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Dick e il "problema dello spazio": un inizio


di Mario Fabiani


I LIMITI

Ciò che più conta in qualsiasi tipo di esame, qualunque ne sia l'oggetto, è il porsi fin dall'inizio dei precisi limiti, che definiscano nel modo più chiaro possibile gli scopi e la materia dell'esame stesso. Tanto di più è valida questa premessa in campo artistico, letterario nel nostro caso, quando ci si accinge a delineare un discorso critico.

La natura "magmatica" del testo artistico è tale che, almeno allo stato attuale, risulta impensabile la costruzione di un "modello di sintesi" adattabile a qualsiasi tipo di comunicazione artistica o anche solo letteraria. Né la critica si propone la ricerca di questa "verità" tanto esteticamente attraente quanto illusoria. Così come la scienza moderna va sempre più specializzandosi pur non perdendo d'occhio la costruzione di una "visione del mondo" che si avvicini il più possibile all'ipotetica "realtà" (forse anch'essa un modello, ma è questione di "punti di vista"), così la critica si pone di fronte al proprio oggetto con atteggiamenti sempre più tendenti al particolare, nel tentativo di individuare le "particelle subatomiche" del messaggio artistico, una sorta di "base" da cui partire per "spiegare" via via le strutture più complesse. La ricerca è giustificata, anche se il fine è probabilmente solo ideale. Il rivelare sempre nuovi aspetti del messaggio artistico ne conferma sia la significatività che la polisemicità e l'esistenza di infinite chiavi di lettura.

In quest'ottica io mi propongo di esaminare strutturalmente alcune opere di Philip K. Dick assumendo come punto di partenza il "problema delle spazio", ovvero i legami delle costruzioni spaziali di un subtesto dickiano con la particolare "visione del mondo" propria dell'autore, e ciò sia a livello di separazione testo/extratesto che a livello di assi spaziali dinamici all'interno del testo stesso.

L'esame di questo particolare sub-testo non può esimersi dal fare riferimento ai livelli gerarchici superiori.

L'esplicazione del mio metodo di studio e le sue radici non prescindono dà ciò che rappresenta comunque l'oggetto primario: l'arte, e in questo caso la letteratura, di cui, lo voglia o no, la fantascienza fa comunque parte. Vediamo quindi di procedere per gradi.


1 1L TESTO: la letteratura 1.1 IL PRIMO LIVELLO: Testo/extratesto

L'opera artistica, di qualunque genere essa sia, si distingue comunque come un’entità "spaziale" ben definita, separata tramite confini ben precisi dall'esterno o da un altro eventuale "spazio artistico". Così per un quadro delimitato da una cornice (che può rappresentare anch'essa un fatto artistico completamente distinto), o una rappresentazione teatrale delimitata dal palcoscenico in cui si svolge (1). Nella misura in cui un testo artistico si configura come modello "finito" del mondo, esso definisce i suoi limiti spaziali nei confronti del mondo stesso.

E questa "identità" spaziale non è propria delle sole arti figurative. Nel testo letterario, l'inizio e la "fine" della storia coincidono con i limiti veri e propri dell'universo testuale, e ne sanciscono l'eternità nei confronti del mondo "esterno". Il continuum spazio-temporale del testo si sviluppa e si definisce all'interno di questi due limiti, e non risente di ciò che accade al di fuori. Il problema dell'inizio e della fine è strettamente legato ai modelli culturali immanenti al testo. Nella letteratura moderna, come fa giustamente notare Lotman (2), all'inizio viene demandata generalmente una funzione "informativa": il lettore attinge dall'inizio tutti i dati che gli permettono di inferire le caratteristiche dell'universo narrativo e delle modalità formali del rapporto comunicativo artistico. In altre parole, al lettore deve essere permesso in qualche modo di assimilare il codice proprio del testo, e di approntare una strategia decodificatoria. Una sorta di "presentazione" che ha lo scopo di assicurare al lettore le basi della fruibilità del testo che si trova davanti e delle regole di lettura, che si suppone rimarranno le stesse per tutta la durata della fruizione. All'estremità opposta, quella della fine, viene demandata invece la funzione di "mitologizzazione" del testo, ovvero ciò che è considerato in genere il "significato profondo", ciò che rimanda dal particolare al generale, dal continuum narrativo a quello reale, il manifestarsi in tutta la sua chiarezza di quel "modello del mondo" che l'opera d'arte "deve" farsi carico di costruire. La fine testimonia dell'universalità del racconto.

Ovviamente questa "regola" rappresenta una sorta di "livello zero" della narrativa moderna, valida in toto solamente per quelle opere altamente standardizzate che, perseguendo fini commerciali, devono quanto più possibile "corrispondere" alle aspettative del lettore, che non deve compiere in tal modo alcuno sforzo decodificatorio e non rimane deluso nello “scoprire" alla fine il "vero senso" universale dell'opera. E anche questa regola, così come tutte le altre che attendono al fatto letterario e sono espressione di ben precise istanze e modelli culturali, può essere ed è fruttuosamente violata da opere particolarmente significative dal punto di vista artistico.


1.2 Il SECONDO LIVELLO: lo spazio interno.

Se si accetta una visione dell'arte come "modello finito" di un oggetto infinito (la realtà}, si deve anche accettare il problema di come il testo artistico organizzi la propria struttura spaziale interna, nell'ambito di una semantica connotativa che attribuisca a tale struttura un senso correlato alla particolare visione del mondo veicolata dal testo stesso. Ancora Lotman (3): "il particolare carattere della concezione visiva del mondo, propria dell'uomo, e per cui, nella maggioranza dei casi, denotati dei segni verbali per gli uomini sono alcuni oggetti, visibili dello spazio, porta ad una determinata interpretazione dei modelli verbali". Ciò sta a significare che determinate organizzazioni spazio temporali del testo artistico non sono mai mere "rappresentazioni" della realtà, ma rimandano a ben precisi modelli culturali, che si manifestano in forma "spaziale" tramite i segni verbali.

