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Connessioni dell'hyperspazio: buchi neri, buchi bianchi, wormhole


John Gribbin


Allorché l'astronomo Carl Sagan decise di scrivere un romanzo di fantascienza ebbe bisogno di un congegno narrativo che potesse permettere ai suoi personaggi di attraversare delle grandi distanze nell'Universo. Naturalmente sapeva che era impossibile viaggiare più veloce della luce e sapeva anche che esisteva una convenzione comune nella fantascienza che permetteva agli scrittori di usare l'espediente di una scorciatoia attraverso l'hyperspazio come mezzo per aggirare questo problema. Ma poiché era uno scienziato, Sagan desiderava per il suo romanzo qualcosa che potesse sembrare più sostanziale di questo espediente. Esisteva forse un modo per rivestire la stregoneria dell'hyperspazio fantascientifico con i panni rispettabili di una scienza apparente? Sagan non lo sapeva. Non era un esperto di buchi neri e di relatività generale... la sua specializzazione di base veniva dagli studi planetari.

Ma conosceva proprio la persona a cui rivolgersi per un consiglio sul come fare a far sì che l'idea ovviamente impossibile delle connessioni hyperspaziali attraverso lo spaziotempo avesse un aspetto un po' più scientificamente plausibile nel suo libro Contact.

L'uomo a cui Sagan si rivolse per consiglio, nell'estate del 1985, era Kip Thorne, al CalTech. Thorne fu sufficientemente stuzzicato da dare a due dei suoi assistenti, Michael Morris e Ulvi Yurtsever, il compito di elaborare alcuni dettagli sul comportamento fisico di quello che i relativisti conoscono come un "wormhole". A quel tempo, verso la metà degli anni '80, i relativisti erano da tempo coscienti che le equazioni della teoria generale prevedevano la possibilità di tali connessioni dell'hyperspazio. Infatti, lo stesso Einstein, lavorando a Princeton con Nathan Rosen negli anni '30, aveva scoperto che le equazioni della relatività (la soluzione di Karl Schwarzschild alle equazioni di Einstein) rappresentava proprio un buco nero come un ponte tra due regioni dello spaziotempo piatto: un "ponte Einstein-Rosen". Un buco nero ha sempre due "parti terminali", una proprietà ignorata da tutti ad eccezione di qualche matematico fino alla metà degli anni '80. Prima che Sagan rimettesse in moto la sfera era sembrato che tali connessioni hyperspaziali non avessero alcun significato fisico e che non potessero mai, neppure in via di principio, essere usate come scorciatoie per viaggiare da una parte all'altra dell'Universo. Morris e Yurtsever scoprirono che questa convinzione fortemente radicata era sbagliata. Partendo dal lato matematico del problema, costruirono una geometria dello spaziotempo che si adattasse alle richieste di Sagan di un wormhole che potesse essere attraversato fisicamente dagli esseri umani. Poi investigarono la fisica per vedere se c'era qualche modo, così come conoscevano le leggi della fisica, che potesse cospirare per produrre la geometria richiesta. Con loro grande sorpresa, e per la gioia di Sagan, scoprirono che c'era.

Ad essere sinceri, le richieste fisiche sembrano piuttosto forzate e non plausibili, ma non è questo il punto. Ciò che ha importanza e che sembra che non ci sia nulla nelle leggi della fisica che vieti il viaggio attraverso i wormhole. Gli scrittori di fantascienza avevano ragione: le connessioni hyperspaziali forniscono, almeno in teoria, un mezzo per viaggiare verso regioni dell'Universo che sono distanti senza spendere migliaia di anni bighellonando attraverso lo spazio ordinario ad una velocita minore di quella della luce. Le conclusioni raggiunte dal gruppo del CalTech apparvero correttamente come una finestra scientificamente accurata nel romanzo di Sagan allorché fu pubblicato nel 1986, anche se pochi lettori possono aver apprezzato il fatto che gran parte della "stregoneria" era saldamente basata sulle ultime scoperte fatte da dei matematici relativisti. Da allora, la scoperta di equazioni che descrivono wormhole fisicamente permissibili e attraversabili ha portato all'esplosione di un artigianato di matematici che investigano questi strani fenomeni: tutto inizia con il ponte Einstein-Rosen.


© 2001 John Gribbin, titolo originale Hyperspace connections: Black holes, white holes, wormholes, traduzione italiana Danilo Santoni






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