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Dietro "Blade runner" i deliri di un poeta maledetto


di Fernanda Pivano


Philip Kindred Dick (1928-1982) è considerato dai giovani il «poeta maledetto della fantascienza» e nel 1987 il suo volto uscì sulla copertina della rivista Time come "uomo dell'anno"; ma nella sua breve vita ha provato esperienze terribili con la droga e molto più conturbanti con pratiche che appartenevano giù alla parapsicologia, aiutato da vastissime letture esoteriche e da una piega naturale che lo ha condotto a diventare psicopatico e a essere ricoverato tre volte in case di cura.

Philip Dick è emerso verso la metà degli anni Cinquanta, come ci ha raccontato così bene Goffredo Fofi nell'introduzione a Ubik, considerato il suo capolavoro, La sua popolarità è diventata enorme col romanzo Cacciatore di androidi, reso visivamente esplosivo nel 1982 dalla riduzione nel film straordinario di Ridley Scott, Blade runner (altre pellicole di successe continuano ad essere ispirate alle sue opere, da Atto di forza di Verhoeven al recentissimo Screamers di Duguay).

I suoi 31 romanzi e il suo centinaio di racconti vengono fatti rientrare di solito nella «New Wave» della fantascienza. Questo filone partì dal «Manifesto» di James G. Ballard, ammiratore se non seguace di William Burroughs, pubblicato nel 1962. Il documento auspicava una nuova scuola letteraria che rendeva obsoleta la fantascienza storica e suggeriva che a essere esplorato non doveva più essere lo spazio ma lo «inner space», lo spazio interne dell'uomo, perché «l'unico pianeta Alieno è la Terra».

Il Blade Runner di Dick partiva da tutt'altra ispirazione: era in voga in quegli anni la parola «cibernetica", lanciata da Norbert Wiener per introdurre il problema se una macchina potesse pensare come un uomo: il dibattito era tra la posizione materialista che lo riteneva possibile e quella spiritualista di parere contrario per difendere l'esistenza dell'anima. Dick scelse la prima, dopo aver scoperto un saggio del matematico inglese Alan Turing, uno degli inventori dell’informatica moderna.

Da queste premesse nacquero gli androidi di Blade Runner, dotati di una breve autonomia "umana" e uccisi col laser dai «blade runners»; cioè dai cacciatori, dai funzionari specializzati, quando pretendevano di restare umani dopo che la loro autonomia era finita.

L'autobiografia che ora esce in Italia, Confessioni di un artista di merda (ed. Fanucci), è nata prima del suo successo. In una splendida introduzione il critico della rivista «Rolling Stone» Paul Williams, che sarebbe poi diventato suo esecutore letterario, ci avverte che Dick vi ha lavorato 16 anni. Cominciato nel 1959, il libro è uscito nel 1975, più o meno insieme al terribile autoritratto La fede nei nostri padri. Dice Williams che questo è almeno uno degli undici "romanzi sperimentali non di genere", secondo la definizione di Dick stesso, scritti durante i suoi primi dieci anni di professione: chi lo leggesse senza conoscere gli abissi di ansie e di nozioni esoteriche, di letture messianiche, insomma di quello che nell'autobiografia Dick ha definito «un armamentario», lo prenderebbe per una storia quasi realistica.

Dick considerava questo Confessioni il più bello dei suoi romanzi non fantascientifici ed è costituito da venti capitoli narrati di volta in volta dai quattro protagonisti: è la storia di quattro persone che vivono e percepiscono, universi molto diversi ma le cui vite si mescolano. L'«artista di merda» del titolo è Jack Isidore, alter ego di Dick, un'anima perduta e ingenua, incapace di distinguere la realtà dalla fantasia, che vede il mondo come una esperienza bizzarra.

Dick disse in una lettera del 19 gennaio 1975: "Quando scrissi Confessioni avevo l’idea di creare un protagonista idiota, ignorante e privo di buon senso… un rifiuto della nostra società… una persona schizoide… un uomo capace di valutare senza pregiudizi le azioni degli uomini e per me è una specie di eroe romantico… Il mio alter ego, più altruista di me."

Gli altre tre personaggi sono Fay, la sorella di Jack, sposata a Charley, proprietario di una piccola fabbrica, e Nathan, un intellettuale al quale è legata Fay.

Con un dialogo come sempre bellissimo, Dick realizza un’altra volta la sua maggiore abilità che è quella di descrivere le reazioni dei personaggi gli uni con gli altri; e un’altra volta dà una prova del suo umorismo. Ma dà prova anche di una indefinita, enorme disperazione che conduce lo scrittore a partecipare ai problemi dei sui personaggi con una certa fiducia nel genere umano. Ciò non esclude l’orrore al quale Dick ci ha abituato; ma l’orrore è per il mondo pazzo e crudele che ci circonda.






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