Naturalmente la struttura spaziale del testo è strettamente legata a quella temporale, ed è inscindibile da quest'ultima: gli elementi dinamici della diegesi narrativa si sviluppano secondo una sequenza logico-cronologica ma anche spaziale, senza la quale non è pensabile la rappresentazione degli elementi stessi. Allo stesso modo il problema dello spazio è strettamente legato ad altri aspetti del testo, quali la dinamica dell'intreccio, i personaggi, il punto di vista e la prospettiva. Una corretta analisi narratologica dello spazio testuale non può prescindere da tutto questo, anche se, come vedremo, la standardizzazione di alcune tipologie nell'ambito di determinati filoni letterari, quale può essere la fantascienza, semplificano notevolmente il campo d'esame.


2. IL PRIMO SUBTESTO: la fantascienza

La sf è parte integrante della letteratura del 900, e quindi ne con divide le strutture e i modelli. Il suo statuto di "letteratura popolare" di largo consumo, inoltre, la individua come narrativa ad alto grado di standardizzazione.

L'industria culturale impone l'uso di un codice intertestuale ormai ampiamente assorbito dai lettori "abituali" di questa narrativa. La più recente (e commerciale) sf di provenienza americana sembra tendere alla "ripetizione" quasi ossessiva non solo dei modelli formali "tradizionali" ma anche delle caratteristiche ambientali e dei personaggi (vedi gli interminabili "cicli" e "saghe" varie), in modo da assecondare l'inerzia decodificatoria del lettore, in un'orgia del deja-vu, così come già accade da tempo in campo televisivo. In questa situazione persino la "ridondanza dell'informazione" propria del testo fantascientifico risulta annullata dai riferimenti intertestuali, che si ripropongono comunque validamente nell'interpretazione di qualsiasi opera in questa uniformità magmatica in cui sembra essersi trasformato il genere. La prevedibilità è il primo requisito a cui il testo deve sottostare, e come conseguenza della prevedibilità trionfa l'appiattimento, la non - significazione, la rappresentazione iterativa del nulla.

In quest'ottica la funzione della "collocazione spaziale" del testo è ovviamente quella più convenzionale, senonché, nel caso dei" cicli", molto spesso la costruzione tende all'infinito, nel senso che, una volta stabilite (in modo quanto più possibile preciso) le condizioni in cui il testo si svilupperà, la fine (alla quale immancabilmente sarebbe demandata la funzione di "significazione" universale), viene rimandata indefinitamente (si veda il famigerato "Ciclo della fondazione" di Asimov), permettendo così il "sonno ipnotico" (non solo teorico) del lettore.

Anche a livello di modelli culturali immanenti alle costruzioni spaziali del testo si potrebbe con molta probabilità individuare alcuni (pochi) "canoni" propri del genere (4), la cui discussione, comunque, è rimandata ad altra sede.

Ciò naturalmente non si applica solo alla sf, ne solamente alla sf attuale. Come si diceva, il genere è nato sotto la spada di Damocle della commercializzazione, e quindi l'artisticità dell'opera fantascientifica è da vedersi in maniera ancora più eccezionale che per quel che riguarda il mainstream. La trasgressione, anche se non in modo clamoroso, è comunque apparsa possibile anche nella fantascienza, e i casi si possono contare, è il caso di dirlo, sulle dita di una mano.


3. IL SECONDO SUBTESTO: La fantascienza di Philip K. Dick

Philip K. Dick rappresenta probabilmente uno dei pochi scrittori che è sempre apparso quasi completamente al di fuori della logica commerciale della letteratura di Sf (pagandone anche le conseguenze sulla propria pelle).

L'impressione è che Dick abbia scritto di Sf principalmente per motivi esistenziali, e le molte testimonianze della sua vita, anche sottoscritte da lui stesso, lo dimostrano. Questa indipendenza da certi meccanismi "industriali" gli ha permesso di esprimere, almeno parzialmente, una poetica non certamente convenzionale. Ma non è della forma del contenuto dickiano, già ampiamente discussa da molte voci critiche, che qui si vuole discutere, malgrado l'innegabile interesse che questa può comportare. Piuttosto, interessa qui parlare di quei casi in cui tale forma ha trovato espressione piena in costruzioni strutturali trasgressive della forma del romanzo. Dick non può essere considerato, come detto da alcuni, un autore "rivoluzionario": molto spesso, le sue opere non fanno altro che ricalcare moduli classici del genere senza modifiche di rilievo. E, ovviamente, egli non ha potuto esimersi dal far riferimento allo statuto primario del linguaggio fantascientifico. Ciò nonostante, alcune sue opere si distinguono per una manipolazione particolare della forma espressiva, che meritano sicuramente attenzione.


3.1 ASSI OPPOSITIVI E GERARCHIE DINAMICO-SPAZIALI NELLA NARRATIVA DICKIANA

Mi occuperò più approfonditamente di alcuni romanzi di Dick che più mi sono sembrati interessanti ai fini dello sviluppo del discorso in questione, e precisamente "Eye in the sky" (1959) (5), "Ubik" (1969) (6) e "A maze of death" (1970) (7). Questi romanzi non appartengono tutti a uno dei particolari "periodi" che di solito vengono individuati nello sviluppo della scrittura di Dick, e che grossomodo sono quelli individuati da Suvin (8), anche se due di essi fanno parte di quello che lo stesso critico americano definisce "di crisi". Piuttosto essi mi appaiono degni rappresentanti di alcune categorie di opere dickiane, non necessariamente appartenenti a determinati periodi cronologici. L'esame nell'ordine di questi testi mi permetterà inoltre di delineare una serie progressiva di "livelli di devianza" rispetto al livello zero rappresentato dal testo classico di Sf. In quest'ottica, proprio la cosiddetta "crisi", che si identifica soprattutto nel rifiuto di qualsiasi soluzione definitiva al "problema della realtà" (9), e nello smarrimento esistenziale, ha costituito probabilmente uno stimolo importante alla trasgressione delle forme tradizionali del romanzo, pur sempre nei limiti dati dai mezzi dello scrittore Dick.

