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Dick, l'apocalittico che portò il sogno americano nel futuro


di Carlo Formenti


Il 2 marzo 1982 muore, a 53 anni, Philip K. Dick, stroncato da un infarto e da un fisico indebolito dall’alcol e dalle droghe: per una crudele coincidenza muore proprio nel momento in cui viene finalmente consacrato come autore di successo, grazie a Blade Runner, il film di Ridley Scott ispirato al suo romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? In questi vent’anni la fortuna di Dick non ha mai cessato di aumentare.

Una fortuna alimentata da una critica che è andata al di là della rivalutazione postuma: Dick viene oggi classificato fra i maggiori scrittori americani della seconda metà del '900, e celebrato come precursore della narrativa postmoderna e visionario anticipatore delle mutazioni di fine millennio (ma mentre era in vita gli editori avevano sistematicamente rifiutato di pubblicare i suoi romanzi "seri"!). Anticipando le celebrazioni del ventennale, il 2001 è stato in Italia· un anno ricco di edizioni dickiane. Oltre a proseguire la pubblicazione delle opere complete, l'editore Fanucci (che dal '99 detiene l’esclusiva di Dick per l'Italia) ha dato alle stampe la splendida biografia di Lawrence Sutin, rimediando a una precedente opera (firmata da Carrere e uscita sei anni prima da Theoria), che aveva schizzato un ritratto grottesco dello scrittore, presentato come un narcisista paranoico, affetto da deliri religiosi.

Sutin mette in luce il paradossale intreccio di visionarietà profetica e ironica attenzione al quotidiano che caratterizza la vita e l’opera di Dick, ma soprattutto evidenzia come entrambe siano attraversate da un filo rosso: l'incessante interrogativo su che cosa è reale e su che cosa è umano. Meritano una segnalazione anche i saggi di due giovani autrici, Francesca Rispoli e Linda De Leo: un interessante contributo nel ricostruire i temi unificanti di un'opera complessa e contraddittoria. Sono lavori che si inseriscono nel già ampio panorama critico italiano (basti citare Carlo Pagetti, curatore della «Collezione Dick» per Fanucci, Vittorio Curtoni, ottimo traduttore di molti romanzi, Antonio Caronia e Gabriele Frasca, autori di importanti scritti su Dick).

Benché ricca di spunti e contributi critici, la ricezione italiana di Dick ha però il difetto di averne accreditato un'immagine eccessivamente connotata in senso ideologico, tanto da farne una sorta di doppio letterario di filosofi come Guy Debord e Theodor Adorno: anticapitalista radicale, critico feroce dell'alienazione mediatica, sarcastico censore di una vita quotidiana inautentica, omologata da tecnologia e mercato. Con il rischio di dimenticare che la critica sociale di Dick esprime un punto di vista individualista, anarchico, populista, americano fino al midollo, nemico del potere dei monopoli e dell'autorità politica più che del capitalismo, e che se i suoi eroi denunciano il fallimento dell'american dream, lo fanno in nome dello spirito originario - permeato di fede religiosa - di quello stesso sogno.

Sono caratteristiche che affiorano anche in un romanzo minore del '66, Svegliatevi dormienti, ripubblicato da Fanucci. Snobbato dai critici - che lo considerano un collage mal riuscito di temi, situazioni e personaggi appena schizzati - il romanzo ripropone un'idea già abbozzata in un racconto del '54 (Non avrai altro Dio), nel quale Dick immagina che in un teletrasportatore alla Star Trek si apra una "falla temporale", che un impiegato sfrutta per "dettare" i suoi comandamenti a degli "omini" che, alla fine, risulteranno essere gli antichi Ebrei. Il romanzo sfrutta un guasto analogo (quotidianità, tecnica e casualità creano l'occasione apocalittica) per rivelare l'esistenza di una Terra parallela, un evento che alimenta la speranza di spedire i milioni di disoccupati che sono stati ibernati in attesa d'un lavoro a colonizzare il nuovo mondo. Ma il progetto fallisce allorché si scopre che il mondo è abitato da ominidi evoluti, i quali "controinvadono" la Terra, spazzando via le illusioni sulla "nuova 'frontiera ".

Una metafora del tramonto dell'american dream? Si, ma senza dimenticare che la figura del candidato presidente (destinato a diventare il primo presidente nero della storia americana, in barba ad attentati e violenze razziste) incarna l'inesauribile vitalità di quel sogno. Una vitalità confermata dall’ostinazione con cui tante persone comuni, benché schiacciate dal cinismo del potere, continuano a sognare un mondo migliore: in fondo, anche l’apocalisse di un impiegato, se si tratta di una brava persona, può funzionare.






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