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L'inconscio mistico-religioso della tecnocultura


L'articolo e l'intervista sono stati pubblicati nella rubrica "Dispacci elettrici" di Elettrica/mente, inserto autonomo di critica digitale all'interno di Apogeonline, numero 1.6 - 1° marzo 1999, che ringraziamo insieme all' autore.


Cybercultura e info-tech non poggiano affatto su basi iper-razionali come sembrerebbe, ma pescano invece nell'indefinito atavico del mito e della magia.

Un viaggio nei labirinti dell'anima del mondo digitale.


Internet come entità infinita ed eterea, quasi una deità in sé stessa, una sorta di deus ex machina che va sempre più penetrando e permeando le nostre vite - incluso il rischio di portarci tra dimensioni puramente fantastiche, in esclusivo contatto con persone e ambienti affini seppur geograficamente lontani grazie al cordone ombelicale del modem sibilante.

È in questo territorio grigio al limite tra iper-razionalità tecnologica e atavici impulsi mistico-religiosi che da tempo si muove Erik Davis, i cui articoli sono apparsi su quotate riviste quali The Village Voice, Rolling Stone e Wired (Digital Dharma, Technopagans) oltre che più recentemente in vari ambiti online, vedi un intrigante saggio su videogames e religione uscito da poco su Feed, Ma è soprattutto nel suo esordio letterario pubblicato negli Stati Uniti a fine 98 "Techgnosis: myth, magic & mysticism in the age of information" che, Davis si avventura a piacimento in un viaggio tanto erudito quanto complesso a cavallo dell'immaginario mistico, che, dall'invenzione della stampa alla radio a Internet, anima e pervade l’inconscio tecnologico dell’epoca contemporanea. Un volume alquanto corposo e denso (con tutta la buona volontà, non sono ancora riuscito a leggerlo per intero), forse anche troppo, come ha ammesso lo stesso autore nel corso della chiacchierata-intervista che abbiamo avuto un paio di settimane or sono in un tranquillo cafè di Upper Haight a San Francisco, dove si è trasferito quattro anni fa dalla natia New York.

Per chi avesse avuto la ventura di imbattervisi, i semi di un tale viaggio erano già germinati nel saggio presente in "Flame Wars: The Discourse of Cyberculture", antologia curata da Mark Dery, nota ai lettori italiani sia per "Velocità di fuga" (Feltrinelli) che per un acuto intervento su temi vicini a quelli affrontati da Davis, a margine dei suicidi della setta-culto Heaven's Gate, pubblicato lo scorso maggio nella raccolta Gens electrica (Apogeo). Fin da allora, autunno 1993, Erik Davis si occupava di "Techgnosis, Magic, Memory and the Angels of Information", spaziando variamente dalla Divina Commedia dantesca a Sant' Agostino, dagli scenari alla Gibson ai segnali dalle altre stelle del maestro della fantascienza odierna, Philip K. Dick. Puntando comunque a trovare le successioni dinamiche tra Gnosticismo e cybercultura, crittografia ed ermetismo, New Age e information-space. Tutti filoni che popolano il più maturo lavoro attuale, dove ci si perde tra mille labirinti storico-culturali nonché animistico-spirituali alla ricerca della sinapsi risolutiva e improvvisa tipica della creatività umana - forse meglio, dove ci si trova a rifare i salti ipertestuali del Web, spesso ignoti e senza fine.

«Potete credere di avere tra le mani un comune libro, un solido e familiare malloppo di infotech con capitoli e note a piè pagina e una lineare argomentazione sulle radici mistiche della tecnocultura. Ma si tratta soltanto di uno scaltro mascheramento. Una volta dissolto nel vostro "mindstream", nel f1usso mentale, TechGnosis si trasformerà in un ridondante ipertesto, i cui link saltano tra macchine e sogni, informazione e spirito, la polvere della storia e gli alambicchi dell'anima» Questo scorre, tra l'altro, nella prefazione, a mò di chiaro avvertimento per i lettori. È possibile aggiungere altro? Forse che il volume è stato salutato assai positivamente dagli addetti ai lavori: secondo l'autore di fantascienza nonché cyber-giornalista Bruce Sterling si tratta di «... uno dei migliori studi sui media mai pubblicati» mentre per Howard Rheingold, pioniere dell'aggregazione online, «... al pari di McLuhan, Davis getta luce sulle zone in ombra - su quei luoghi in cui abbiamo mancato di guardare, o abbiamo avuto paura di farlo, nel corso delle ricerche sul significato delle invenzioni umane.» Sul fronte opposto, invece, la sofisticata rivista letteraria Kirkus conclude la recensione sottolineando come meglio avrebbe fatto l'autore a riservare un intero libro per ciascun capitolo di TechGnosis, eccessivamente pregnanti di significato.

