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I magnifici tre reietti della Hammer


di Andrea e Stefano Iovinelli


Il progetto è ambizioso ed è partorito dalla altrettanto ambiziosa Star Comics. Le aspirazioni infatti sono quelle di creare un prodotto di alta qualità, fortemente competitivo, e l'obiettivo principale è contrastare, appoggiando l'altro grande successo "popolare" della casa editrice, Lazarus Ledd, lo strapotere esercitato dalla Sergio Bonelli in questo settore. Più specificamente cercando di dar battaglia a Nathan Never, vero e proprio (unico) colosso nel campo della fantascienza a fumetti di produzione made in Italy.

Hammer nasce quindi ufficialmente nell'ottobre del '94, con l'uscita dell'affascinante e intrigante n. 0, Tradita, premessa davvero elegante e convincente, che lascia ben sperare per quello che verrà. Dopo un tento e meticoloso lavoro di pre-produzione, nel giugno del 1995 Hammer prende definitivamente il via con la prima uscita mensile della serie regolare.

Ed è un esordio scoppiettante, indimenticabile.

Quasi "irreale".


Hammer n. 1, Doppia fuga

Aula di tribunale dell'Egemonia.

L'imputata viene condannata a vent'anni di reclusione presso il carcere orbitale di massima sicurezza significativamente denominato Lazareth.

Una nave staffetta, con il suo carico di detenuti, decolla dal suolo terrestre sorvolando la rigogliosa vegetazione sottostante.

Titolo: Doppia fuga (di Febbrari & Olivares - Majo).

Lo spazio assoluto.

La grande colonia orbitante, famigerato carcere invulnerabile, appare in tutta la sua maestosità e la navetta vi approda.

Il satellite spaziale, ruotante intorno al proprio asse per creare la necessaria gravità artificiale, viene mostrato dall'interno in tutto il suo splendore tecnologico.

La detenuta Helena Svensson, temibilissima hacker informatico meglio conosciuta come Hammer, viene sottoposta alla disattivazione della sua interfaccia neurale.

E qui, la sua coscienza - in una sequenza che riporta incredibilmente alla mente le scene iniziali di Ghost in the Shell - si introduce tra le pagine della narrazione. Helena soffre, sia fisicamente che psichicamente, ma non solo della sua condizione attuale. Soffre per un passato che l'ha profondamente colpita e per un presente che non riesce a rimarginarne le ferite. Lo confessa, in una lettera che probabilmente non avrà destinatario, a suo padre, al quale rimpiange di avere solamente stretto la mano nel loro ultimo incontro.

Abbiamo voluto descrivere minuziosamente le scene iniziali di Hammer, perché sono fortemente significative di tutta la prorompente carica narrativa che contraddistinguerà poi l'intera serie, e poi perché semplicemente straordinarie. Drammaticità, sentimento, realismo, azione e puro intrattenimento si fondono magicamente a formare un'opera unica nel suo genere, fino ad oggi difficilmente imitabile per forma e contenuto.

Prima di iniziare col presentarvi lo svolgimento completo della trama, è doveroso avvertire che leggendo quest'articolo potreste guastarvi irreparabilmente la lettura e il pieno godimento del primo numero di Hammer. Cosa che, sinceramente, non vorremmo avvenisse mai. Quindi se non volete che vi sia svelata la storia nelle sue parti fondamentali, limitatevi a leggere l'ultimo paragrafo di questo articolo.

Helena Svensson, Swan Barese e John Colter, sono tre veri disgraziati, degli "emancipati" della società, dei reietti che casualmente si incontrano nella stazione orbitale utilizzata come carcere di massima sicurezza, Una comunità-campo di lavoro con circa due milioni di detenuti, dalla quale è impossibile fuggire a causa della vigile e ineffabile sorveglianza dei "droni" della sicurezza. La vita su Lazareth scorre via, tra turni di lavoro ed episodi di tranquilla quotidianità, in una terribile, pacifica e soffocante atmosfera di vita comune. È una realtà però che nasconde torbide insidie, come l'assalto dei droni, pronti a "terminare" i detenuti appena questi si comportano in modo eccessivamente irrequieto e per un tempo prolungato: esecuzioni che troppo spesso sono ingiustificate e superficiali e che nascondono una giustificazione inconfessabile. Altre volte, sono gli stessi compagni detenuti a rendere la vita invivibile, con violenza, sevizie e maltrattamenti che portano l'individuo fino alla soglia della sopportabilità.

Helena, che fa parte dell'ultimo gruppo arrivato sulla stazione, incontra il goffo Swan nel mezzo di una rissa, e grazie alla loro breve ma sentita amicizia, quest'ultimo le svela la sua intenzione di entrare a far parte del gruppo che sta progettando la fuga dal "lazzaretto". Swan infatti è proprio il pilota che loro cercano e conta di riuscire a barattare il "passaggio" con un prezioso "deviatore" di dati ora in suo possesso.

