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Philip K. Dick: l'incubo bianco della fantascienza


di Domenico Cammarota


In un suo saggio su Lovecraft, Claudio de nardi (1) poneva di sfuggita il problema del "'bianco" presente in tanta letteratura angloamericana. Più recentemente Diego Gabutti (2) ha tracciato un parallelo Dick-Lovecraft come maestri produttori dell'incubo. Philip "Moby" Dick, quindi, come profeta funzionale dell'incubo speculativo.

Un paragone più calzante con Dick, mi sembra che sia da farsi con William Burroughs jr.; oltre alle pratiche allucinatorie e psichedeliche dell'uso delle droghe come "inchiostro alternativo" per il proprio stile narrativo (da De Quincey in poi, è tutta una vasta schiera di amanti dell'incubo "bianco"), è da notare un'identico "humus" territoriale e geopolitico, un'identico, spiccato senso di "alienità" nell'accezione strettamente Lovecraftiana del termine (3). Ad esempio, il romanzo più "dickiano" di Burroughs è "Speed" (4); "Speed" è un taglio di eroina e cocaina, e il sogno di "gioventù" di Burroughs, è la sua chiave per mondi alternativi. C'è tutto il mondo di Burroughs, ben diverso. dalla falsa e mielata ambientazione alla “Happy Days"; il mondo delle enormi autostrade d'America, dei viaggi "on the road", dei libri di fantascienza rigurgitanti di robot e mostri verdi… La lettura continua di "Speed", fa piombare il lettore in un universo allucinante, dove non c'à spazio che per la droga; e indubbio il fatto che Dick ha tenuto presente questo romanzo prima di scrivere il suo "A Scanner Darkly" (5). Il mondo della droga è dipinto come un universo bianco, asessuato, religiosamente mistico nei suoi rituali del buco, delle fumate, delle fiutate, delle cadute in estasi che ricorda molto quello dei martiri cristiani (autolesionismo di base e masochismo congenito, ecco la definizione esatta degli "eroi" di Burroughs e Dick). Philip Dick ha delineato efficacemente il suo tipo di "alienità" in "Galactic Pot-Healer" (6), nella "bianca" figura di Joe Fernwright (secondo certe correnti psicanalitiche d'avanguardia, "bianca" sarebbe la cosìdetta personalità "azima" dei disadattati; secondo me, Dick è il classico "disadattato" per e nel mondo della fantascienza, entrandovi per difetto se non per eccesso), l'ultimo artigiano rimasto sulla Terra. I due personaggi principali del libro - l'alieno Glimmung e Joe Fernwright -sono in realtà le due facce contrapposte del rapporto individuo/società, un rapporto che sembra – a giudicare dalla produzione dei suoi ultimi anni - essere vissuto in modo molto angoscioso da Philip Dick. Se da un lato Glimmung - l'alieno, il diverso - con la sua disperata volontà di resuscitare Heldscalla, rappresenta l'ordine che si oppone al caos, dall'altra parte Joe Fernwright, con il suo rifiuto per ogni forma di ordine o comunque di società organizzata, rappresenta il caos che si oppone all'ordine.

Vediamo quindi che per Dick l'uomo "individuale" vale moltissimo, perché solo nella piena consapevolezza delle sue negazioni, e dei suoi limiti, l'uomo può ritrovare sé stesso. Infatti Joe Fernwright, rifiuta "l'ordine", e cioè il passaggio per lui ad uno stato migliore, proprio perché ritiene di diventare migliore sbagliando ed ancora sbagliando. Un po' come facciamo noi tutti… E come sfida suprema ad uno status quo a livello cosmico, Joe crea, finalmente, il suo primo vaso interamente costruito ex novo. E nel finale stupendo del romanzo, si può trovare tutta la filosofia dickiana espressa in poche righe: "Joe valutò professionalmente il valore artistico della sua opera., Valutò ciò che aveva fatto, come sarebbero stati in seguito i vasi. Le sue opere future si profilavano innanzi. Quella in un certo senso era la sua giustificazione per aver abbandonato Glimmung e tutti gli altri. Mali, soprattutto. Mali, che lui amava. IL VASO ERA ORRIBILE."