Si è parlato molto spesso, fino alla nausea, del rapporto realtà/illusione nella narrativa di Dick, e della famigerata "disgregazione della realtà oggettiva". Molto spesso se ne è solo "parlato", senza investigare la natura di questa "disgregazione", i modi in cui questa agisce, e fino a che punto si spinge. È probabilmente utile a questo scopo operare dei riferimenti ad un particolare subtesto fantascientifico al quale apparentemente molti dei romanzi di Dick si rifanno. Si tratta di quelle opere, peraltro molto frequenti in Sf, che ipotizzano la non-univocità del reale, ovvero l'esistenza di dimensioni "altre" di realtà, e la cui peculiare tensione narrativa risiede proprio nella possibilità di un "passaggio" o comunicazione tra i diversi ambiti. Non necessariamente si parla del cosiddetto filone degli "universi paralleli": anche la narrativa Sf che si occupa di pianeti alieni o di viaggi nel tempo può rientrare in questa categoria.

Nei romanzi tradizionali appartenenti a questo subtesto, si possono individuare principalmente due tipologie di sviluppi dinamico-spaziali del narrato. La prima si potrebbe così schematizzare:


                                 SVILUPPO              AMBITO DI INFERENZA

Mondo della storia

           ↓           (frecce convergenti)            extratesto

Passaggio

           ↓

mondo alternativo     testo

           ↓

        ritorno

           ↓           (frecce convergenti)             extratesto

mondo della storia

In questo caso il procedimento di "passaggio" spaziale dal mondo di riferimento (mondo della storicità) a quello "altro" si svolge al di fuori del testo, in un ambito che compete al lettore, il quale inferisce dalla propria competenza storica i dati necessari all’individuazione del riferimento stesso, e di conseguenza all'effetto di "straniamento" provocato dalla "diversità" più o meno accentuata del mondo testuale. Al testo compete solamente il mondo alternativo, all'interno del quale si svolge completamente lo sviluppo dinamico del racconto. A questa categoria si potrebbero assimilare romanzi come "Pavane" di Keith Roberts, o anche "The man in the high castle” dello stesso Dick. Un secondo sviluppo, più interessante ai nostri fini, è così individuabile:


                                 SVILUPPO   AMBITO DI INFERENZA


                       mondo di riferimento

                                 ↓

                               passaggio    (frecce convergenti)      testo

                                 ↓

                            mondo alternativo

(frecce divergenti)

ritorno            non ritorno

               ↓                    ↓

           mondo riferimento        mondo alternativo

In tale sviluppo, interamente contenuto nel testo, le fasi di "passaggio" e di "ritorno" o "non ritorno" corrispondono a ben precise azioni dinamiche della vicenda, e il mondo di riferimento è stavolta individuato dalla consistenza delle informazioni date all'inizio. Non necessariamente questo riferimento è costituito da una rappresentazione di quella che si suppone sia la realtà del lettore implicito, realtà che in ogni caso è legata alla contingenza della fruizione, e all'inevitabile "scarto" spazio-temporale tra l'atto della scrittura e quello della lettura. Il romanzo, come accade per molte opere di Dick, può anche avere inizio in un'epoca futura, o svolgersi in luoghi totalmente diversi da quelli riconosciuti come" consueti" dal lettore. In ogni caso, comunque, l'inizio dell'opera conferisce una "connotazione" di realtà al primo ambito spazio-temporale presentato. Questo ambito si propone come il primo gradino di una "gerarchia" dei mondi che si suppone debba venire rispettata in seguito.

Questo è ciò che si verifica nella maggior parte della narrativa Sf tradizionale; la funzione dell'inizio è molto importante, in questo tipo di narrativa in quanto definisce in modo quanto più possibile dettagliato il "mondo di riferimento" che, al di là dei più o meno accentuati caratteri distintivi rispetto al mondo del lettore ipotetico, viene immediatamente accettato come "la realtà" in senso spazio-temporale, e quindi assume posizione preminente nella gerarchia dei livelli spaziali del testo.

In una simile organizzazione spazio-temporale, il testo non può che fare continuo riferimento alla gerarchia, sviluppandosi secondo uno schema che può assumere diverse forme:

• lineare, in cui si esclude un "ritorno a casa" al termine della complicazione.

• circolare, in cui lo viluppo dinamico spazio-temporale subisce una digressione per poi richiudersi su sé stesso.

• altri possibili sviluppi in cui non venga comunque negata la "gerarchia degli spazi".

In corrispondenza di ogni diverso sviluppo, la fine potrà determinare, in ossequio alla tradizione connotativa, diverse interpretazioni della vicenda. In ogni caso suffragate e confermate dai dati iniziali. Nel caso ad esempio di procedimento narrativo di tipo "mistery" (molto spesso riscontrabile nella narrativa di Sf), la vicenda potrà sciogliersi con la risoluzione o meno dell'enigma posto inizialmente, ma in ogni caso senza la possibilità di negare l'esistenza dell'enigma stesso.