Nel frattempo vengono scovati dal capo del gruppo, quel bastardo malfidato di John Colter, maestro di falsità e sotterfugi (uno dei personaggi meglio caratterizzati che si siano mai incontrati), il quale naturalmente vuole il deviatore, ma non sa che farsene di Swan, unanimemente riconosciuto come un bambinone poco affidabile. Il caso vuole che Helena sia un hacker "organico", perfettamente funzionante anche se privata degli innesti elettronici e quindi non è stata riconosciuta come tale all'ingresso nella prigione. Solo lei può aiutarli veramente a fuggire, proponendosi di collegarsi, attraverso il terminale messo insieme precariamente dai fuggiaschi, alla rete informatica della stazione. E Swan naturalmente si accoda al patto che Helena strappa a Colter.

Quando tutti i preparativi sono conclusi (con l'aiuto del misterioso personaggio di Nilis), inizia la fuga oltre la recinzione principale e poi attraverso gli innumerevoli corridoi della stazione orbitante, con Helena pronta a neutralizzare allarmi e droni-sentinella. Attraverso varie peripezie, i fuggiaschi si affrettano disperatamente verso la salvezza in una corsa contro il tempo e contro le pressanti e continue reazioni delle sentinelle robotizzate, in ambientazioni che naturalmente non possono esimersi dal ricordare quelle di "Alien" o "Akira". Tutti, in un modo o nell'altro, alla fine vengono inevitabilmente rintracciati e "terminati", e quando sono stati sopraffatti...

I superstiti si "svegliano" ritrovandosi improvvisamente in dei "sarcofagi", allineati uno vicino all'altro, all'interno di un enorme ambiente. In questi contenitori-loculi, vengono ammassati e conservati tutti i detenuti della prigione. Increduli di ciò che vedono, a fatica si rendono conto di aver vissuto solo ed esclusivamente una simulazione, che il carcere come loro lo hanno conosciuto non esiste, e che tutti gli altri detenuti, essendo rimasti collegati al sistema, continuano ad essere inconsapevoli di quanto loro hanno scoperto.

La "vera" fuga, quella dal mondo simulato, è dovuta ad Helena, che penetrando nella rete della stazione, si accorge dell'esistenza di questa colossale mistificazione computerizzata della vita di milioni di persone. Disattivando i dispositivi atti ad eliminare i corpi immobilizzati nelle nicchie di mantenimento vitale, Helena fa sì che i suoi compagni di fuga vengano sistematicamente localizzati ed eliminati "virtualmente", in modo che il sistema di sorveglianza provveda ad una loro immediata soppressione "reale" e che li escluda quindi da ogni ulteriore tipo di controllo.

Il solo modo per liberarli nel mondo reale è paradossalmente quello di ucciderli nel mondo virtuale.

Geniale.

A questo punto il peggio è passato: infatti con la presunzione che nessuno mai sarebbe stato in grado di uscire dalla realtà virtuale, le autorità non hanno previsto alcun sistema di allarme, e: al gruppo di fuggitivi non rimane quindi che imbarcarsi tranquillamente sulle navicelle di salvataggio e "godersi" la nuova provvisoria e precaria libertà.

La lettura di Hammer è stata una delle esperienze più gradevoli che il mondo del fumetto abbia riservato agli appassionati di questo genere, potendolo considerare, senza troppa paura di essere contraddetto, il miglior fumetto, o forse la migliore serie di Sf che sia stata creata in Italia (in Oriente sanno difendersi bene in questo campo).

I soli tredici numeri che compongono tale serie si distinguono per il taglio decisamente adulto, crudo e disincantato. In Hammer i tre protagonisti sono decisamente degli anti-eroi, schiuma della società, per natura o per vocazione, ma comunque schiuma.

Le loro gesta, in un mondo in cui ci si può fidare solo di sé stessi, sono un susseguirsi di guai da risolvere da cui se ne generano di nuovi, sempre più grandi e complessi. Questa è forse la primaria ragione del famelico interesse del lettore medio nello scoprire il loro vivere alla giornata, nel miraggio di trovare l'affare che gli permetta di cambiare vita. E non La vita.

Purtroppo non sempre un fumetto riesce ad avere il successo che ci si potrebbe aspettare o quello che si meriterebbe, e ciò è il frutto di vari fattori che tra loro combinati portano al fallimento.

Naturalmente ciò accade sia per i buoni che per i cattivi prodotti, senza fare salvi nemmeno i capolavori. Hammer è stato l'ennesimo errore commesso dal mondo del fumetto italiano, potendo anzi classificarlo tranquillamente come delitto contro l'umanità.

