Doctor Strange, supereroe horror
di Stefania Ulivi
«Ho amato fin da piccolo il doctor Strange, la magia mi ha sempre affascinato». Basterebbe questo, racconta Sam Raimi al Corriere, a spiegare perché si sia convinto a tornare dietro la macchina da presa, a nove anni dall'ultima regia, per Doctor Strange nel Multiverso della follia, capitolo 28 dell'infinita saga del Marvel Cinematic Universe.
«Mio fratello era un bravo mago. Si esibiva alle mie feste, da piccolo ero sbalordito dai suoi trucchi. Quando è morto, sono diventato io il mago di casa, ho cercato di riempire il vuoto che aveva lasciato. Ho imparato i trucchi, mi chiamavano per le feste dei bambini. Quando Kevin Faige, presidente dei Marvel Studios, mi ha cercato per affidarmi il primo titolo che immerge la mano nell'horror, è stata una gioia».
Dobbiamo aspettarci un Doctor Strange più dark?
«Non più dark, quanto più spettrale, con scene che possono fare un po' paura, in cui ho portato la mia esperienza degli inizi. Ma il risultato sarà divertente per gli spettatori. Kevin è come il grande architetto che pensava alla costruzione del Mcu già all'epoca dei miei Spider-Man».
Le piace essere definito «Master of terror»?
«Non tanto. Direi piuttosto apprendista della suspence. Sto ancora imparando. Il cinema per me ha sempre avuto a che fare con la magia. Ricordo i primi Super8 di mio padre che riuscivano a fermare tempo e spazio e a riprodurli. Per tornare alla definizione, mi piacerebbe guru del giardino, mi piace osservare le cose che crescono».
È stato fermo 9 anni, ha fatto il produttore. Perché?
«Il lavoro del regista è dire a tutti gli altri cosa devono fare ma per essere bravo devi fare esperienze. Ho studiato, dato retta ai miei figli, osservato la natura, letto molto, mi sono aggiornato ascoltando i registi giovani, vedendo come realizzano i loro film. Ho cercato uno sguardo più fresco».
Come si è trovato con Benedict Cumberbatch?
«È uno dei più bravi attori della sua generazione, anche Elisabeth Olsen. I loro personaggi erano già definiti. Nel multiverso devono fare i conti con altre versioni di sé, infiniti universi paralleli. Ho favorito questo incontro»
È il ventottesimo film Marvel, come spiega il successo?
«Non ne ho visti molti, ammetto, ma credo sia facile da spiegare. Stan Lee costruì il suo Olimpo pensando alla tradizione greca e romana, assegnando a ognuno tocchi di umanità, un sapore di vanità, orgoglio, gelosia... I supereroi rappresentano un'altra forma di quei miti, una versione idealizzata di noi stessi ma in cui è possibile identificarsi».
Lei ha recitato con colleghi come i Coen e John Landis.
«Solo per divertimento. Ma prima ho fatto l'attore per imparare a dirigere. Ho fatto tanti provini, sono stato anche rifiutato e mi sono reso conto di quanto possa essere pesante. La mia prima lezione: sii gentile con gli attori, spiega quello che devono fare, non abbandonarli a loro stessi».
Se lei potesse viaggiare nel multiverso?
«Andrei dove ritrovare in vita le persone amate che non ci sono più. Come credo farebbero tanti di noi.»
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