Vediamo ora come si pone in generale il particolare sub testo dickiano qui in esame nei confronti di queste categorie. Inizialmente esso si struttura in maniera tradizionale: i personaggi vengono presentati ad uno ad uno, in genere dedicando maggior spazio a quelli che assumeranno maggior peso nel corso della vicenda, ed in questo modo il lettore può prendere confidenza con essi e con l'ambiente che li circonda, delineato più attraverso motivi dinamici legati a personaggi che attraverso motivi statici quali le descrizioni, molto poco presenti in Dick, anche a prescindere dalla tecnica di focalizzazione.

La vicenda si delinea quindi all'interno di coordinate spazio-temporali che il lettore può continuamente inferire come coincidenti a quelle iniziali. Ciò può verificarsi per buona parte del romanzo, come in "Ubik", o solo per poche pagine, come accade in "Eye in the sky" o "A maze of death".

A ciò segue un evento che si potrebbe denominare di "commutazione", già chiaramente evidenziato da altri studiosi come onnipresente nella narrativa dickiana. Esso indica in genere il primo passaggio da un continuum spazio-temporale ad un altro (vedi l'episodio dell'esplosione in "Ubik", o la caduta dei personaggi nel bevatrone in "Eye in the sky"). La presenza di un simile evento è comunque riscontrabile in tutta la fantascienza, di qualunque genere essa sia, nel momento in cui l'eroe compie il fatidico passaggio dal "mondo" all'aldilà, passaggio che può svolgersi in modo più o meno traumatico, e la cui durata può dilatarsi nei modi più disparati, fino a giungere a ricoprire l'intero testo. In questo caso il tempo di passaggio e il tempo della diegesi, e la "zona di transizione" è il mondo stesso. Esempi di simili eventi, invero non certo propri della narrativa di Sf, ma di buona parte della narrativa fantastica in generale, possono essere ritrovati ovunque (a partire dallo specchio di Alice di Carroll).

L'eroe di Dick, così come tanti altri, si trova catapultato in una realtà "diversa", della cui diversità si accorge presto, così come se ne accorge il lettore, per confronto con i dati iniziali. Ciò che in genere compie il personaggio dickiano dopo l'evento di commutazione consiste, così come puntualizza Conti (10), nell'elaborazione di una strategia. Una strategia che, basandosi di volta in volta sui dati raccolti nei vari continuum spazio-temporali, gli permetta di sopravvivere, e di indagare la natura della propria nuova esperienza. Egli compie in pratica lo stesso tentativo di indagine decodificatoria che si accinge a compiere il lettore nel momento in cui si trova "catapultato" nell'universo testuale, un universo del quale, almeno inizialmente, non conosce le regole.

L'indagine si conclude, in genere, con un nuovo evento, che diremo in un primo momento risolutivo, che sembra sciogliere ogni interrogativo. Questo evento può coincidere o no con il ritorno dell'eroe (parlo di eroe in quanto si può facilmente dimostrare che, malgrado la frammentazione dei fuochi narrativi legati ai vari personaggi, nel testo dickiano è sempre possibile individuare un personaggio "privilegiato") al proprio continuum. In ogni caso l'evento risolutivo pone in essere definitivamente le categorie spazio-temporali della narrazione e i relativi rapporti con i personaggi. Qui la narrazione potrebbe teoricamente concludersi, secondo lo sviluppo tradizionale. Ma non sempre ciò si verifica,

A questo proposito, prendendo in considerazione i tre romanzi di cui sopra, si delineano ben determinati assi di sviluppo dinamico che andiamo ora ad evidenziare.


3.1.1 "EYE IN THE SKY": omaggio alia tradizione

In "Eye in the sky", per quanto è possibile arguire dalla consueta "libera" traduzione di marca F&L, per quanto riguarda la strutturazione spaziale vera e propria, si ha la frammentazione in diversi "ambiti" paralleli, ognuno dominato dalla personalità di uno dei vari personaggi. Nei confronti di questo romanzo si può ipotizzare un asse dinamico-spaziale come nello schema della pagina seguente.

Come si vede, un simile procedimento rispecchia fedelmente il tipo di sviluppo "circolare" prima descritto, e segue la gerarchia degli spazi, che non viene minimamente messa in dubbio. In un tale sviluppo la condizione di "disgregazione" della realtà non è eversiva, in quanto non si pone in contrasto, ma anzi conferma il carattere duale dell'esperienza percettiva definendo due separati campi dell'esistenza, l'illusorio e il reale, dai caratteri ben distinti e riconoscibili. Al mondo di riferimento sarebbe così legata la connotazione di "realtà", mentre ai mondi alternativi la connotazione "non realtà” o "sogno". I personaggi vivono la loro esperienza come in un incubo dal quale non riescono a risvegliarsi. Resisi conto della loro situazione, i personaggi elaborano una strategia che porta al verificarsi di un’azione violenta e "catartica" che, proprio come in un incubo, provoca il risveglio, inizialmente provvisorio, infine definitivo.

----------------------SPAZIO----------------------------------------DINAMICA

----------------mondo di riferimento---------------------------------esordio

----------------------↓----------------------------------------↓

---------------------passaggio-------------------------------------commutazione

----------------------↓----------------------------------------↓

-------------------mondo "altro"-------------------------------indagine conoscitiva

----------------------↓----------------------------------------↓

---------------------passaggio---------------------------------------↓

----------------------↓----------------------------------------↓

-------------------mondo "altro"-------------------------------------↓

----------------------↓----------------------------------------↓

----------------------↓----------------------------------------↓

----------------------↓----------------------------------------↓

---------------------ritorno---------------------------------------commutazione

----------------------↓----------------------------------------↓

----------------mondo di riferimento------------------------------scioglimento

L'asse oppositivo spaziale e i ruoli comunicativi si configurano alla fine in modo estremamente convenzionale:

mondi alternativi                    mondo di riferimento

SOGNO         connotazioni           REALTÀ

DESTINATARIO   ruoli comunicativi     DESTINATORE

Oggetto: RISVEGLIO

Attualizzazione dinamica:

Indagine conoscitiva ed elaborazione strategica

Il punto di forza di questo romanzo rimane la critica dell'ideologia come costruzione della realtà così come viene definita da Fitting (11). Ma questa critica non mette in dubbio l'ontologia del reale, né la gerarchia dei mondi testuali, limitandosi ad una strutturazione metaforica tradizionale (a questo proposito è importante notare la "logica rovesciata" di uno di questi mondi alternativi, in cui il protagonista Hamilton "vede" in sogno il mondo reale). Lo scioglimento in senso positivo della vicenda, consueto per il Dick delle prime opere, conferma la non conflittualità dei due ambiti spaziali e la loro separazione.


