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Dick, che vita d'incubo prima di Blade Runner
di Carlo Formenti
Philip K. Dick non amava il cinema di fantascienza perché temeva che gli effetti speciali avrebbero prima o poi ridotto al silenzio gli scrittori, schiacciando la capacità evocativa delle parole. Nondimeno tu prodigo di lodi per Blade Runner, il capolavoro che Ridley Scott trasse dal suo romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche?. Forse perché il regista era stato fedele al romanzo? Assai improbabile.
Infatti, se chi ha visto Blade Runner (anche nella versione «originale» di cui il pubblico è recentemente venuto a conoscenza) leggesse il libro appena riproposto da Fanucci (l'editore che sta realizzando un’edizione critica di tutti gli scritti di Dick) ignorando che esso ha ispirato il film, faticherebbe addirittura a metterli in relazione. Geniale quanto farraginoso nello stile (ben lontano dai ritmi serrati della pellicola), il romanzo racconta una tragica e grottesca vicenda giallo-nera, ambientata sullo sfondo d'una sordida Los Angeles abitata da pezzenti e marginali che non hanno potuto lasciare una Terra devastata dai disastri ambientali. Non basta: ben diversi dai romantici eroi maledetti del film, i replicanti del libro (compresa la dolce fanciulla che seduce il protagonista) sono crudeli macchine senz'anima, che incarnano la sfida di una tecnologia alienante che domina gli esseri umani, spegnendone lentamente la capacità d'identificarsi coi propri simili - l'empatia - fino a renderli a loro volta simili a macchine (non a caso il protagonista appare tormentato dal dubbio di essere anche lui un androide).
Insomma, un mondo miserabile e senza riscatto che poco ha da spartire con l'aura di nero splendore gotico che avvolge ambienti e personaggi del film. Ma allora perché Dick, il quale rifiutò di collaborare alla sceneggiatura, e che probabilmente avrebbe preferito vedere un tormentato Gregory Peck - il suo attore preferito - al posto di Harrison Ford nei panni del cacciatore di androidi Rick Deckard, parlò bene del film? La risposta sta forse nelle date. Nei quattordici anni che dividono l'uscita del romanzo (1968) e quella del film (1982), l'atteggiamento di Dick nei confronti della tecnica era divenuto più ambiguo, fino a investire di aspettative escatologiche l'immane sfera di intelligenze artificiali. Ma può anche darsi che Dick si sia in fine arreso a quel fascino delle immagini contro cui aveva combattuto tutta la vita (singolarmente finita nello stesso anno dell'uscita del film).
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