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Meditazioni strutturali-Dick, il tempo, il labirinto e la strategia della meraviglia neo-barocca 2


STRUTTURALISMO NEOBAROCCO - ambigui parallelismi della modernità

Una delle fissazioni di Dick è la potenzialità di una gestalt, di una conformazione policentrata, di un organismo che vive con una sua organizzazione interna, corroborata da più individui. Questa fissazione, oltre a ritrovarsi esplicitata in particolari oggetti, come il gestalt-macher assassino di PT, o in imperativi etici - restare uniti per evitare la morte come in MD o U - si configura abbastanza chiaramente nella forma dell'universo.

L'universo dickiano è ridondante, è ricco di particolari e di oggetti che potrebbero non servire all'economia di un normale romanzo ad intreccio, e che operano secondo la logica di una "messa in dettaglio". Sul senso di questa operazione ha perspicacemente parlato Calabrese nel suo più recente saggio (Calabrese, 1987:cap. 4), vedendo in questo particolare procedimento un indizio della poetica neobarocca. Ma questo non è che uno degli elementi che possono far rientrare Dick in un'ottica pienamente neobarocca; questo confronto ha il carattere del puro inventariato ed avrebbe senz'altro giovato di più al saggio di Calabrese - e stupisce che non ci sia stato da parte sua un interesse verso Dick - in una trattazione più organica. Senz'altro non ci sarebbe stato soltanto quel richiamo iniziale (ibid. 31) a Blade Runner, ad un Dick di seconda mano, ma sempre e comunque nel pieno delle sue significazioni. Naturalmente non si intende discutere dell'operato di Calabrese, per altro utilissimo.

Per chiarezza precisiamo in cosa consiste il carattere neobarocco ed in che modo può applicarsi nel nostro caso.

È "un'aria del tempo che pervade molti fenomeni culturali in tutti i campi del sapere" (ibid. VI). Si tratta di individuare delle parentele tra una forma storica (il barocco) ed oggetti contemporanei, per cui "dai caratteri di tali parentele proverrà la formulazione di un "gusto" tipico della nostra epoca" (ibid. 13), in base alla tesi che "molti importanti fenomeni di cultura del nostro tempo siano contrassegnati da una "forma" interna specifica che può richiamare alla mente il barocco" (ibid. 17). Gli oggetti presi in esame "non è detto affatto che siano gli stessi denominati come post-moderni" (ibid.), benché si manifestino in un'epoca detta appunto post-moderna (a ragione o a torto (ibid. 14-15)). Noteremo perciò che alcune caratteristiche neobarocche in Dick appartengono alla post-modernità. Agiremo solo su alcune delle categorie esposte da Calabrese: ripetizione, metamorfosi, disordine, labirinto e distorsione. Ciò è già più che sufficiente. In primo luogo ci troviamo a confronto con la ripetizione (ibid. cap. 2); è un concetto che Dick non evidenzia nella sua narrazione, quanto nella sua poetica o tecnica compositiva.

Ovvero, non capita, se non raramente, di assistere a vera e propria ripetizione nel racconto. La ripetizione è d'altra parte presente in quell'atteggiamento che Pagetti ha chiamato "metafantascienza" (Pagetti, 1973). È la tacita accettazione della struttura ad intreccio tradizionale per creare universi molto complessi, che altri autori hanno cercato di trattare in modi differenti. Ma è una ripetizione, peraltro strutturale, inevitabile, come quella del labirinto: ogni volta ci si trova ad un incrocio diverso ma che sembra identico ai precedenti - e viceversa. Una poetica della ripetizione presente anche nel romanzo di Robbe-Grillet, con la stessa funzione, anche se si manifesta più esplicitamente nella struttura enunciativa. Torniamo a sottolineare comunque la funzionalità della ripetizione in Dick, metafora dell'universo labirintico. In secondo luogo troviamo la metamorfosi (Calabrese: cap.5) ed il mostro suo parente. Dick ne fa largo uso, puntando sia alla spettacolarità che alla misteriosità, e arrivando spesso anche a quell'informità che "lungi dall'adattarsi a qualsiasi omologazione delle categorie di valore, le sospendono, le annullano, le neutralizzano" (ibid. 99).