3.1.2 "UBIK" : focalizzazione e competenze spaziali

Il secondo testo in esame, "Ubik" ci dà la possibilità di prendere in considerazione una successiva fase dell'opera dickiana, e di analizzare i rapporti intercorrenti tra la tecnica della focalizzazione multipla, propria delle opere più complesse dello scrittore americano, e la strutturazione dinamico - spaziale del narrato.

"Ubik" si sviluppa in due distinte parti, come già evidenziava Fitting (12), ad ognuna delle quali compete un ambito spaziale ben definito. La prima parte del romanzo, fino all'episodio dell'esplosione sulla Luna, si svolge in quello che si potrebbe definire come il mondo "reale". Questa fase è anche caratterizzata da una certa varietà di focalizzazione del narrato. I punti di vista sono vari e diversificati. Vengono presentati i vari personaggi della vicenda, a cominciare da Runciter, per poi passare a Joe Chip, con l'inserimento quasi "casuale" di due comprimari quali Tippy Jackson e Herbert von Vogelsang. In ogni caso in questa fase la "voce" predominante sembra essere quella di Runciter, ed in effetti, come meglio si vedrà in seguito, a Runciter compete il mondo "reale", quello degli Stati Uniti nel 1992, dove egli sembra muoversi con disinvoltura e abilità. La figura di Joe Chip è ancora piuttosto in ombra, e la focalizzazione del racconto su questo personaggio rivela una certa difficoltà nell'accettare le regole di un mondo che non si armonizza con lui. Emblematico è l'episodio in cui Chip rimane non riesce più ad uscire dalla sua casa. Questo mondo per Chip non è uno spazio amico: egli vi si muove come in una prigione, dove i carcerieri sono rappresentati dalle macchine omeostatiche.

La prima" rottura" nello spazio "reale" si ha con la dimostrazione del potere di Pat Conley, che trasporta Runciter in un vero e proprio spazio "altro" che nulla ha a che fare con la situazione precedente. Il ristabilirsi delle condizioni "normali" è comunque preludio al termine della prima parte del romanzo. L'evento di "commutazione" tra i due ambiti spaziali è rappresentato dall'esplosione sulla Luna. Da questo momento in poi l'azione si sposta in un mondo parallelo, almeno inizialmente identico al precedente, ma che si rivela ben presto come un mondo fortemente entropico, sia in senso spaziale che temporale: le cose si disgregano, e tutto sembra regredire ad epoche precedenti. In questo frangente la figura di Joe Chip si ingrandisce fino a diventare il punto focale praticamente assoluto della narrazione. In seguito si viene a sapere che questo nuovo mondo è quello della semi-vita, nel quale si "aggirano" le entità di Ella Runciter e di Jory, impegnate in una continua lotta per la "sopravvivenza". Lo spazio è uno spazio puramente fittizio, creato e mantenuto in essere dal potere di Jory, e perde energia, regredendo, in corrispondenza con l'indebolirsi del suo creatore.

Lo spazio della semi-vita e quello della vita reale non sono completamente ed ermeticamente separati, anzi la comunicazione è sempre possibile, sia nella prima parte del romanzo, quando Glen Runciter parla con sua moglie, sia nella seconda, quando ancora Runciter di manifesta nei modi più disparati ai suoi uomini istruendoli sulla loro situazione. È sempre e comunque Runciter a gestire la comunicazione, mentre sia Ella Runciter che Joe Chip ne sono i recettori passivi, non potendone stabilire le modalità. I due mondi risultano così definiti e connotati dalla dicotomia LIBERTÀ vs. COSTRIZIONE. Dal mondo della semi-vita di dipartono vettori di desiderio di liberazione, destinati comunque a rimanere frustrati. Nel momento in cui Joe Chip si rende conto di questo, e si appresta a vivere la sua semi-vita senza più speranze, il romanzo si avvia allo scioglimento. L'esistenza dei due mondi separati sembra ormai sancita, così come le connotazioni che ne derivano, e che si possono schematizzare come nello schema riportato al termine dell'articolo.

Per ciò che riguarda lo sviluppo dinamico-spaziale della diegesi, fino a qui (e, come vedremo, anche per ciò che riguarda lo svolgimento nel suo complesso) si avrebbe il classico sviluppo "lineare", in cui è negata la possibilità del ritorno dell'eroe al mondo di riferimento. La gerarchia dei mondi rimarrebbe comunque confermata e ciò rassicurerebbe il lettore sulla corretta interpretazione del narrato.

