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Il rasoio technofreak di Erik Davis


"Techgnosis", di Erik Davis, mi ha entusiasmato dai primi giorni in cui - per una di quelle concatenazioni casuali così difficili da spiegare - ho iniziato a riceverne alcune pagine dal traduttore. Questa dieta a base di pillole che arrivavano via e-mail mi ha permesso di ruminare "Techgnosis" gradualmente, nel tranquillo disordine mentale in cui vivo in questi giorni estivi. Il fatto è che ad ogni nuovo capitolo che arrivava tornavo regolarmente a stupirmi della vena inesauribile e spumeggiante di questo "malizioso" esploratore degli accostamenti tra misticismo e tecnologia. Al punto che nelle ultime settimane prima dell'uscita del volume ero divenuto stranamente ansioso al riguardo, come se non desiderassi altro che vedere tutte le tessere del puzzle di Erik Davis andarsi a finalmente a collocare al loro posto.

Se mettiamo in conto che esoterismo e gnosi non sono mai stati per me una passione - ho sempre trovato più persuasive le ragioni del ruvido materialismo - diviene interessante capire come mai il libro di Davis è riuscito a catturare il mio interesse in modo così intenso. Indubbiamente "Techgnosis", non diversamente da "Incantati dalla rete" di Carlo Formenti, è un libro caustico, abilmente critico nei confronti degli intrecci tra religione e tecnologia. E già questo è un punto a favore. Direi anzi che il libro di Formenti è decisamente più sobrio e sorvegliato rispetto a questo di Davis che invece attraversa incroci spericolati, passa col rosso, e non di rado porta intenzionalmente fuori strada. Nel bene e nel male è questo il suo stile. Ma la lettura è per lo più rassicurante e piacevole: Davis ti accompagna dolcemente su questo o quello scenario, con abbondanza di dati, citazioni colte, riferimenti precisi; il tutto in uno stile seducente, persuasivo, sobrio. Almeno fin quando non decide di sferrare la sua implacabile rasoiata, in genere proprio nel momento in cui tu inizi a farti cullare dal fascino della sua abile descrizione. Ad esempio le vicende recenti del pensiero gnostico vengono discusse in un clima narrativo da "predatori dell'arca perduta" con atmosfere esotiche, manoscritti in lingua copta, colpi di scena e incantevoli intuizioni.

Salvo che alla fine il nostro rompe l'incanto definendo lo gnosticismo come "Una sorta di malleabile, gommosa teoria religiosa, capace di rappresentare qualsiasi tipo di filosofia o pratica sacra".

Insomma, macella vacche sacre, Erik Davis, come se fossero i marzianini di Space Invaders. Così Madame Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della società teosofica, diviene "Una grassa e astuta lestofante fumatrice di sigari proveniente dalla Russia". Destino perfino peggiore tocca in sorte al magnetico Messmer: "L'uomo conosciuto oggi come il re dei ciarlatani, o come l'uomo che inavvertitamente dette origine alla psicanalisi".

Una nota a parte merita poi lo stile di Davis: questo suo periodare ellittico, farcito di neologismi e osservazioni bizzarre; un inesausto tessere sospese architetture di parole, tanto gradevoli quanto finalizzate, nella maggior parte dei casi, a preparare nel migliore dei modi il terreno all'inevitabile colpo di maglio. Per capire di cosa parlo prendiamo, per esempio, questo "veloce assaggio" che Davis ci fornisce dell'ermetismo statunitense:

"Per avere un veloce assaggio dell'ermetica America, prendete un biglietto da un dollaro, giratelo al contrario e provate a fissare intensamente il risplendente occhio in cima alla piramide del sigillo. Come le icone bizantine dell'ortodossia orientale, che riuscivano a catalizzare un lampo di beatitudine negli occhi di chi le guardava, così questo simbolo decisamente bizzarro del "novus ordo seclorum" riesce ad evocare la segreta architettura di potere sottostante il vivido e luminoso pragmatismo del giovane governo federale degli Stati Uniti. Il nome di questa architettura è Massoneria."

Non stupisce dunque che Marcello Buonomo, il paziente e abile traduttore, si sia schermito forse più del dovuto nella sua breve nota introduttiva. Come a voler dire che questa girandola logico-sintattica, irta di passaggi dalla citazione latina allo slang newyorkese, ha richiesto uno sforzo immane. E come dubitarne? Questa dev'essere una delle ragioni per cui il testo ha faticato un paio di anni prima di trovare un editore italiano.

