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Un'ambigua utopia (Spagnul)


Nella raccolta di saggi di Valerio Evangelisti "Alla periferia di Alphaville" (L'ancora del mediterraneo, 2000) per ben due volte viene menzionata la rivista di critica fantascientifica "Un'ambigua utopia", nata nel 1977 e cessata nel 1980 con soli 8 numeri all'attivo. Nella prima citazione si riconosce il debito della rivista diretta da Evangelisti "Carmilla" verso "quattro grandi, grandissime riviste: 'Gamma' di Valentino De Carlo, 'Robot' di Vittorio Curtoni, 'Un'ambigua utopia' del collettivo omonimo, 'Isaac Asimov Sf Magazine' di Daniele Brolli." (pag. 29). Nella seconda, parlando di Robot, si cita la "rivista gemella 'Un'ambigua utopia' (ancora più radicale sotto il profilo politico)" (pag. 126). Sono articoli rispettivamente usciti nel 1998 e 1999; cosi come l'articolo di Antonio Caronia sulla storia dell'ambigua utopia nel secondo numero della rivista MlR è dell'inverno 1998; mentre la >"Vita d’ambiguo", di Piero Fiorili, è del 2001. Vent'anni dopo la sua breve esistenza, uno scrittore affermato come Evangelisti non solo se ne ricorda ma la riconosce addirittura come una delle quattro grandissime riviste di Sf italiane, e ben due protagonisti della sua storia sentono la necessità di farne un bilancio. Non c'è due senza tre, si potrebbe dire, ma non mi sobbarcherei l'impresa di una terza versione della storia di U.A.U. se si trattasse solamente di correggere errori ed omissioni, ma quel che mi preme qui è piuttosto evidenziare un punto di vista "altro" che tenga particolarmente conto del contesto in cui l'ambigua utopia è nata.

Se l'articolo di Caronia, tendente ad equilibrare la cronistoria della rivista con una valutazione culturale che essa ha avuto in quegli anni, lo trovo sostanzialmente corretto ma inevitabilmente soggetto a lacune, l'epopea di un'ambigua utopia raccontata da Fiorili mi sembra al contrario estremamente puntigliosa ma proveniente da un mondo e un tempo affatto parallelo e alternativo al nostro.

La storia dell'ambigua utopia appartiene a un passato (la fine degli anni '70 con il cruciale 77 e il "suo" relativo movimento) che sembra assai più remoto del ‘68, inquanto privo delle celebrazioni rituali a cui questo fatidico anno è sottoposto. La riduzione a "anni di piombo" lo marginalizzano e lo schiacciano entro un periodo buio, astorico.

Tra l'inverno 1976 e il luglio 77 esplode un fenomeno senza precedenti: la nascita di 69 nuove testate con una tiratura complessiva di 300 mila copie di 288mila vendute, stampate in nove regioni diverse d'Italia, nelle metropoli ma anche in situazioni incredibili come Pero, Sesto San Giovanni, Brugherio, in provincia di Catanzaro, Ascoli Piceno, Ferrara, Rimini, Savona, Imperia. Sono "Zut", "A/traverso", "Wow", "Bilot", giornale della Brianza, "Nel morbido blu", catanzarese, in una sorprendente omogeneità di linguaggio, a dimostrazione di rivoli e percorsi culturali comuni, a esprimere i contenuti del movimento 77 (Nanni Balestrini, Primo Moroni, L'orda d'oro. UE Feltrinelli 1997 pag. 590).

Sempre Primo Moroni insieme con Bruna Miorelli, in un altro libro più focalizzato sull'analisi della editoria alternativa (I fiori di Gutenberg, Arcana editrice 1979) ricorda che "Grande fortuna ha pure la science-fiction, che viene esaltata nei suoi aspetti politici, di rilancio, in un mondo pragmatico e di tante disillusioni, dell'utopia possibile allo stesso tempo temibile: l'Ambigua utopia si chiama proprio per questo, una rivista di critica marx/z/iana che sull'onda del successo è giunta a promuovere un convegno di tre giorni sulla fantascienza" (pag. 52).