In ogni caso, il percorso umano e professionale di Erik Davis, giornalista free-lance e ricercatore poco convenzionale, merita indubbiamente attenzione - sia sull'invitante sito Web personale sia seguendo questo excursus letterario negli attuali ambienti iper-mediatici. Un libro sui generis ma per nulla fuori contesto, oggi che l'avanzare alla grande di Internet e della tecnologia richiedono attente indagini nei lati nascosti della nostra psiche e delle modalità con cui esse, volenti o nolenti, dà forma all'enorme information space di cui non possiamo quasi fare più a meno. Un eclettico e colto viaggio nell'inconscio irrazionale della tecnocultura, con articolate incursioni nelle subculture di Internet e nella tradizione mistico-religiosa che pervade la nostra fascinazione con le macchine.


Intervista esclusiva con Erik Davis, autore di “TechGnosis: myth, magic & mysticism in the age of information"


D: Come è stato accolto finora il libro?

R: Le recensioni sono state parecchie e incoraggianti, a parte forse due negative, pur se (ancora?) non sono uscito sul New York Times.... Anche le email ricevute dimostrano attenzione e interesse in un tale approccio, ma dovrò attendere la fine dell'estate per sapere le prime statistiche delle vendite. In ogni caso non è un volume diretto al grande pubblico, piuttosto qualcosa che dovevo assolutamente metter fuori dal mio sistema. Di certo il mio prossimo lavoro avrà respiro più ampio e sarà focalizzato su minori tematiche, anche se è ancora presto per pensare a un nuovo libro.

D: Cosa rispondi a quanti lo trovano fin troppo denso e di non facile lettura?

R: In parte è vero: TechGnosis avrebbe potuto risultare più snello e scorrevole, ma va tenuto conto che si tratta del risultato di circa 10 anni di lavoro, con molta carne al fuoco e innumerevoli riflessioni da proporre - e poi è il mio primo libro.

Inoltre, contrariamente a quanto accade per la maggior parte degli odierni libri su info-tech e cybercultura, fin troppo logici e semplici nelle argomentazioni (nulla di più vero, ndr), non volevo offrire ai lettori il solito percorso univoco da seguire e comprendere soltanto a livello razionale; e neppure affidarmi unicamente alla estrema linearità insita nel medium letterario. Mi premeva, piuttosto, creare un certo "feeling" di complessità, un interludio di salti in avanti e indietro, un contesto meno scontato in cui potessi porre l'indice su una comunicazione non diretta, bensì mediata dai sentimenti, dagli stati d'animo, dove creare una sorta di "ambient space." In tal senso posso ritenermi soddisfatto, anche se è vero che il continuo uso di figure metaforiche, ad esempio, può funzionare con alcuni lettori, mentre per altri ciò appare impenetrabile.

D: Come e quando hai preso a interessarti di info-tech e poi del rapporto tecnologia-misticismo?

R: Tutto è iniziato con Philip K. Dick, che ho preso a seguire fin dai tempi del college, e su di lui ho scritto poi la mia tesi. Una delle idee centrali di Dick è che le tecnologie dell'informazione possono essere il veicolo ideale per esprimere l'emergere di spazi di opposizione all'ordine costituito, sia esso rappresentato dallo Stato, dall'apparato militare o dal capitalismo. L'infotech produce una sorta di magia che connette le persone su tale livello di opposizione. Ma allo stesso tempo le macchine utilizzate dall'ordine costituito incantano e affascinano, divengono esse stesse magiche, pur se in maniera diametralmente opposta, oscure e minacciose.

Da qui una tensione continua che ha innervato continuamente i suoi lavori, oltre che le mie ricerche. Poi nel 1990 mi son trovato a partecipare, qui nella Bay Area, allo storico cyberthon. riuscito matrimonio tra gli ideali degli anni '60 e le nuove tecnologie emergenti con la partecipazione di gente come Jaron Lanier, Howard Rheingold, Stewart Brand. Com'è possibile, ho preso a chiedermi, che tali tecnologie possano dar vita alla democrazia comunitaria? Quale il collegamento con lo sciamanismo psichedelico? La coscienza di tali utopie concrete e raggiungibili era molto alta, e per me ciò si trasferiva sul piano del mito e della psiche, della connessione tra luogo geografico e gente magica. Da dove arrivano questi sogni di cambiamento totale? Come poter trasformare il cyberspace in un ambiente veramente tridimensionale sulle orme delle descrizioni di William Gibson?

Era la parte irrazionale della tecnologia che faceva capolino, la parte che aveva a che fare con i sogni e la fantasia. Un complesso rapporto tecnologia-misticismo che meritava di essere investigato.

D: Per alcuni il cyberspace è una sorta di fuga dalla "real life", un rifugiarsi continuo di fronte ai problemi quotidiani che porta anche all'assuefazione online. Cosa ne pensi?'''