Le quasi quattrocento pagine del generoso volume non abbandonano mai questo ritmo sfrenato, questa sarcastica altalena tra la sordida dimensione terrestre e l'elegiaca immaginazione celeste, questa scrittura densa di interpretazioni sornione, di ammiccamenti, di trappole logiche e di gerghi postmoderni. Lunga vita, dunque, all'editore Ipermedium, che ha saputo racchiudere il tutto in una confezione esteticamente pregevole, dal prezzo abbordabile, e che vanta, tra i vari gadget, anche una raffinata introduzione di Alberto Abruzzese e un glossarietto dedicato a neologismi, termini bizzarri e pidgin info-mistici.

Ma spostiamoci dalle superfici esterne del libro, introduzioni, copertine, stili e sintassi, alle zone profonde, dove viene fuori Erik Davis pensatore. Altrimenti qui si finisce con il dare l'impressione che Davis sia un giocondo sostenitore del laicismo volgare, uno che si compiace di inviare una sinfonia di pernacchie all'indirizzo dei culti emergenti e delle varie sette new age. In realtà il testo è assai più ambizioso. Attraversa abilmente il passaggio storico che ci ha fatto scivolare dalla dimensione trascendente a quella immanente. Solo che quella dimensione che altri hanno colto nella mondanizzazione della pittura, nella perdita dell'aura dell'opera d'arte, nel nimbo profano che avvolge il nuovo graffitismo metropolitano, Davis la va cercando più prosaicamente dentro le tecnologie della comunicazione. E la trova. La trova in una mondanizzazione piena, dispiegata, in cui alla totale latitanza del senso si risponde con i rimbalzi di un misticismo gratuito che ci sprofonda nel:

"carnevale cencioso della religione contemporanea, carnevale in cui possiamo scorgere oliati guru della New Age e attivisti pentecostali, buddisti esistenziali e teologi della liberazione, pagani psichedelici e piagnucolanti ecologisti radicali".

È in questo brodo, certamente più californiano che europeo, che la maestria interpretativa di Davis si scatena con maggiore efficacia e virulenza.

Esiste un rapporto tra spiritismo e alfabeto morse? Certamente si, risponde Davis. Esiste quando, ai nostri giorni, qualcuno cerca di captare i segnali degli spiriti (o dei marziani) attraverso il suo computer. Ma esiste anche, si noti, nelle fantasie dell'anziano Edison che tentava di arrangiare un dispositivo che avrebbe aperto un canale telepatico tra i mondi. Esiste una relazione tra cibernetica e neoplatonismo? Ovvio che si, dice ancora Davis, esiste fin nell'etimologia, allorché Plotino, nella terza sezione delle Enneadi, descrive lo spirito dell'intelletto come il timoniere (Kubernéte) del corpo.

È pacifico che chiunque abbia letto i lavori fondamentali di Norbert Wiener trovi quest'ultima interpretazione a dir poco tirata per i capelli. Si obietterà infatti che Wiener risentiva più del comportamentismo e della sua concezione materialista che di un platonismo della coscienza. Dunque del timoniere deve averlo colpito la funzione di costante autocorrezione della rotta, piuttosto che le metafore plotiniane su spirito e corpo.

Analogamente, quando il mistico Gurdjieff viene accostato nientedimeno che a Marvin Minsky, il giocattolaio pazzo del MIT, il cui ruvido scientismo avrebbe irritato anche un Carnap, si ha davvero la sensazione che si stia "sforando" e che la frenesia interpretativa andrebbe raffreddata con un minima di buon senso se non di rigore.

Tuttavia Davis si guarda bene dal condividere ciò che afferma, come del resto non sottoscrive gran parte delle vorticose interpretazioni in cui si esibisce. La sua posizione oscilla tra quella del narratore ironico e disincantato e quella, forse più ambiziosa, dell'interprete dell'inconscio collettivo, del sapiente traduttore dello zeitgeist. D'altra parte Davis lo dice chiaramente nell'introduzione: "la tecnologia è un baro". E di questa astuzia della tecnologia, di questo sistematico imbroglio lui sembra, a tratti, voler rimanere giudice imparziale e disilluso:

"Ma l'autenticità delle idee spirituali e delle esperienze religiose non mi riguarda in questo momento; piuttosto il mio è un tentativo di capire la metafisica, spesso inconscia, della cultura dell'informazione, guardando attraverso l'arcaica lente del mito religioso e mistico".