Dick è uno scrittore per "devianti integrati", o per "integrati che tendono al deviante”? La Questione è ancora aperta. Uno degli errori più frequenti da parte di una certa critica disinformata anzichenò, è quello di porre Dick in seno alla new wave, facendone il vessillifero della "fantascienza impegnata". A parte il fatto che Dick, per un suo privilegiare di certe tematiche, può porsi come antesignano della new wave (non dimentichiamoci che "Time out of Joint" (7) è del 1959), non risulta che Dick abbia preso molto dai testi più rappresentativi della new wave (come ad es. "Barefoot in the head" di Aldiss, "Black Alice" di Disch & Sladek, "Crash" e "The Atrocity Exhibition" di Ballard, "The Sodom & Gomorrah business" di Malzberg, tutti inediti in Italia (8); o come "Tu e io e il continuum" e "Tu: coma: Marilyn Monroe" di Ballard, "Schermo dei mille desideri" e "L'oracolo" di Malzberg, "Droga rabbiosa" di Burroughs jr, tutti tradotti in Italia ma virtualmente inediti (9)), che se in certi casi si nota l'influenza di Burroughs dr, di Donald Barthelme per una certa ironia ludica non scevra da antenati illustri (nessun science-fictioneer fan inorridirà se cito Pirandello?), e di Jorge Luis Borges per "l'asincronicità" dei suoi moduli narrativi e del suo io narrante. Per assurdo, poi, se "The man in the High Castle è ricollegabile a Kafka (10), "Galactic Pot-Healer" è ricollegabile al Dostojevsky de "Le notti bianche” e de “Il Giocatore" (11)... Ne “Il Giocatore", Dostojevsky delinea un ritratto autobiografico di sé stesso, un sé stesso che è sconfitto ma che non si arrende: e questo sé stesso lo ritroviamo identico in "Galactic Pot-Healer" di Philip K. Dick. Dick sembra avvertire questo bisogno atavico di libertà, di volersi scuotere di dosso le millenarie catene con cui religione, stato e società, hanno sempre tenuto avvinto l’uomo. In questo anarchismo esasperato - e purtroppo fine a sé steso, Dick sembra realmente ritrovare sé stesso; e nel romanzo "Deus Irae" (12), (scritto in collaborazione con Zelazny) Dick esprime di nuovo questo suo messaggio: il Dio che cerchiamo sta in noi, sta sulla nostra terra, è l'uomo stesso. Non è Dio che si è fatto uomo. ma il l'uomo che si è fatto Dio, ed è questo il marchio che ci distingue dalle altre cose. Dick con le sue opere vuole indicarci la sua personale strada al domani; l'uomo deve cercare le sue verità in sé stesso, e non negli altri. Quando l'uomo sarà diventato degno del suo nome, allora il mondo sarà diverso, sarà giustificato.

La tendenza all'incubo "bianco" di Dick si riflette nel suo stile freddo, secco, ironicamente amaro; come un'alchimista del ventesimo secolo, Dick conosce perfettamente l'arte letteraria trasmutatoria, da Nigredo ad Albedo…

"Scusatemi, c'è la vita dopo la morte? Omar rispose secco:- La morte non esiste, Era rimasto stupito da quella domanda: presupponeva un'ignoranza davvero abissale,- Quello che voi vedete e chiamate MORTE, è soltanto lo stato di germinazione in cui la nuova forma vitale giace addormentata, in attesa della chiamata per assumere la sua futura incarnazione" (da: "Clans of the Alphane Moon" di P.K. Dick) (13)

Una costante kafkiana molto importante, e perennemente presente in Dick, è la capacità astratta degli "slittamenti progressivi verso lilrreale". Per Dick il fittizio fa parte della realtà, è la realtà stessa; in questa realtà frammentata e allucinatoria, perdiamo quei costanti riferimenti mentali che ci legano all'essenza stessa dello stato di "ESSERE". Per Dick la realtà è irreale ("Time out of Joint"), il mondo è irreale ("The man In the High Castle"), la personalità è irreale (Flow my tears, the policeman said") (14).

L'alienazione in Dick è totale; ma non un'alienazione metafisica come in Ballard, Disch, Malzberg, Burroughs jr, dove l'alienazione viene sempre vissuta in rapporto alla società. Per Dick l'alienazione è "a parte" della società stessa; si nasce alienati, e non si diventa. Al limite, un "nato" alienato, non avrà difficoltà di sorta all'adattarsi all'alienazione della società, salvo che i rapporti sincronici di questo: binomio non abbiano ad invertirsi... C'è un sintomo di "Alien/Azione" in Dick, un sintomo forse stanco e inutile; come già accennato ·precedentemente. Dick è un anarchico nichilista cosciente della "nullità" del suo messaggio, ma proprio per questo dannatamente, scandalosamente VIVO.

Quanti drogati, quanti "tendenti al bianco" avranno letto "A Scanner Darkly"?

Quanti di voi che avranno avuto a che fare con una vecchia scema e imbecille, riconosceranno nella sigaretta spenta di uno che non fuma e nell'aria che frigge la pelle d "chi non è terrestre, chi si sente alieno", il marchio, inconfondibilmente dickiano, della Nuova Apocalisse?

