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Recensione a "Mary e il gigante"


(Mary and the Giant, '87), Philip K. Dick, traduzione di Tommaso Pincio, "Collezione Dick" n. 3, ed. Fanucci, 2000; © '87, by The Estate of P.K. Dick; edizione originale: (Arbor House, '87); edizione inglese: (Ultramarine Publishing, '87, in tiratura limitata), (Gollancz, '88), (Gratton Books, '.89)


Finalmente, anche questo romanzo mainstream di Dick che avevamo visto citato nelle sue bibliografie senza che, accanto, potessimo vedere una collana, un editore, una data di pubblicazione italiana, lo possiamo leggere nella nostra lingua.

Dick lo scrisse, addirittura, fra il '53 e il '55, quando, cioè, aveva pubblicato solamente una manciata di racconti di Sf; "Solar Lottery", il suo primo romanzo di Sf, è proprio del '55; nel '57 aveva preso degli accordi verbali con un editore per la sua pubblicazione, che, poi, però, non avvenne se non molti anni dopo la sua morte.

Ed è, prevalentemente, un romanzo sulla diversità; che parla di razzismo, certo, di una cittadina americana in cui, ancora, i negri vivono in un loro quartiere, più squallido di quello in cui vivono i bianchi, ma, che, più che altro, dice la diversità di essere più avanti di quelli che ti stanno attorno: "Un giorno, tra un centinaio di anni, il mondo di Mary Anne avrebbe potuto esistere." (pag. 267).

E della diversità dei deboli, degli emarginati, in una società che ha come modello quello dell'arrampicata a costo di qualsiasi sangue (altrui); i bambini: "Erano come i negri, non davano la sensazione di voler fare del male." (pag. 139); e l'artista, emarginato, anch'egli: "Non... potrebbe far del male a nessuno." (pag. 165); sono entità fuori dal gioco, non in competizione, o per stato o per scelta.

Dice il Pagetti nell'introduzione ("Il nostro piccolo elfo", pag. 7): "Alla dimensione autobiografica appartiene anche la simpatia di Dick per i personaggi di colore, rappresentati in un'atmosfera provinciale che ancora li discrimina, e, in generale, per tutti gli outcasts, che egli già sentiva fratelli." (pag. 11).

E, questa condizione di debolezza, che il sistema può, e riesce, a creare nel suo gran agitarsi, qui Dick la incanala in una figura femminile, la Mary, "piccola e fragile", impacciata nel suo approccio col mondo, che non sa dove dirigere il suo passo: "... è come una bambina di due anni... una ragazzina che gira sperduta, in cerca di qualcuno che la trovi." (pag. 214).

Una bambina che, quando ancora lo era realmente, è stata stuprata da suo padre; e che si porta dentro quella paura, del maschio, che non riesce a farla vivere bene.

A vivere bene la propria sessualità, che, però, ad un certo punto, si sblocca, merito del... gigante; un uomo adulto, vecchio e saggio, che la fa sentire abbastanza sicura da riuscire a farlo: "... si rese conto che si stava addormentando in tutta tranquillità o, perlomeno, che si stava lasciando andare a una specie di torpore. Aveva gli occhi ancora aperti... ma non era uno sguardo davvero concentrato su qualcosa.... La sua mente era ripiegata su sé stessa, era ancora presa dai suoi pensieri, dal ricordo di certi pensieri."; "...qualcosa percorse il corpo di Mary Ann in superficie e sé ne andò: lei si contrasse tutta, s'irrigidì e poi si ammorbidì nuovamente.... "Non mi era mai successo prima. Non mi era mai sentita venire. Le altre volte era sempre una cosa che subivo, una cosa in cui io non facevo niente." (pagg. 185-7-8).

Sempre il Pagetti: "Little Miss Elf: la piccola signorina Elfo... In questo ritratto di adolescente dai capelli neri, lo scrittore convoglia una serie di riferimenti simbolici che appartengono all'universo della favola, a cui allude lo stesso titolo del romanzo. Il gigante è certamente Schilling (l'uomo "vecchio e saggio" che abbiamo detto) , ma, rispetto al corpo minuto e fragile di Mary, giganti sono tutti gli uomini che la circondano... Giganti o, piuttosto, orchi, pronti a mangiarsi il piccolo elfo, nell'illusione che Mary dia loro quello che non possiedono: una speranza nella vita, un progetto per il futuro." (pagg. 12-3).

