Filosofo dell'altro mondo
di Sergio Valzania
Io sono vivo e voi siete tutti morti... Con questo messaggio Glen Runciter, protagonista di "Ubik", avverte i suoi collaboratori del pasticcio nel quale si sono cacciati. Potremmo parafrasare oggi in "Dick è vivo e la fantascienza è definitivamente morta".
Certo, Urania esce con cadenza perfetta, Fanucci pubblica e la Nord anche. Qualcuno scrive ancora con stile e formato un po' vecchiotti. Ma questa è solo un'illusione di vita, come quella nella quale si dibattono gli sfortunati protagonisti di "Ubik", precipitati in una irrealtà in costante regressione, nella quale gli stereo si trasformano in vecchi grammofoni e i veicoli a cuscinetto d'aria diventano automobili d'epoca.
La fantascienza non è, e non è mai stata, scrivere di omini verdi o di universi paralleli. Si tratta di qualcosa di molto più serio, con precisa fisionomia e grande dignità. La fantascienza è un movimento letterario che, come tutti i movimenti letterari, è vissuto in un tempo, gli anni centrali del secolo passato, dal ’20 all’’80, e in uno spazio precisi. Ossia nell’ambiente anglosassone. Negli stessi anni Hesse ha scritto "Il gioco delle perle di vetro", Junger "Sulle scogliere di marmo", "Le api di vetro" ed "Eumeswil", ma nessuno si è mai sognato di considerarli autori di fantascienza. Questione di scuola, non di contenuto.
Posti i confini del movimento letterario, non c'è dubbio che Philip Dick ne sia stato il maggior esponente. Van Vogt, Herbert, Heinlein, persino Asimov, e senza dimenticare il gigantesco Douglas Adams, hanno scritto romanzi affascinanti. Per apprezzarli è però necessario amare il genere, essere nati negli anni giusti, ricordare la guerra fredda, considerare con distacco i best sellers rifiutare l'evidenza del fatto che dopo "Jurassik Park" il modo di raccontare il futuro è cambiato. Dick invece è per tutti. Per assaporare i suoi romanzi migliori, che oltre "Ubik" sono "Le tre stigmate di Palmer Eldritch", "La svastica sui sole" e "L'uomo dei giochi a premi", è sufficiente amare la capacità di raccontare. Qualunque lettore può frequentare senza preparazione il dubbio sulla verità del mondo, degli affetti, delle percezioni temporali, della morte stessa, che Dick esaspera in maniera esemplare. Provare in maniera definitiva l'esistenza del mondo è impossibile, come ben sapevano i filosofi medievali.
Forse questo articolo non esiste, forse neppure questo giornale, o ne è stata stampata una copia unica, per convincere un solo lettore che il mondo nel quale crede è ancora solido e vitale. Invece è scomparso alla fine del millennio, o non è mai esistito. Non si può saperlo con sicurezza assoluta. E Dick lo ricorda nel migliore, e più angoscioso, dei modi.
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