Si ha quasi l'impressione che le interpretazioni di Davis e la sua devastante ironia finiscano con il costituire una sorta di manuale di autodifesa dai mille incanti veicolati dal mito tecnologico quando viene insufflato con l'estasi mistica e con i dogmi delle nascenti sette religiose.

D'altra parte se Minsky non è Gurdjieff potrebbe comunque diventarlo da un momento all'altro, se è vero com'è vero che John Lilly (altra testa pensante della ricerca nordamericana su cervello e intelligenza ideatore di raffinati sistemi di interpretazione degli elettroencefalogrammi e teorico della deprivazione sensoriale) ha perso da vari anni la trebisonda e si trastulla con iniezioni di ketamina, delfini parlanti e periodiche conversazioni con nostro signore. Proprio a Lilly e a tutta l'area del misticismo technofreak californiano, rappresentata tra gli altri da Leary, Tart, i Greatful Dead ed altri esemplari dell'accolita di Esalen è dedicato il capitolo più entusiasmante del libro. Significativamente intitolato "Il Cyborg Spirituale" il quinto capitolo conduce l'esplorazione dei risvolti mistici dell'analogia mente-computer in un terreno via via più denso e interessante. Qui le "perle" per gli appassionati sono davvero numerose. Si va da un'analisi piuttosto puntuale e spietatamente critica del lavoro teorico di Scientology e del suo guru Ron Hubbard fino ad una raffinata e dotta analisi della "moderatamente impertinente miscela di psicologia dello sviluppo, gergo cibernetico e imbrigliata schizofrenia cosmologica" di Tim Leary. Quest'ultimo - nonostante alla stesura del libro di Davis si fosse già esibito nella sua estrema e spettacolare dipartita da questo mondo - viene ugualmente trattato assai male, soprattutto per la sua fede nel Dna ricombinante e per la sua intesa con gli exstropiani.

Tra le migliori rasoiate all'indirizzo di Leary la definizione di: "freddo aristocratico gurdjieffiano", la bocciatura dei suoi libri che vengono dichiarati "ampollosi, se non influenti... " e infine la critica diretta al profilo psicologico del guru technofreack che, a parere di Davis, era ottenebrato da "un inclemente e disperato bisogno di cavalcare inesausto la cresta dell'onda".

È pacifico supporre comunque che Davis sia stato - e probabilmente sia ancora - un frequentatore dell'area di Esalen.

Come definire altrimenti uno che chiude la prefazione all'edizione italiana con un caloroso: "Enjoy the trip"?

Nel libro non mancano del resto sapienti osservazioni critiche di taglio ecologista e calorosi saluti al nascente "popolo di Seattle", per non dire degli episodici, ma stranamente assai rispettosi, riferimenti a Deleuze e Guattari.

Nei capitoli conclusivi di "Techgnosis" dopo la feroce mattanza degli ultimi Proci (Theilard, Kevin Kelly, gli extropiani) "Ulisse" Erik Davis ci porta finalmente ad un approdo improvvisando una piacevole vetrina delle idee sul divenire della rete. Vengono passati in rassegna personaggi di notevole interesse teorico come Donna Haraway, Richard Barbrook, Mark Pesce, Pierre Levy, Michel Heim, la straordinaria Sadie Plant. È qui che viene fuori a mio parere il Davis migliore, più autentico e meno polemico, equilibratamente ecologista e radicalmente technofreak.

Un libro, per concludere, sicuramente scomodo, contro cui le cupole dei nuovi culti si troveranno a dover scegliere tra la feroce campagna o l'indifferente silenzio. Un libro ampio, di impianto manualistico, di cui qui abbiamo potuto solo descrivere alcuni aspetti, ma che merita una lettura decisamente più attenta di questa, particolarmente da parte di chi sia interessato alla storia dei massmedia e alle evoluzioni della rete.

Davis oltre ad essere uno scrittore brillante è infatti anche un profondo conoscitore della storia delle comunicazioni di massa: se il suo riferimento solito è inevitabilmente Mc Luhan non mancano frequenti cenni ad Eco, a Foucault, a Deleuze.

Sarebbe improbo anche solo accennare, poi, alle parti del libro dedicate a riflessioni autenticamente dotte sulla mitologia greca, sulle mnemotechine medievali, sulla crittografia.

Un libro ruvidamente pagano, laico ma allo stesso tempo panteista, che lancia nelle ultime righe il suo gioioso urlo technofreak:

"Prometeo è diabolicamente insediato nella cabina di pilotaggio, ma Hermes si è infiltrato nel programma di volo, e la matrice è infiammata da un groviglio di lingue".






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