E, poi, altra cosa che mi pare decisamente rilevante, è quell'agitarsi, del mondo, sia sentito come qualcosa di, principalmente, privo di senso; un sentire che è molto moderno, sicuramente non della letteratura popolare americana di quegli anni: "... meditava sull’enigma dell'esistenza." (pag. 118); "... riflettè sulla vanita della vita." (pag. 131); il Pagetti: "Nowhere è la direzione verso cui muovono i personaggi dickiani, in questo come negli altri romanzi, di fantascienza e non, dal momento che tutti sono condannati a vivere in quel labirinto che è l'esistenza: una insidiosa prigione, fatta di convenzioni sociali, di parole prive di significato, di simulazioni e menzogne." (pagg. 11-2).

Un'altra considerazione che penso si possa fare riguarda un passo verso la fine, nel quale Dick fa una sorta di dichiarazione teorica su uno dei punti che caratterizzeranno la sua abbondante produzione futura:

"Si chiese come avrebbe potuto essere, se suo nonno non fosse morto, o se avesse avuto un altro padre, se fosse vissuta in una città più grande, conosciuto qualcuno di cui potersi fidare.... Forse, in un qualche punto del tempo, in qualche parte del mondo, un momento di responsabilità esisteva." (pag. 266), in cui si dice di quel suo sentire gli accadimenti per interconnessi fra loro in maniera totale, che è delle religioni orientali, e che, a leggere attentamente, lo si può infrasentire anche in altre parti di questo romanzo.

Per quanto riguarda la trama, c'è da notare una cosa, per così dire, macroscopica; essa ha come suo epicentro un negozio di dischi, di cui Mary (che, già qui, non è la protagonista, ma una delle, protagoniste), diventa commessa, lavoro che lo stesso Dick aveva svolto, conoscendovi una ragazza che poi divenne la sua prima moglie.

Dice infatti, ancora, il Pagetti: "... Dick (in questo romanzo) comincia a rielaborare quel ricco immaginario autobiografico che serpeggia in tutta la sua narrativa." (pag. 10).

Più in generale, c'è da dire che anche un'altra delle caratteristiche base dello scrivere di Dick si scopre qui, quella della sfaccettatura del reale, visto da punti di vista differenti, anche se, certo, in maniera molto embrionale: "... (Dick sceglie un) punto di vista mobile e mai del tutto definito per la sua narrazione in terza persona (nella prima parte del romanzo prevale la soggettività di Mary; nella seconda quella di Joseph Schilling)... " (Pagetti, pag. 12).

Ancora il Pagetti, nell'introduzione, riporta una considerazione esposta da Mattia Carratello al convegno dickiano di Macerata dell'anno scorso: "... ha individuato in "Mary e il gigante" la presenza del motivo della piccola città, così pervasivo nella letteratura americana del '900, nel cui alveo vizi e virtù possono essere disvelati, mentre l'autore esplora la vita apparentemente placida di un microcosmo in torbida fermentazione." (pag. 13), e, cosa di gran lunga più importante, dice: "... il romanzo dickiano continua a ridefinirsi passando dalla cronaca realistica alla favola grottesca (ecc.)... Basterà a Dick applicare a questo linguaggio così intensamente problematico il novum della fantascienza, per arrivare al commento allucinato e ironico sull’America post-bellica, presente nei suoi romanzi migliori degli anni '50... " (pag. 14), cosa che, per chi abbia letto i suoi romanzi di Sf, risulta davvero chiara in vari passaggi di questo.

Il volume è tradotto da "Tommaso Pincio", uno pseudonimo dietro al quale, ancora, non si sa chi si voglia nascondere, così come sua è la postfazione, "Science-Facts" (pag. 281), in cui, prevalentemente, fa notare un paio di cose interessanti riguardo alla struttura, di questo romanzo, o, come vedremo, di questo romanzo: "Di cose ne succedono e molte in "Mary e il gigante". Ma si succedono e basta, senza mai intrecciarsi veramente, senza mai acquistare la forma della trama romanzesca. La sequenza episodica dei capitoli, poi, non è molto lontana dal sistema narrativo a puntate di un serial televisivo." (pag. 283).

Per concludere; ricordando certe vergognose edizioni di opere di Dick, fa quasi impressione, oggi, poter avere questa collana, così splendidamente curata, nella quale, sicuramente, oltre alle edizioni buone dei testi che già abbiamo, potremo leggere anche gli altri (ormai non più moltissimi) inediti del genio di Chicago; già annunciato in uscita "Puttering About in a Small Land", altro mainstream del '57, anch'esso edito solamente postumo dalla Academy Chicago.






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