Un'ambigua utopia nata nel 1977 è parte integrante della storia politica culturale di quegli anni. Quando agli inizi di quell'anno conobbi, per motivi di lavoro, Vittorio Curtoni (vendevo fotografie per conto di un'agenzia) ebbi l'idea di confidargli il mio sogno di fare una rivista militante, politicamente schierata, sulla fantascienza. Robot con le sue (inevitabilmente) prudenti aperture al discorso politico fu l'ispiratrice, Curtoni con il suo incoraggiamento e la segnalazione di un gruppetto di compagni di Sesto S. Giovanni, che facevano una trasmissione di fantascienza in una delle numerose radio libere di quegli anni (Radiomontevecchia) fu l'innesco che rese attuatile la realizzazione del sogno. Dalle prime riunioni con Giancarlo Bulgarelli, Danilo Marzorati, Gerardo Frizzati, Marco Abate e Michelangelo Miani, nacque il primo numero della rivista; 16 pagine ciclostilate in proprio nella sede di Avanguardia operaia di via Vetere.

U.A.U. non nasce per "avvicinare di più alla fantascienza i lettori occasionali" (L'obiettivo mancato di cui Fiorili sembra attribuire la colpa al dispotico intellettuale Caronia), ma come si legge, provocatoriamente nel primo editoriale "non vogliamo allargare, far crescere, propagandare la fantascienza, VOGLlAMO DISTRUGGERLA." U.A.U. è dentro il movimento di quegli anni e del movimento condivide, progetto, linguaggio e ovviamente destino.

Entrano nuovi compagni, Roberto Del Piano, Michela Panigada, Marco Dubini, Luci Pittan, Maurizio Giannoni, Piero Fiorili, e altri collaboratori più o meno occasionali. Si fanno iniziative, trasmissioni a radio alternative (soprattutto a Canale 96), l'intervento di contestazione al convegno di fantascienza italiana (SFIR) a Ferrara, un'assemblea aperta a tutti alla Fabbrica di comunicazione (la chiesa sconsacrata di S. Carpoforo a Brera). "Il fattaccio dello SFIR" non "attirò l'attenzione dell'area di sinistra" su di noi, come dice Fiorili, e non "cominciarono a corteggiarci": non era necessario perché noi eravamo dentro l'area di sinistra! Anche noi eravamo la sinistra ed era naturale che la libreria Centofiori o la Comune di via Festa del Perdono ci dessero le chiavi per le riunioni serali, che le radio ci facessero fare trasmissioni e passassero i nostri comunicati, che Primo Moroni (della libreria Calusca) ci pagasse le decine di copie della rivista pronto cassa e che i compagni del collettivo e altri esterni come, un esempio fra i tanti, Silvie Coyaud (che conobbi alcuni anni prima alle contestazioni dei convegni di psicanalisi di Armando Verdiglione) tirassero fuori di tasca loro mensilmente un'autotassazione per finanziare la rivista (tipografia, affitto per un periodo di un ufficio, un contributo per il lavoro del sottoscritto, ecc.). Dello SFIR a sinistra non si conosceva neanche l'esistenza e gli articoli che ci dedicarono giornali borghesi come Panorama e l'Espresso erano dovuti all'interesse/curiosità che era normalmente diretto a tutti i fenomeni del movimento eterogeneo e colorato del 77. La foto che corredava l'articolo di Panorama ritraeva il collettivo con alle spalle i poster del Che e di Lenin.

La preparazione nell'estate del '78 dei tre giorni di festa (invasione dei marziani con tanto di corteo mascherato e musicale) che si tiene al Centro Sociale La Fornace vede l'entrata nel collettivo di Antonio Caronia, Patrizia Brambilla, Enrico Miotto, Renato Aquilani. Caronia conduceva con Miotto una trasmissione di fantascienza (racconti sceneggiati radiofonici) a Radio Popolare. Come Silvie Coyaud e Marco Dubini (conosciuto in Avanguardia Operaia) anche Caronia (ex militante trotzkista) l'avevo conosciuto in precedenza. Così come avevo conosciuto Goffredo Fofi, anni prima, per la redazione di un libro Feltrinelli su Forze armate e democrazia. Insomma il crogiuolo di rapporti che l'Ambigua riusciva a tessere intorno a sé, dipendeva dalla fitta rete di relazioni, inscindibilmente umane e politiche, che costituivano la pratica quotidiana di ognuno di noi in quegli anni.