L'idea generale è che il mostro, il Minotauro, serva solo a rendere più interessante (inquietante) il labirinto (Eco, 1985:62). In Dick ciò è vero e legato ad una significazione autonoma del mostruoso, dato che il vero antagonista è il sistema stesso, il labirinto e non il mostro. Narratologicamente l'incontro con il mostro è una delle prove dell'eroe, non la prova con l'antagonista, quasi sempre. Questo quando il mostro ed il sistema non coincidano o siano isotopici (ad es. Brose ed il sistema-yance).

Il mostro dickiano è spesso informe, Brose stesso lo dimostra con le sue caratteristiche ameboidi, e comporta una metamorfosi (Brose è diventato così a causa dei continui trapianti). E la metamorfosi può essere quella tradizionale dei mutanti - si pensi alla bambina che porta il fratello dentro di sé dopo la guerra totale (DB) - o quella mentale - il sistema poliencefalico di MD o la realtà ripiegata di FT. Se vogliamo altri mostri possiamo trovare il Minimax in SL, il grande computer in VH, la malattia mentale in CAM, Jory Miller in U e i simulacri, alias replicanti, in S e DA, Palmer Eldritch in TS.

È interessante notare una forma temporale nella metamorfosi: i mutanti possono essere evolutivi - forme biologiche non ancora manifestatesi - oppure regressivi come i Chopper (neanderthaliani di S). Ancor più interessante osservare che Dick connette sempre la metamorfosi alla tecnologia, la considera cioè una conseguenza perlopiù nefasta della manipolazione umana sulla natura, che sia la bomba o la ricerca. La tecnologia produce le sue stimmate, che marcano indissolubilmente l'uomo in modo industriale (Palmer Eldritch ed i suoi clienti) , lo rendono mostruoso e fanno sì che la tecnologia sia essa stessa un mostro. E non è questione di sonno della ragione; con o senza ragione, Dick dà alla scienza il carattere della mostruosità e dell'informe, forse soprattutto a causa della realtà che ha sotto gli occhi (gli anni 60). "L'immaginario tecnologico produce meraviglia (maze, labirinto, aggiungerei; n.mia) e terrore, non viene quindi mai conquistato attraverso la ragione" (Pagetti, 1983b:5).

Procedendo in questo senso si giunge al fecondo concetto di replicante, di figura sostitutiva dell'uomo. Dick propone una versione solitamente filogenetica della nota antinomia umano/meccanico, attraverso la fase intermedia dell'androide, simulacro umano o replicante. Il risultato è generalmente qualcosa di ancor più mostruoso dei due poli che lo originano. L'androide ha l'aspetto esteriore dell'uomo e quello interiore della macchina, ma assume in sé il male dei due poli. Non. solo, il terrore nasce dal fatto che questo processo genetico fa sì che "le macchine diventino sempre più umane" (Dick, 1972) e che l'uomo a sua volta diventi sempre più macchina. Ciò è insopportabile. Il replicante è anche una figura dell'instabilità caotica (Calabrese, cap.6): lo è nel romanzo DA, sia nel comportamento che nell'aspetto, a partire dal quale non si può decidere se è meccanico o meno - e Deckard preferisce non decidere, infine. E l'instabilità è un’altra categoria neobarocca che troviamo a profusione in Dick, sotto forma di entropia a tutti i livelli: dal kipple (DA), un pattume entropico che conosce molto bene il secondo principio della termodinamica, allo straripante Ubik, dall'influsso schizofrenico del piccolo Manfred Steiner (MTS) al distruttore formale in MD. Non solo, solitamente con l'avvento di mondi alternativi aumenta l'entropia, i dati da tenere a mente crescono in fretta, secondo uno schema incrementale che aumenta la confusione. Si pensi anche alla distorsione che troviamo in GD, in cui Dick specula sulla teoria platonica dei fenomeni e noumeni, dove la distorsione è solo una patina, una maschera sopra la "vera" città.

Accanto a tutto ciò abbiamo un principio complementare, quello dissipativo della complessità che si viene a creare (Calabrese, cap. 8), complessità che avevamo già riscontrato a livello di messinscena di oggetti e dettagli, e che vale anche per la struttura dell'intreccio, in cui ogni personaggio è deterministicamente legato a tutti gli altri in una lunga catena indissolubile, spesso marcata dai bisogni. Ma oltre a ciò si pensi anche alla teoria del gioco, sia per il suo valore strategico, ma soprattutto per il suo carattere dissipativo, che in alcuni casi è il principio stesso dell'universo, nel paradosso di un controllo sul caso - come espone brillantemente anche Borges in "La lotteria a Babilonia" (Borges, 1941), un possibile inter-testo per SL.