R: Da una parte è nella natura umana desiderare e sognare un mondo diverso, fatto di sogno e gioco, per sfuggire alla durezza della materia contro cui siamo costretti a sbattere la testa ogni giorno. Internet è questo spazio aperto molto malleabile alle proiezioni dell'inconscio, ai giochi di fantasia, al mascheramento reciproco. È inevitabile che sia così, che il cyberspace diventi un "soul-space", il luogo dove l'anima e l'inconscio trovino quello spazio che viene loro negato nella quotidianità ordinaria. Qualcosa che può rivelarsi salutare ma che può anche trasformarsi nella fuga dalla realtà: è facile perdere sé stessi in un mondo che offre l'illusione di poter annullare la durezza della materia. Uno staccarsi dalla materialità corporea che avviene di già tramite la televisione, certe sostanze chimiche, o anche tramite l'enorme flusso d'informazione che ci piove addosso. È quindi inevitabile che un certo numero di persone trascorra molte ore online, e che esista perfino l'assuefazione, come d'altronde per altre situazioni. Forse meglio, direi che esistano degli stadi diversi in cui si passa: i primi periodi trascorsi nel MUD o in chat, ad esempio, possono facilmente produrre proiezioni immaginarie riguardo l'altra o le altre persone che finiscono col travolgere ogni razionalità, un po' come succede quando si prende una cotta per qualcuno. Pur non essendo possibile fare generalizzazioni, credo questo sia un percorso comune a molte persone, e che prima o poi se ne esce fuori come dall'altra parte di un tunnel.

D: Come trascorri il tuo tempo online?

R: Per me Internet è essenzialmente un'enorme e affascinante biblioteca. Un po' come sfogliare continuamente tra montagne di riviste, libri, giornali. Mi interessa la relazione tra parole e immagini, le modalità secondo cui fa gente cerca di definire e intervenire in certe aree. Pur seguendo in generale le varie aggregazioni online, da The Well in poi, quell'ambito di partecipazione non mi si confà molto. Alle conferenze e al chat preferisco di gran lunga lo scambio di email, e ancor più andare a caccia di informazioni di ogni tipo.

D: Tu hai viaggiato parecchio, anche in Europa. Quali differenze e somiglianze con gli USA?

R: Ho vissuto un po' in Francia, e poi sono stato in Germania, Olanda, Spagna, Est europeo (ma non in Italia), per lo più partecipando a vari eventi su tematiche inerenti i media. Devo dire che la scena artistica e creativa che ha a che fare con i media è alquanto diversa dagli Stati Uniti: qui quasi sempre si è legati alle grandi corporation, a una mentalità commerciale; lo stesso accade per grandi istituti di ricerca quali il MIT di Boston, ad esempio, il cui Media Lab è molto creativo e stimolante ma al contempo ha un approccio puramente business-oriented. In Europa, invece, esistono molti intellettuali e artisti che si occupano e intervengono sui media in maniera più libera e creativa, mentre qui c'è troppo commercio in giro, e si finisce col sentirsi alienati. Il capitalismo è un mostro affascinante, un cancro esuberante... e le riviste, l'industria culturale mette sempre addosso questa pressione a parlare in termini di mercato, ogni cosa deve avere uno sbocco commerciale per poter esistere. D'altra parte mi sento molto attratto dalla moltitudine di subculture che si sviluppano soprattutto grazie e via Internet, tutta la carica anti-capitalista e utopica che potenzialmente promette grandi cambiamenti per il futuro. Ma, questo il rischio attuale, oggi anche la più spirituale delle istanze diventa difficile da sradicare dalle questioni commerciali. Siamo di fronte al paradosso dell'utopia commerciale.

D: Cosa possiamo aspettarci per il futuro in ambito tecnologico e telematico?

R: Credo che nella prossima decade usciranno fuori altre tecnologie ben oltre Internet. E nello spazio di una generazione quest'ultima non sarà una delle cose più importanti che vanno accadendo, com'è invece ora. Ci sarà molta più richiesta di attività intellettuale e artistica intorno a diverse forme di tecnologia. Oggi i sistemi d'informazione, e più in generale l'informazione in sé, tendono a modificare gli spazi materiali a fondamento della nostra vita. Basti pensare all'introduzione di telecamere di sorveglianza in ambienti sociali, alla tecnologia cyborg efficacemente integrata con il corpo umano, alla modificazione del DNA per creare nuove forme di vita. Queste le frontiere dove andremo presto a confrontarci anche duramente, con Internet che finirà per diventare un enorme "mall" per una sorta di e-commerce sociale. Pur se cose interessanti continueranno a succedere online, lo spero, su grande scala avremo a che fare con apparati tecnologici assai più profondi e pressanti. Oppure, perché no?, potrebbe succedere che l'e-commerce si rivelerà non così produttivo come tutti oggi pensano e si augurano, e allora ci sarà da divertirci perché finalmente realizzeremo che questa tecnologia potrà essere impiegata davvero in maniera più creativa e positiva per tutti.






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