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Recensione a "Marte, pianeta libero"


Marte, pianeta libero (White Mars, '99), Brian W. Aldiss e Roger Penrose, traduzione di Fabio Feminò, "Urania" n. 1408, ed. Mondadori, 2001; © '99, by Brian W. Aldiss and Sir Roger Penrose; edizione originale: (Little Brown, '98 - UK) e, contemporaneamente, in Germania; poi (St. Martin's, '99)


Incredibile romanzaccio, che fa fare numerosi passi indietro alla letteratura utopistica; che, da diversi secoli, ha lasciato la forma del trattato filosofico che prendere quella... del romanzo di Sf.

È, infatti, costituito, in gran parte, da noiosissimi ed inseguibili, per la loro vacuità, scoordinazione interna, varie volte addirittura sconnessione logica interna, dibattiti, sui più svariati possibili modi giusti per costruire un’utopia; un avamposto marziano su Marte viene lasciato a sé stesso in seguito ad un collasso economico della Terra, per creare la .micro società che da molti è ritenuta l'ideale per poter costruire un'utopia; "... sarebbe potuto riuscire (quella costruzione dell'Utopia) solo perché la nostra era una piccola popolazione, e, per giunta, selezionata in base alla coscienza sociale." (pag. 99).

Portando, già molto faticosamente, il lettore a questa condizione iniziale (che, almeno, poteva essere il fondale della narrazione fin dall'inizio), cominciano subito gli interminabili dibattiti, discussioni, assemblee, messe in tutte le salse, per variare un po', nel vano tentativo di renderlo meno noioso...

Vi si citano svariati testi utopici, dalla "Repubblica" di Platone a "A Modern Utopia" di H.G. Wells, ecc., e, piccolo tocco di divertimento, vi sono vie, navi spaziali, a cui vengono dati nomi di scrittori di Sf: Kim Stanley Robinson, Ben Bova, Arthur C. Clarke, per poi dire direttamente che: "... la terraformazione... in origine era un'idea concepita dallo scrittore di fantascienza Jack Williamson." (pag. 16), e che "Per questa paura delle creature aliene sentii che erano da biasimare soprattutto Herbert George Wells e i suoi successori." (pag. 98).

Ma, questi, sono degli sprazzi di chiaro nella noia che abbiamo detto; già, perché oltre a quelle interminabili, incredibili discussioni, ci sono, ancor peggio, dei lunghi intermezzi scientifici, molto presumibilmente opera del fisico Roger Penrose, che risultano più noiosi di un cattivo testo divulgativo.

A sollevare un po' tutto ciò, vi sono alcuni episodi nei quali si sente, netto, lo stile capace di avvincere gli animi del miglior Aldiss, uno fra tutti, senz'altro la cosa migliore dell'intero romanzo, quello nel quale si fa la scoperta dell'acqua del sottosuolo, di Marte.

E c'è un alieno davvero nuovo, anche se un po' alla "Solaris", un'entità nella quale tutte le forme di vita del pianeta si sono accomunate, in un mimetismo dovuto, molto probabilmente, al dover fronteggiare una minaccia spaziale (!!!???): "Da un punto di vista evoluzionistico, qui il cooperare ha un netto vantaggio sul competere.... Tutti gli esseri si sono raggruppati insieme per proteggersi in un ambiente tanto difficile. È stata la loro strategia finale." (pag. 190).

Ciò che mi pare emerga, da tutti quei dibattiti e discussioni, è che a quell'utopia si fa prendere una svolta quasi superomistica, di superamento, dell'umanità, di sé stessa: "... ci stavamo sviluppando in una società conscia della filogenesi, che accettava e scendeva a patti con le nostre innate contraddizioni, rivelando la vera natura umana nella sua totalità." (pag. 202), cosa che, poi, nel finale, si vede nettamente.

C'è, anche, un accenno, che poi rimane solamente tale, al racconto da cui Kubrick/Spielberg hanno tratto "A.I.": "Si udiva della musica. L'aria "Sopra i miei piedi le rose parlano" dall'opera di Delaport "Supergiocattoli"." (pag. 33).

Come se non bastasse, questo pasticcio è orrendamente tradotto dal Feminò, che non si capisce davvero perché la Mondadori si ostini a tenere fra le proprie fila, visto che ogni opera che tocca è un vero disastro.

Chiunque amasse, come me, Aldiss, e non avesse ancor comprato questo libro… non lo faccia!!






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