Non si reclutava nel mondo degli appassionati (il cosiddetto fandom); una particolare conoscenza fantascientifica non era determinante, la discriminante era politica. Ora proprio questo è uno dei punti cardine della storia di U.A.U. Quasi tutti quelli che entrarono nel collettivo, lo fecero per sfuggire all'"incubo di otto anni di militanza assorbente ed esclusiva" come racconta Caronia per la sua esperienza personale, o per fare un'esperienza dalle chiare connotazioni politiche ma che non implicasse l'assoggettamento a quell'"atmosfera un po' calvinista e vagamente integralista che dominava molti gruppi dell'estrema sinistra di allora" (sempre Caronia). Detto questo è incredibile come le analisi di Caronia e Fiorili si trovino sostanzialmente concordi nel rimarcare l'esistenza di due correnti interne al collettivo, una che privilegiava il mondo della fantascienza e l'altra che tendeva ad allargare verso un dibattito culturale e politico più generale. Divario che porta allo scontro e alla vittoria della seconda tesi. A seguito di questo, come racconta Fiorili, "il malcontento inizio a serpeggiare, e non solo fra chi aveva votato (io per primo) contro una scelta così improvvida, ma anche fra quelli che, a bocce ferme, si rendevano conto dell'elitarismo insito nella svolta verso una cultura paludata, in stridente contraddizione con l'assunto iniziale di U.A.U.". Ora se si ha la pazienza di leggere tutte le otto fitte pagine della "Vita d'ambiguo" di Fiorili, risulta chiaro che, avendo vissuto (come lui stesso racconta) gli anni intorno al '68 "affacciato alla finestra con qualche curiosità e molto scetticismo" anche gli anni successivi sembrano essere visti da una finestra, ma che invece di dare verso l'esterno è rivolta verso un cortile angusto e ristretto. Non si spiegherebbe altrimenti come un centro sociale diventi "un'area dismessa chiamata La Fornace" o la libreria Centofiori un centro sociale, oppure ancora peggio descrivere il Centro Sociale Isola come un "edificio abbandonato che trovammo nel quartiere Isola e che divenne la nostra nuova sede. Ci portai una volta i miei figli, che ribattezzarono subito il luogo come... un'ambigua topaia."

In quegli anni a Milano erano attivi qualcosa come 40 centri sociali e svolgevano un'attività politica e/o culturale vivissima. Centro Sociale Isola con la sua fiorente attività, invisibile agli occhi di Fiorili, era la sede di produzione di tre gruppi teatrali, di sei gruppi di animazione, aveva rapporti col teatro internazionale (dall'Odin Theatre di Eugenio Barba agli spagnoli Els Commedians e tanti altri); si relazionava al territorio (il quartiere Isola) con parate, feste e lavoro politico sulle esigenze degli abitanti (ad esempio l'asilo autogestito) oltre ad avere naturalmente rapporti con gli altri centri sociali, le radio e le riviste più importanti di quel momento (come ad esempio "Scena"). Questo era il centro sociale che accettò di ospitarci fino al proprio "funerale", documentato proprio sulle pagine del n. 7 della rivista. Ora in una visione, o meglio in una cecità, politica così forte come quella di Fiorili è ovvio che l'esperienza, tutta, di Un'Ambigua Utopia venga banalizzata a una lotta tra due correnti contrapposte, che ridotta all'essenziale divide tra chi è per la fantascienza e chi no.

Ma come dicevo sopra, la cosa che mi ha lasciato più stupito è che anche l'analisi di Caronia possa dar adito a fraintendimento dello stesso genere. "Il collettivo un'Ambigua Utopia era nato nel 1977 (...) il gruppo si era formato attorno ad alcuni ex militanti (in genere di Avanguardia Operaia, in gran parte di Sesto S. Giovanni, Monza o della stessa Brianza), già lettori di fantascienza e anzi più o meno interni al fandom, al mondo degli appassionati. La rivista/fanzine era quindi concepita come uno strumento per sviluppare un'attività polemica e di rinnovamento sia negli ambienti del mondo della fantascienza che, più in generale, in quelli del mondo politico e culturale. Sul peso relativo di queste attività e sui fini del collettivo e della rivista sospetto ci fossero tensioni inespresse o comunque accenti differenti già fin dal sorgere del gruppo. È certo però che queste differenze si approfondirono nella fase successiva alla festa del settembre 1978, credo anche in relazione al mio ingresso nel collettivo." In realtà non c'erano membri "più o meno interni al fandom" e le lotte interne al collettivo, per tutto l’arco della sua esistenza sono state innumerevoli ma assai poco di un'ala fandom (a favore di un lavoro all'interno del mondo fantascientifico) e un'ala più "politica" tendente a "trasportare la fantascienza in una delle tante derive, se volete delle ideologie e delle pratiche. tradizionali dell'estrema sinistra messe in crisi dall'ondata del movimento del '77" (Caronia). I dissidi e le lotte interne erano in UAU., come del resto in tutte le situazioni del movimento, dovute a nient'altro che a lotte di potere. Il capo chi lo fa? Il rifiuto del modello archetipico della struttura-partito, che aveva portato alla "crisi della militanza" non poteva certo di per sé risolvere il problema della leadership che si ripresentava rinnovato, se pur costantemente negato, in qualunque nuovo contesto aggregativo.