La catena di complessità e instabilità ci riporta infine al percorso labirintico (Calabrese, cap. 7) su cui abbiamo fondato questa nostra riflessione e che ha agito in qualità di contenitore complesso ed onnicomprensivo. Forse il percorso è stato volutamente e pretenziosamente lasciato sul modello del labirinto. D'altra parte, è proprio vero che è difficile uscirne.


6. CONCLUSIONI - interpretare la storia

Se è vero che Dick, portando con sé una grande quantità di elementi neobarocchi, è un magnifico interprete della nostra epoca - forse più che della sua - non dobbiamo trascurare che i suoi romanzi sono stati scritti vent'anni fa ed anche trenta. Dick aveva molti elementi di giudizio sotto gli occhi e molte necessita espressive, comprese in quelle della sua epoca. Così, se Dick interpreta profeticamente gli anni 80 e seguenti, dobbiamo cercare di ricostruire almeno per evitare una lettura solo contemporanea, poco epistemologica, quali siano state le spinte che lo hanno condotto a ciò, a formare il suo apparato tematico a partire dalla metà degli anni 50. In altre parole, qual è la posizione di Dick nei confronti della modernità, della sua storia?

Già si è notato che "nella rinuncia a una solida struttura narrativa, nella sovrapposizione di linguaggi e di situazioni fantastiche, il romanzo di Dick alla fine degli anni 60 si avvicina alla condizione della poesia, o di nuove forme teatrali" (Pagetti, 1983:b:7). Il che significa molto in un contesto come quello della Sf, che ha continuato a proporre forme solide e cristallizzate in standard industriali fino ai giorni nostri, pur traversando un fertile periodo (gli anni 70) di sperimentazione e sovvertimento - anche se spesso "controllato" o allineato. Mi pare che ci sia molto di pertinente in quanto diceva Italo Calvino, in un saggio dedicato per l'appunto al labirinto (Calvino, 1962) - meglio, alla "letteratura del labirinto" - rispetto al discorso generale sulla posizione di Dick. Soprattutto perché si tratta di riflessioni fatte agli inizi degli anni 60.

Calvino analizza lucidamente la situazione della letteratura nel nuovo mondo di quegli anni in cui si è "entrati nella fase dell'industrializzazione totale e dell'automatizzazione" (ibid. 82). Egli è più pessimista ancora di Dick, afferma infatti che "le macchine sono più avanti degli uomini; le cose comandano le coscienze" (ibid.). Lo scenario di questa seconda industrializzazione, ultimo slancio della modernità, ci porta solo alla constatazione che "non siamo ancora capaci di tener testa a tutto questo" (ibid. 83). L'unica soluzione per la letteratura, in un momento traumatico come questo, è quella in cui "l'atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione" (ibid. 84). Calvino discute soprattutto nel senso di un'avanguardia che avrebbe dato di lì a poco notevoli stimoli - si pensi al gruppo 63 - e che avrebbe chiarito il senso di posizioni ideologiche a livello strutturale, dal significante al significante e viceversa.

D'altro canto, però, "viviamo in un tempo di stratificazione culturale tale da rendere giustificato il rilancio del concetto di 'avanguardia ma anche da rendere più vistose le ragioni della sua crisi" (ibid. 91). Con ciò Calvino si rende testimone di profondi dissidi di un'epoca inquieta, in cui si operano rovesciamenti praticamente su tutto, persino sul rapporto uomo/industria, dove il beat diventa un "selvaggio della civiltà industriale", in cui la regressione allo stato selvaggio "non è un "ritorno alla natura", al contrario: è una naturalizzazione dell'industria" (ibid. 93).

In questa situazione complessiva, in cui si fronteggiano una linea "razionalista" ed una "viscerale", una tecnologica, l'altra "selvaggia", egli riscontra una tendenza all'unificazione, al convergere delle due tendenze. Dove? Proprio in "Dans le labyrinthe" di Robbe-Grillet, che "ripiega verso un'interiorizzazione, e lo fa proprio col suo massimo sforzo di spersonalizzazione oggettiva" (ibid. 94). Il processo è quello conosciuto di una macchina, c è dunque mimesi, isomorfismo tra l'automa e la rappresentazione. Questo procedimento è volutamente un labirinto, e ci appare come "l'archetipo delle immagini letterarie del mondo" (ibid. 95). Gli esempi, per Calvino, non mancano: Butor, Gadda, Borges, Queneau, Nabokov, Grass, forse addirittura Musil con la tentazione del romanzo globale. Saremmo tentati di aggiungere Dick a pieno titolo, come lo avrebbe fatto Calvino se ne avesse conosciuto il pensiero. Giungiamo quindi ad un passo illuminante:

