogna mai fidarsi degli psicoanalisti.

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