Bulgarelli (Democrazia Proletaria, sindacalista) più che "inclinare per la prudenza" era un mediatore ed esplicava il suo bisogno leaderistico tenendo in mano i rapporti esterni al gruppo, con altri compagni a livello nazionale e con il cosiddetto "mondo della fantascienza" (una sorta di stato estero con il quale ci piaceva sentirci in guerra permanente, un nemico facile facile, finalmente!).

Marco Dubini molto probabilmente pensava di trovare in U.A.U. una nicchia politica in cui poter dar sfogo al proprio bisogno di protagonismo (bisogno represso nei gruppi politici, se non canalizzato in una sorta di carrierismo di stampo militaresco). Lo scontro tra identici bisogni di protagonismo non poteva essere evitato e Marco Dubini (non una particolare linea) perse e lasciò il collettivo. Certo non era solo una lotta di potere tout court, dietro ogni conflitto c'era una visione diversa, ma non esisteva una contrapposizione dualistica.

Sandro Vaienti (un compagno bolognese) gravitò e si allontanò dalla sfera dell'Ambigua, prendendo le distanze dalla nostra "incapacità (sospetta) di scegliere definitivamente fra la sovversione autonoma e l'immagine rassicurante dell'intellettuale radicale ed arrabbiato all'ombra delle istituzioni (e delle maggioranze silenziose col fucile puntato - attenti! -)".

Si potrebbe continuare a lungo, disegnando una mappa circostanziata di tutti i partecipanti di quella storia con le loro relative dinamiche conflittuali. Quello che conta per me, invece è ribadire che quella storia, nel bene e nel male, rientra appieno nella cronaca degli avvenimenti di quegli anni e che non ha nulla a che spartire col "piccolo e asfittico mondo del fandom" (Caronia). Così come la fine di quella esperienza sta tutta inscritta nella storia di quel movimento nato nel 1960 con i "giovani dalle magliette a strisce" protagonisti degli scontri antifascisti di Genova e morto vent'anni dopo (se vogliamo, simbolicamente con il corteo dei quarantamila alla Fiat di Torino). La nostra microstoria non muore banalmente per una particolare dinamica di gruppo che sceglie il leader sbagliato o per aver preso una strada piuttosto che un'altra. Ultima fase evolutiva del collettivo fu la fondazione di una cooperativa con l'apertura di una libreria specializzata in fantascienza "La porta sull'immaginario". L'ultimo numero dell'Ambigua Utopia è del 1980 e l'espressione simbolica della sua morte sta per me tutta nell'immagine dell'invito che inaugurava la libreria, un'immagine di una porta implacabilmente nera. Anche la speranza di poter ancora solo immaginare, si fissa in un mostruoso compatto rettangolo nero dietro al quale già si intravedeva il lungo decennio degli "anni di merda" a seguire.

Alla fine non ho fatto una mia versione della storia di UAU. (e poco mi interessa farla) ma spero di aver contribuito, in questa mia memoria, a ricollocare questa piccola biografia collettiva in un suo più giusto ambito generale che ci ha riguardato tutti e che sarebbe fondamentale rivedere e rianalizzare ad uso delle nuove storie, che in questo volgere di millennio, vediamo nuovamente. prendere piede un po' ovunque dentro e fuori il nostro paese. Certo in forme molto diverse ma alla fine frutto degli stessi bisogni.






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