"Questa letteratura del romanzo gnoseologico-culturale (…) ha in sé una doppia possibilità. Da una parte c'è l'attitudine necessaria per affrontare la complessità del reale, rifiutandosi alle visioni semplicistiche che non fanno che confermare le nostre abitudini di rappresentazione; quello che oggi ci serve è la mappa del labirinto, la più particolareggiata possibile. Dall'altra parte c'è il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi nel labirinto del rappresentare quest'assenza di vie d'uscita come la vera condizione dell'uomo" (ibid. 96).

È quanto, ci sembra, abbiamo ricavato finora per quel che riguarda l'universo dickiano e la sua poetica, tanto avveniristica, post-moderna o neobarocca quanto moderna, leggibile come interpretazione coerente dei suoi anni.

"Resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alle loro difficoltà'' (ibid.) ed è vero inoltre che la letteratura non può fornire la chiave per uscire dal labirinto. Pare di leggere l'assunto teorico di un romanzo come U, o come MD. La letteratura, prosegue Calvino, può solamente "definire l'atteggiamento migliore per trovare la via d'uscita, anche se questa via d'uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all'altro" (ibid.). Ecco quindi il senso della "sfida al labirinto", la sfida al sistema, condotta con le regole della partecipazione, dall'accettazione, di una simile condizione esistenziale, da giocare con i sottili stratagemmi di un percorso da leggere attentamente.

Ecco il senso di necessità della congettura e della miopia teorica, in un complessivo atteggiamento strategico, che Dick ci offre con i suoi personaggi della vita quotidiana e disturbati da tutto ciò che comporta una decisione vitale.

Ecco quindi che il Dick che "vede" alla perfezione il corridoio ormai immodificabile dell'"american way of life", del benessere del boom economico, cui egli stesso partecipa nella buona e nella cattiva (soprattutto in questa, se si pensa alla povertà confessata in GM) sorte.

Ecco infine il senso della Sf dickiana, così imprendibile, eppure sorprendentemente legata ad una realtà precisa, quella dell'esistenza umana. Dick, sostanzialmente, ci offre un filo che ci consenta di dire serenamente - per quello che ci è consentito: si pensi all'angosciante ES, dove non si è certi che il finale non sia un universo parallelo, labirinto interiore di uno dei sette protagonisti, in un perenne gioco di rotazione - come Eliade in "La prova del labirinto" (trad.it. Jaka Book, Milano, 1980:169): " ... ha avuto l'impressione di uscire vittorioso da un labirinto. È questa l'esperienza che tutti hanno conosciuto. Ma bisogna dire che la vita non è fatta di un solo labirinto: la prova si ripropone".


BIBLIOGRAFIA

Avvertenza: i numeri delle citazioni appartengono alle traduzioni italiane ed alle riedizioni qui riportate. Per quanto riguarda la bibliografia dickiana ho usato sigle corrispondenti ai titoli originali:

CAM Clans of the Alphane Moon (Follia per sette clan)

DA Do Androids Dream of Electric Sheep? (li cacciatore di androidi)

DB Dr. Bloodmoney, or How We Got Along After the Bomb '(Cronache del dopobomba)

ES Eye in the Sky (L'occhio nel cielo)

FT Flow my Tears, the Policeman Said (Episodio temporale)

GD A Glass of Darkness (La città sostituita)

GM The Golden Man (Non saremo noi e Piccola città)

MD A Maze of Death (Labirinto di morte)

MHC The Man in the High Castle (La svastica sul sole)

MTS Martian Time-Slip (Noi marziani)

NW Now Wait for Last Year (Illusione di potere)

PM The Preserving Machine (Le voci di dopo)

PT The Penultimate Truth (La penultima verità)

S The Simulacra (I simulacri)

SL Solar Lottery (Il disco di fiamma)

TJ Time out of J0int (L'uomo dei giochi a premio)

TS The. Three Stigmata of Palmer Eldritch (Le tre stimmate di Palmer Eldritch)

U Ubik (Ubik, mio signore)

VH Vulcan's Hammer (Vulcano 3)