Gli errori in questo caso furono, primo fra tutti, la freddezza del pubblico, che non seppe aspettare di entrare in sintonia con una storia con pochi "eroi", abbandonando la sua lettura dopo pochi numeri e dopo il buon successo dei primi numeri. E non credo che sia stato nemmeno il "fattore" fantascienza ad allontanare i lettori, altrimenti non si spiegherebbe come possa resistere da così tanto tempo Nathan Never, immerso nella sua gabbia di mediocrità, dettata dalla periodicità che ormai supera abbondantemente i 100 numeri e dal "ristretto" - narrativamente parlando - formato popolare.

Direttamente collegato a questo, personalmente ritengo che un errore fu fatto dal "Gruppo Hammer" nello scegliere il disegnatore del prima numero, quel bravissimo, fenomenale autore che è Majo (Mario Rossi) che ora da prova di sé nel bonelliano Dampyr, ma che in quella situazione forse non era il più adatto, troppo "sporco" e duro per avere un largo riscontro; noi stessi, lo confessiamo, allora non apprezzammo più di tanto la sua opera. E ancora oggi ci chiediamo perché il primo numero non fu affidato alle più esperte e collaudate mani di Giancarlo Olivares, in un massacrante susseguirsi di domande volte solo a dar una futile ma appagante - per le nostre coscienze - spiegazione ad un fallimento che non avrebbe mai dovuto accadere. Per dare una risposta ad una domanda che forse invece non ne ha.

Terzo fattore fu il conflitto tra editore ed autori, che non si accordarono sul modo di cercare di sopravvivere. Un vero peccato.

Un ultimo consiglio: chi non ha avuto la fortuna di leggere la serie Hammer, lo deve fare assolutamente. Se sì è degli appassionati di fantascienza, di quelli veri, allora avrete le vostre soddisfazioni. La serie non dovrebbe comparire nemmeno tra il materiale "esaurito" della Star Comics. E allora che fate ancora lì? Cercatelo!!!


La serie di Hammer è composta da quattordici fascicoli


Hammer vs. Matrix: scontro virtuale, di Andrea lovinelli

Immagino che in molti, tra quelli che non avevano letto il "numero uno" di Hammer e quelli che non se ne erano ricordati, leggendo quanto detto nel precedente articolo abbiano notato una qualche "somiglianza" con il giustamente osannato Matrix, dei fratelli Wachowski. A me l'albo di cui sopra piacque incredibilmente, come pure il film d'altra parte, ma non posso esimermi dall'evidenziare come Hammer n. 1 sia uscito nelle edicole italiane nel Giugno del 1995. A voi quindi le dovute considerazioni.

Una sorta di ·raffinato e sottile "plagio", dunque? No, assolutamente.

Le due idee sono sì brillanti, certamente simili, eppure se le analizziamo attentamente molto differenti, per costruzione e impostazione.

Partiamo dall'inizio, o meglio da prima che le due storie abbiano inizio. In Matrix (da adesso MA) gli esseri umani sono ridotti ad una condizione di assoluta sottomissione, semplici "pile energetiche" dell'entità artificiale simil-robotica che si è impadronita dell'intero pianeta. Vengono letteralmente coltivati dalle macchine: fatti nascere all'interno di incubatrici, cresciuti e nutriti con le spoglie dei loro stessi simili e al termine del loro ciclo vitale dati in pasto ai nuovi nati per dare continuità all'interminabile, oscena catena di rifornimento energetico.

Gli umani nati per merito della civiltà meccanica (solamente grazie ad essa) vivono una perfetta vita virtuale che corrisponde in tutto e per tutto a quella che sarebbe stata la loro imperfetta vita reale, e cosa assai importante, sono assolutamente non coscienti di tutto questo, né lo sono mai stati in una qualsiasi frazione di secondo della loro esistenza consapevole. Non hanno mai vissuto veramente e non avranno mai la possibilità di farlo, perlomeno quella maggioranza di essi che non verranno liberati dalle poche e coraggiose "cellule ribelli" rimaste della razza umana.

In Hammer (HA) i protagonisti vivono una vita perfettamente "normale", piena di guai, problemi e imprevisti. Solo in un secondo momento, quando commettono un crimine e vengono giudicati colpevoli per questo, vengono subdolamente e inconsapevolmente immersi nella ben più controllabile realtà virtuale che ha l'aspetto della vera stazione orbitale "Lazareth". Il carcere orbitale esiste ed è stato costruito proprio per poter tenere sotto controllo con il massimo grado di sicurezza il maggior numero di malviventi della peggior razza mai raccolti, ma è la sua "realtà" ad essere finta, fittizia, pura costruzione virtuale di un sofisticato programma di simulazione, che integra in un solo complicato ambiente la totalità delle coscienze dei prigionieri. Essi "vivono" in un mondo che non c'è, ma che è comune e "reale" per tutte le loro coscienze. Inoltre questo diabolico sistema sfrutta la naturale voglia di fuga dei detenuti e la loro istintiva aggressività, per cogliere ogni minimo comportamento che ecceda il limite della sottile soglia di tollerabilità consentita dai droidi di sorveglianza, e procedere poi ad una comoda e liberatoria "terminazione" virtuale, e di conseguenza anche reale. Tutti, chi più chi meno, sono coscienti infatti della costante precarietà della loro condizione e vivono nella fondata consapevolezza che mai è poi mai riusciranno ad uscire di lì.