L'ultimo capitolo, tuttavia, propone l'annullamento dell'intero asse dinamico-comunicativo. Runciter vede l'immagine di Joe Chip sulle sue monete, così come lo stesso Chip aveva visto Runciter in precedenza. Le identità sono ribaltate, le leggi del mondo della vita sconvolte. Runciter per la prima volta non è padrone della propria realtà. La frase finale "E questo era solo l'inizio" presuppone la circolarità del testo, e perciò la perdita, per definizione, di qualsiasi punto di partenza, o di riferimento, così come l'indefinita traslazione dello scioglimento della vicenda, e quindi della mitologizzazione del testo. Tuttavia, probabilmente "Ubik" non si può considerare un romanzo completamente "trasgressivo" rispetto alla strutturazione tradizionale. Una interpretazione deduttiva della vicenda è sempre possibile, come evidenzia Suvin (13): sia Runciter che Joe Chip si trovano nel mondo della semi-vita, all'interno di una illusione creata dalla mente di Jory. Secondo questa interpretazione, lo sviluppo del narrato tende nuovamente a diventare "lineare", come accadeva alla fine del penultimo capitolo, secondo una linea estremamente semplice, illustrata nello schema della pagina seguente:

Resta comunque il totale sconvolgimento che il finale del romanzo porta all'interno delle categorie spaziali, attanziali e comunicative del narrato. Le identità di Runciter e Chip finiscono per far coincidere le proprie competenze-spaziali, negando così il principale asse oppositivo del testo. Al ritorno della focalizzazione su Runciter, finora interpretato come sicuro riferimento al mondo "reale", è affidato il compito di sancire invece la totale scomparsa di quel mondo. L'asse comunicativo si ripiega su sé stesso, definendo la totale inutilità di tutto il procedimento razionale-deduttivo che informa la vicenda. Un simile procedimento non coinvolge soltanto le aspettative del lettore secondo le convenzioni del romanzo tradizionale, così come evidenzia Fitting (14), ma si ripercuote sulla strutturazione dinamico-connotativa interna del testo, che si auto-azzera negando la propria significatività. Da qui l'affermazione di Suvin, peraltro non completamente verificata, sul fatto che "La distruzione della razionalità borghese di cui parla il prof. Fitting sembra quindi non sfociare in una nuova forma, ma in un nichilistico collasso all'interno delle vecchie e mistificanti forme del melodramma di Sf" (5). Ciò che appare evidente è la non perfetta coerenza di un tentativo dickiano di sconvolgere i connotati della propria scrittura in modo di evidenziarne il fallimento comunicativo. Il contrasto tra una strutturazione dei limiti testuali ancora convenzionale e il "suicidio" delle basi connotative e comunicative che fanno muovere la diegesi fanno apparire la conclusione di "Ubik" come un momento non perfettamente integrato con il "tutto" testuale. In ogni caso, è comunque lo si voglia interpretare, "Ubik" rappresenta un primo momento di autentica "rottura" del testo dickiano nei confronti della razionale standardizzazione dei modelli spaziali propri del testo fantascientifico. Quest'opera si configura inoltre come tentativo di aprire una nuova via al procedimento narrativo. Ciò che rimane parzialmente incompiuto in "Ubik" si completa idealmente in una successiva opera di Dick: "A Maze of Death".

-------------------SPAZIO---------------------------------DINAMICA

------------mondo di riferimento-------------------------esordio

------------------↓---------------------------------↓

-----------------passaggio----------------------commutazione (esplosione sulla Luna)

------------------↓---------------------------------↓

------------mondo alternativo-----------------------indagine conoscitiva

------------------↓---------------------------------↓

---------------non-ritorno---------------------raggiungimento risultati dell'indagine

-----------------↓---------------------------------↓

-----------mondo alternativo---------------------------scioglimento


3.1.3 "A MAZE OF DEATH": la rottura del patto di fruizione

"A Maze of Death" presenta una strutturazione significativamente più complessa delle opere precedentemente esaminate. La vicenda prende l'avvio in un mondo dalle caratteristiche ambientali non meglio identificate, dove due dei personaggi della vicenda, Ben Talchieff e Seth Morley, vivono svolgendo il proprio lavoro. Si assiste quindi ad uno svolgimento simile a quello di "Ubik": dopo un primo "evento di commutazione" (il viaggio spaziale) i personaggi si trovano ad agire in un mondo "altro", dalle caratteristiche marcatamente "sintetiche" (Delmak-O, un pianeta con connotati paesaggistici straordinariamente "regolari" e insignificanti, e che sembra popolato da macchine elettroniche animate). Questo mondo, in modo simile a quello della semi-vita di "Ubik", sembra essere sottoposto al dominio di forze occulte, alla volontà di un "demiurgo" sconosciuto che manovra le fila della vicenda. E anche qui è al lavoro una potente spinta entropica (16) che inevitabilmente porta qualsiasi cosa al disfacimento. Ben presto i personaggi, così come il lettore (17), si rendono conto della natura "mascherata" della realtà di Delmak-O, e la consueta indagine conoscitiva che essi intraprendono li porta alla fine a svelare l'identità delle forze in gioco.

Fino a questo momento la "gerarchia dei mondi" si struttura in questo modo:

mondo iniziale (mondo di riferimento)

mondo di Delmak-9 (mondo alternativo)

A questo punto un secondo "evento di commutazione" (la distruzione di Delmak-O) ribalta ancora una volta le prospettive, introducendo un nuovo "mondo", ovvero l'astronave in orbita intorno ad un pianeta morto, all'interno della quale l'equipaggio crea, con l'aiuto del computer di bordo, una serie di "universi poliencefalici", nei quali trascorrere, sospesi in un'''illusione di speranza", il tempo che li separa dalla morte inevitabile. Sia i mondi in cui vivevano inizialmente Talchieff e Morley, sia Delmak-O, non sono altro che creazioni mentali, Si stabilisce quindi una nuova gerarchia, così delineabile:

mondo dell'astronave (mondo di riferimento)

mondi iniziali (mondo alternativo)

mondo di Delmak-O (mondo alternativo)

Sembra quindi prendere forma una "struttura a scatola cinese" nella quale domina la "riproduzione dell'illusione".