1 ANCONA, Clemente 19S1 "Tattica/strategia" in Enciclopedia, vol. XIII, Einaudi, Torino, pp. 946-969

2 BARBIERI, G. e VIDALI, P. (a cura di) 19S6 "Metamorfosi, dalla verità al senso della verità", Laterza, Roma-Bari: atti del seminario di studi "Metamorfosi. Viaggio tra i labirinti della ragione contemporanea", Vicenza, Febbraio-Maggio 19S5

3,4 BORGES, Jorge Luis

- 1941 "Finzioni", trad. it. Einaudi, Torino, 1980 2

- 1952 "L'Aleph", trad. it. Feltrinelli, Milano, 1979 5

5,6 BUTTIROLI, Giovanni

- 19S0 "La contraddizione e la differenza", Giappichelli, Torino

- 1984 "Labirinto di quarto tipo", in : Alfabeta, Milano, n. 64, Sett. 1984, pp. 25-26

7 CALABRESE, Omar 19S7 "L'età neobarocca", Laterza, Roma-Bari

8 CALVINO, Italo 1962 "La sfida del labirinto", in Il Menabò, n. 5, Einaudi, Torino. Ora in : id., "Una pietra sopra", Einaudi, Torino, 1980, pp. 82-97

9 CONTI, Carlo Francesco 19S5 "La ricerca del modello, fantascienza, tempo, analisi" in Arcon, Genova, n. 2, Giugno 19S5

10 DICK, Philip Kindred 1972 "L'androide e l'umano" (Discorso di Vancouver), trad.it.: Arcon, Genova, n. 3

11,12,13,14 ECO, Umberto

- 1980 "La combinatoria dei possibili e l'incombenza della morte", in: "Le frontiere del tempo", a cura di R. Romano, Il Saggiatore, Milano, 19S1, Atti del Convegno, Roma, 19S0. Ora in: id., "Sugli specchi", Bompiani, Milano, 19S5, pp. 196-211

- 1982 "L'Antiporfirio", in: "Il pensiero debole", a cura di P.A. Rovatti e G. Vattimo, Feltrinelli, Milano.

- 1983 Postille a "Il nome della rosa", in Alfabeta, Milano, n. 9, Giugno 1983, pp. 19-22

- 19S5 "Il labirinto tra Medioevo e Rinascimento", in: Barbieri e Vidali, 1986

15 FERRARO, Guido 19S1 "Dal tempo discontinuo alla trasferibilità spaziale: una esplosione tra le macchine che "aboliscono la storia", relazione presentata al Convegno di Studi Antropologici Siciliani, Dicembre 19S1. Ora in: id., "Il discorso, il silenzio, la storia", Giappichelli, Torino, 19S2, pp. 43-56

16 KERENY, Karoly 1941 "Labyrinth-Studien", trad.it. "Nel labirinto", Boringhieri, Torino, 1983

17 MIESCH, Jean 1966 "Alain Robbe-Grillet", trad. it. Borla, Torino, 1966

18 MARRONI, Francesco 1983 "Philip K. Dick e i segni del labirinto", in; La città e le stelle, Milano, Nord, n. 2

19 MOORCOCK, Michael 1966 "Le vere idee di Philip K. Dick", trad. it. in K. Laumer, "Retief e i signori della guerra", La Tribuna, Piacenza, 1976

20,21,22 PAGETTI, Carlo

- 1973 "Dick verso la metafantascienza", in: P.K. Dick, "Noi Marziani", Nord, Milano, 1973

- 1983 a "Due modi di rinnovare la Sf americana" , in: La città e le stelle, Milano, Nord, n. 2

- 1983 b "Quando i morti si risvegliano: il mondo alla rovescia di Philip K. Dick (1967-69)", in: La città e le stelle, cit.

23 PHILMUS, Robert M. 1974 "Wells and Borges and the Labyrinth of Time", in Science Fiction Studies, vol. 1, part 4, Autunno 1974

24 PRIGOGINE, I. - STENGERS, I. 1981 "La nuova alleanza, metamorfosi della scienza", ed.it. Einaudi, Torino, 1981

25 PUPPI, Lionello 1985 "La metamorfosi e il labirinto", in: Barbieri e Vidali, 1986

26 ROSENSTIEHL, Pierre 1979 "Labirinto", in: Enciclopedia, vol. VIII, Einaudi, Torino, pp. 3-30

27 SCHOLES, R. - RABKIN, E.S. 1977 "Fantascienza, storia, scienza, visione", trad. it. Pratiche, Parma, 1979

28 VECA, Salvatore 1985 "Ragioni e pratiche" , in Barbieri e Vidali, 1986






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