In MA, la liberazione dalla prigione virtuale e dal controllo del sistema robotizzato avviene solo grazie ad una "fonte esterna", ma c'è anche da sottolineare che questo non si verificherebbe se non ci fosse il volontario consenso, l'appoggio cosciente della mente del prigioniero. È Neo infatti che decide del proprio destino, scegliendo, ricorderete certamente quella bellissima sequenza, tra la pillola rossa e la pillola blu.

Nessuno infatti sembra poter essere in grado di valicare il muro della virtualità se non dopo aver ceduto mentalmente e consapevolmente alla realtà dei fatti: è la mente, ancor prima del corpo, ad aver "bisogno" di una fuga, della presa di coscienza dell'irrealtà che la circonda. La mente si deve liberare dalle catene della credibile e comoda "non realtà" per tuffarsi azzardatamente nella poco credibile esistenza reale che ha le sembianze di un incubo lontano e terrificante, nemmeno immaginabile.

In HA, diversamente, i detenuti non avrebbero alcuna possibilità di fuga dal mondo virtuale di Lazareth se non fosse per l'intervento determinante dell'hacker organico Helena Svensson. La sua è una presenza inattesa, non contemplata, ed è proprio questa sua peculiarità che gli permette di poter agire indisturbata, di scoprire l'inganno e quindi di liberare i suoi compagni di evasione. Ed è tanto efficace perché è una minaccia che giunge dall'interno del carcere stesso, da dove i progettisti delegati alla sicurezza invece hanno calcolato che non potesse uscire nessuno, mai, in alcun modo. La stessa Helena afferra la realtà delle cose solo dopo essere riuscita a "interfacciarsi" (perché, attenzione, questo nella realtà non avviene mai) virtualmente nella fuga irreale, e dopo lungo tempo, con difficoltà.

Neo, nuovo "messia", per liberarsi dei suoi carcerieri avrà bisogno di un provvidenziale intervento esterno, senza il quale sarebbe per sempre rimasto nella sua culla-tombale; fatica ad accettare la sua condizione, ne sente il peso della responsabilità e teme, suo malgrado, quello che questo ruolo comporterebbe.

Helena invece, semplice paria della società e disonesta furfante, è l'artefice della liberazione "interna" dei suoi compagni, non ha pretese "superiori", non desidera salvare l'umanità dal suo oscuro destino, anzi se ne disinteressa completamente, e ha come principale scopo della sua esistenza solo quello di vendicarsi di colui che l'ha tradita consegnandola alle autorità.

In MA. Neo e i suoi compagni ribelli lottano per salvare un mondo dominato da esseri artificiali malvagi, loro carnefici nonostante ne siano i "creatoti". Sentono la necessità di liberarsi della colpa – o almeno tentano disperatamente di farlo - del loro stesso crimine, che ha portato alla distruzione della loro terra e dei loro simili. Si battono per il prossimo, sprezzanti, coraggiosi contro il mostro invincibile, mettendo a repentaglio le loro stesse vite.

In HA. i tre protagonisti non sono nessuno e tali vogliono rimanere. Non vogliono, non desiderano salvare loro stessi, né le loro anime, dalle loro continue e venali colpe. Figurarsi il prossimo.

Non desiderano cambiare né la loro vita né la vita, e si accontentano di sbarcare il lunario giorno per giorno, sempre in cerca di quella "sistemazione" fortunata e possibilmente definitiva che possa risolvergli l'esistenza. Non sono indomiti guerrieri dall'animo impavido e se l'occasione è propizia, non disdegnano una bella fuga a gambe levate. Litigano, s'azzuffano e scalciano e se possibile disprezzano volentieri. La sfiducia, in quanto reietti, nei confronti dell'umanità, della società e del destino gli impone di essere così, per la loro stessa sopravvivenza. È la dura legge della giungla ed è la sola che ti permetta di poter andare avanti, nel loro mondo. Che è poi anche nel nostro.

E voi, da che parte state? Hollywood?, la salvezza del mondo e di chi ti sta (o dovrebbe) vicino?

Oppure stai con noi, già... noi reietti, per la sopravvivenza?






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