Le principali caratteristiche connotative dei tre mondi fin qui delineati sembrano coincidere: la "artificialità" (l'ambiente tecnologico dell'astronave, il mondo "geometrico" di Delmak-O, la nave spaziale di Ben Talchieff e il "kibbutz" su un pianeta alieno di Seth e Mary Morley), e l'onnipresenza delle macchine (il computer T.I.N.C.A, gli insetti e gli oggetti elettronici, il "trasmettitore di preghiere", ecc.). L'unica tensione oppositiva tra i diversi ambiti spaziali è quella rappresentata dall'unico tratto distintivo che sembra separare il mondo 2 dal mondo 3, ovvero una marcata tendenza del mondo di Delmak-O verso l'autodistruzione. In tale situazione entropica si sviluppa una strategia dell'agire dinamico volta alla sopravvivenza, secondo l'asse oppositivo cosi evidenziabile:

                  Mondo di Delmak-O             Mondi iniziali

               DISTRUZIONE (MORTE)  connotazioni   CONSERVAZIONE (VITA)

                      DESTINATARIO      ruoli comunicativi  DESTINATORE

                      Oggetto: SOPRAVVIVENZA

  Attualizzazione dinamica:

Elaborazione strategica e indagine conoscitiva

Il raggiungimento dell'obiettivo prefissato porta tuttavia al secondo evento di commutazione che sancisce il raggiungimento del "gradino spaziale" gerarchicamente più alto, il mondo dell'astronave. La constatazione che tutti i mondi precedentemente presentati sono frutto dell'illusione creata da T.I.N.C.A. pone l'intero svolgersi dinamico dell'azione in un piano "secondo" rispetto all'universo testuale principale, che si caratterizza invece per un impedimento all'azione derivante dalla mancanza di qualsiasi tensione di base che sia in grado di mettere in moto la vicenda. L'illusione dei mondi poliencefalici si pone come "rappresentazione" del mondo primario, così come l'intero romanzo si pone in rapporto alla realtà extratestuale. Dick evidenzia così la funzione della letteratura come "creatrice di illusioni", e la "finzione" come unica fonte di stimoli, seppure illusori, nei confronti di una realtà in via di disintegrazione.

Inoltre la presentazione del mondo di riferimento, anziché essere delegata all'inizio, viene effettuata nel finale, provocando un rovesciamento di prospettive che "inganna" il lettore e ne preclude l'onniscienza, pur ovviamente tenendo presente la possibilità di "salti" nella successione logico-cronologica della fruizione, come giustamente fa notare Conti (18). Il lettore è sempre e comunque onnisciente, ma l'autore fa ovviamente riferimento ad un lettore implicito che rispetti le tradizionali regole cronologiche della fruizione. Un simile procedimento è funzionale alla poetica dickiana, e tende allo smascheramento dei meccanismi pattuali impliciti tra autore e lettore, che rimane, così come i personaggi del libro, sospeso in uno stato di "illusione nell'illusione": anche la letteratura, con la sua ambizione di costituirsi come "modello del mondo", diventa "visione distorta", le cui regole non sottostanno più al codice tradizionale.

Ma "A maze of Death" non si ferma qui, a questo pur potente impatto metaforico. L'ultimo capitolo, in cui Seth Morley incontra l'Intercessore, figura propria dell'universo alternativo creato dal computer, propone una spinta trasgressiva ancora più straordinaria. Lo squarcio nel modello interpretativo del lettore diventa assolutamente irreparabile, almeno quanto la perdita del mondo di riferimento e di tutta la complessa gerarchia che su di esso si basava.

La forza di questa trasgressione è tale da richiudersi su sé stessa: con "A maze of Death" Dick nega alla letteratura qualsiasi consistenza di senso. Nel fare a pezzi il "contratto" con il lettore, egli proietta le proprie angosce esistenziali nella "realtà" extratestuale, mettendo in evidenza il ruolo dello scrittore come "divinità folle" che semina il caos nel proprio universo, rifiutandosi di fornire qualsiasi "rappresentazione" se non quella della sua stessa visione soggettiva in via di disintegrazione. L'unica possibilità, come recita Seth Morley nell'ultimo capitolo del libro, sembra essere quella dell'annullamento, della morte. Ma persino la morte, nel labirinto illusorio degli universi, può ridursi ad una inutile esperienza allucinatoria (19). E allora meglio la cecità, il rifiuto della consapevolezza della propria condizione esistenziale: "Mi piacerebbe essere una pianta del deserto" dice Morley all'Intercessore "E dormire. Voglio essere addormentato, ma sempre conscio del sole e di me stesso”. E sua moglie Mary, che si rituffa ciecamente nell'illusione del mondo poliencefalico, si ritrova ancora una volta a far parte della fantasia incessantemente autodistruttiva di Delmak-O. Si profila un nuovo "falso inizio", che ripropone le condizioni di partenza in un'eterna "simulazione di vita". La strutturazione del narrato, questa volta pienamente circolare, esprime l'inevitabilità di un destino senza via d'uscita.

La lettura di "A maze of death" rivela nel suo dipanarsi una serie di "stratificazioni di senso" che impongono al lettore una continua revisione delle proprie strategie di fruizione, fino ad arrivare alla riconsiderazione dei rapporti testo/extratesto, ovvero, e più drammaticamente, letteratura/realtà. "A maze of Death" rimane probabilmente una delle più tragiche ed autentiche testimonianze della sofferenza esistenziale di Philip K. Dick, e nel contempo una delle sue opere più geniali dal punto di vista letterario.