Il rapporto "realtà irreale/irreale realtà" si fa sempre più stretto (15). In questo senso anomalo, Dick è realmente fratello a William Burroughs jr. "Era solo, fra le barriere che da ogni lato lo precipitavano a schiacciarlo. - Il mio nome, strillò, è Surley G. Febbs, e voglio uscire! Potete sentirmi, chiunque voi siate, lassù? POTETE FARE QUALCOSA PER ME?

Non vi fu alcuna risposta. Non c'era nessuno, nulla, al di sopra." (da "The Zap Gun" di Philip K. Dick) (16)

"Ed io rimasi sul prato antistante a quella casetta con le luci accese, ad aspettare che una qualche conclusione mi colpisse. Ma nemmeno qui c'era una fine, e rimasi lì a pensare quanto era strano che io vivessi in quella casa, io, io depravato drogato pazzo, le braccia costellate da crateri per le iniezioni. Cercai di non pensare che io vivevo davvero in questo delizioso angolino, io, io, io che sussurro ai fantasmi, lo vivevo in questo stabile tutto ben curato con i miei capelli arruffati e le unghie lunghe... Era stupefacente, come diavolo aveva potuto questo piccolo ambiente compassato produrre me? Ma non ero pazzo solo in base ai criteri che rifiutavo, perciò la piantati con le elucubrazioni.” (da “Speed” di William Burroughs jr).

Oltre Dick, oltre Burroughs, oltre i sogni alieni vi è l'incerta certezza dell'inutilità latente di tutto quanto. Philip Dick lo ha capito, e con ogni suo romanzo strappa un brandello di identità al suo essere per non consegnarsi alla follia. Quanti saprebbero fare altrettanto?


Note biografiche

(1) Claudio de nardi / Alla ricerca della chiave d'argento in "Il Guardiano della soglia" di H.P. Lovecraft & A. Derleth, collana "Orizzonti" n. XII/l, Fanucci ed.

(2) Diego Gabutti, "Dizionario della fantascienza", a puntate su "Alter alter" dal gennaio 1980.

(3) Cfr. ad es, di HPL "The Outsider" (trad. it. "L'estraneo", in "H.P. Lovecraft - Opere Complete”, Sugar ed.)

(4) trad. it. "Droga rabbiosa", collana underground n. 7, Olympia Press ed.

(5) trad. it. "Scrutare nel buio", collana "Sf narrativa d’anticipazione" n. 15 ed. Nord

(6) trad. it. "Giù nella cattedrale", collana "Galassia" n. 235, CELT ed.

(7) trad. it "Il tempo si è spezzato", collana "I Romanzi del Corriere" n. 59, ed. de "Il Corriere della Sera"

(8) Brian W. Aldiss /Barefoot in the head/ Ace Books ed.; Thomas Disch &: John Sladek/Black Alice/ Panther Books ed.; J,G. Ballard /Crash/ e The Atrocity Exhibition Jonathan Cape editorial Library ed./ Barry Malzberg /The Sodom & Gomorrah business/ Arrow Books ed.

(9) J.G. Ballard /Tu e Io e il Continuum/ e Tu: Coma: Marilyn Monroe/ in: La fantascienza angloamericana: omaggio a Ballard", collana "Nuove Presenze" n. 37-38, Nuova Presenza editrice; Barry Malzberg /Schermo dei mille desideri (Sceeen) collana undergound, n. 5, Olympia press ed.; Berry Malzberg, L'oracolo (Oracle of the Thousend hands)/ collana undergound n. 12, Olympia Preas ed.; William Burroughs jr/ Op. cit.

(10) Cfr. di Kafka specialmente "Il castello", ed. Mondadori.

(11) Dostejevsky, "Le notti bianche" e "Il giocatore", in: classici della letteratura Fabbri, n. 22.

(12) Philip Dick & Roger Zelazny /Deus Irae (Ibidem)/collana Slan n, 33, Libra ed.

(13) trad. it. "Follia per sette clan"/collana "Galassia" n. 124, CELT ed.

(14) The man in the high Castle", trad./La Svastica sul sole/ collana Cosmo Oro n. 29 ed. Nord; "Flow my tears, the policeman said", trad./Episodio temporale/ collana "Sf narrativa d'anticipazione" n. 8, Nord ed.

(15) Cfr. “Manuale (im)pratico per recepire la Sf di Domenico Cammarota su "Intercom Sf" n. 8

(16) trad. it. "Mr. Lars, sognatore d'armi"/collana Galassia n. 109 ed. CELT






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