4. UNA CONCLUSIONE SOLO PROVVISORIA

Come già si anticipava in apertura, Dick non può considerarsi uno scrittore rivoluzionario dal punto di vista della forma dell'espressione. I suoi presunti sperimentalismi sulla focalizzazione multipla e sulla frammentazione dei punti di vista possono forse essere poco consueti all'interno del testo fantascientifico, ma non certo nei confronti della letteratura in generale. La grande peculiarità di Dick sta nella straordinaria forza della propria angoscia interiore che ha saputo esprimere nei suoi romanzi più maturi anche in assenza di un completo e consapevole legame tra questi temi così "forti" e una capacità di manipolare la scrittura non sempre all'altezza. Mentre" Eye in the sky", come numerose altre opere d'esordio, risulta totalmente convenzionale a livello espressivo, "Ubik", come precisa Suvin, rimane un tentativo solo parzialmente riuscito (20), così come altri romanzi appartenenti agli anni 60 e 70 ("The three stigmata of Palmer Eldritch" , "Flow my tears, the policeman said" tra i più evidenti). Il solo "A maze of death", romanzo non troppo considerato dalla critica, si presenta a mio parere con una compattezza espressiva agghiacciante e proprio per questo si inserisce nella ristretta cerchia dei capolavori della Sf. L'analisi comunque si può considerare solamente cominciata, soprattutto nei riguardi di quest'opera.

La mia speranza è quella di aver contribuito ad evidenziare uno degli aspetti finora meno analizzati dello "stile" dello scrittore americano, consapevole del fatto che vi sarebbero ancora molte case da dire sull’argomento, e molti altri spunti interessanti ricavabili nella vasta opera di Dick. Proprio per questo il saggio si configura come "un inizio". Esso si propone come un passibile riferimento, all'interno del testo critico dickiano, in attesa di ulteriori approfondimenti e di una definitiva (e illusoria?) "universalizzazione".


Note:

1 Vedi Jurij M. Lotman, "La struttura del testo poetico", Ed. Mursia, Milano, 1972.

2 Op. cit., p. 261: "E tuttavia la funzione codificante nel testo narrativo moderno è attribuita all'inizio, e la funzione "mitologicizzante" dell'intreccio alla fine."

3 Op. cit., p. 261

4 Tra i modelli spaziali più comuni in fantascienza vi è ad esempio quello che si basa sull'opposizione "esterno vs. interno" (si veda ad esempio romanzi come "La città e le stelle" di Clarke, "Universe" di Heinlein, e innumerevoli altri, o film come "Zardoz" di Boorman e "La fuga di Logan" di Anderson) che in genere è facilmente riferibile ad un'opposizione connotativa di tipo "natura vs. cultura", uno dei modelli più diffusi nel genere. Per un'esemplificazione a livello applicativo di questa opposizione vedi l'ottimo saggio di Piergiorgio Nicolazzini: "Lo spazio moltiplicato. Elementi per l'analisi di 'The star pit' di Samuel R. Delany", su "Robot" n. 35, ed. Armenia, Milano, 1979.

5 Trad. it. "L'occhio nel cielo", Urania n. 525, Ed. Mondadori, Milano, 1969.

6 Trad. it. "Ubik, mio signore", Galassia n. 175, Ed. La Tribuna, Piacenza, 1972.

7 Trad. it. "Labirinto di morte", SFBC n. 46, Ed. La Tribuna, Piacenza, 1974.

8 Vedi Darko Suvin, "P. K. Dick's opus: artifice as refuge and world view", Science Fiction Studies n. 5, 1975. Tradotto come "L'opera di Dick: l'arte come rifugio e visione del mondo" su Arcon 3, Genova, 1988.

9 Circa la definizione del "problema della realtà" vedi Peter Fitting, "Reality as ideological construct: a reading of five novels by Philip K. Dick", Science Fiction Studies n. 30, 1983. Tradotto come "La realtà come costruzione ideologica: una lettura di cinque romanzi di Philip K. Dick" in Arcon 3, Genova, 1988.

10 Vedi Carlo F. Conti, "Meditazioni strutturali. Dick, il tempo, il labirinto e la strategia della meraviglia neobarocca"; Arcon 3, Genova, 1988.

11 Op. cit., pp. 220-224 nell'edizione originale.

12 Peter Fitting, "Ubik: the deconstruction of bourgeois SF", Science Fiction Studies n. 5, 1975. tradotto come "Ubik: la destrutturazione della Sf borghese" in Arcon 3, Genova, 1988.

13 Op. cit., p. 19 dell'edizione originale.

14 Op. cit.

15 Op. cit., p. 19 dell'edizione originale.

16 La presenza di questa tendenza alla disintegrazione entropica si riscontra in molte opere di Dick, da "The Three Stigmata of Palmer Eldritch" a "Martian Time-Slip" fino a "Do androids dream of electric sheep?", e si definisce come caratteristica simbolicamente fondamentale dei "mondi alternativi" dickiani.

17 Dick fa uso qui di un procedimento narrativo particolare. Infatti le scene susseguenti all'arrivo sul pianeta di Ben Tallchieff e di Seth Morley, e precisamente il battibecco che si sviluppa tra i coloni, sono descritte in modo quasi perfettamente identico (malgrado la focalizzazione del narrato si sposti da uno all'altro dei personaggi suddetti) provocando un notevole effetto di "straniamento". In realtà si tratta di un "preavviso" del carattere sintetizzato del mondo di Delmak-O , che si connota, come "falso" e ripetitivo, esattamente come una simulazione computerizzata.

18 Op. cit.

19 Si vedano gli episodi delle morti dei vari personaggi, e in particolare i momenti della morte di Maggie Smith, che Dick ha scritto ispirandosi (per sua stessa ammissione) ad una sua esperienza con l'LSD.

20 Op. cit., p. 19 dell'edizione originale.






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