Recensione a "Madre Londra"
(Mother London, '88), di Michael Moorcock, traduzione di Stefano Carducci, "Collezione immaginario" n. 2, ed. Fanucci, 2001, 509 pagine, 32.000 £, 16,60 €
"Racconta di presentimenti inquietanti, di fughe impossibili e di coraggio inaspettato. Racconta di David Mummery, salvato dal Capitano Nemo. Di Josef Kiss che legge nella mente e con questo aiuto ha salvato migliaia di vite, e di Mary Gasalee che esce camminando illesa dall'inferno con la sua bambina fra le braccia.", si dice nell'ultima pagina di questo incredibile, splendido romanzo di Moorcock, curatore di "New Worlds" negli anni decisivi, nei quali si determinò quella svolta determinante, nella Sf, che sappiamo.
Ed è veramente tutto lì, per quanto riguarda, per così dire, la trama; si, perché trama non ne ha, questo romanzo; è che è costituito, interamente, da monologhi interiori, assolutamente insignificanti dialoghi quotidiani, e non racconta una storia; o, meglio, non la racconta nel modo solito, per mezzo di qualcosa che succede, e, poi, va avanti e termina; no; ma una storia la racconta, ed è la storia del sentimento di londinesità, che traspare, e trasmette, vivido.
I protagonisti sono degenti, occasionali e non, di una clinica psichiatrica, e la narrazione si estende nel tempo dal '40 all"85, e ha, quasi, una cadenza musicale, fatta di crescendo e... scendendo, che, ben presto, dice, al lettore, che non c'è possibilità, che non deve, tentare di capire; ma leggere le pagine, gli episodi, ad uno ad uno, a coglierne l'atmosfera.
Il clima che Moorcock vi riesce a creare è davvero incredibile, e capita, così, di trovarsi in una "Terra dei sogni", essendo passati per "... passaggi segreti per un regno magico sotterraneo." (pag. 474), scoperti da uno dei protagonisti che sta lavorando, da sempre, ad "... uno strano libro sulla rete di gallerie "perdute" della metropolitana della città... dimora di una dimenticata razza trogloditica che si era nascosta nel sottosuolo al tempo del Grande Incendio." (pag. 355), o di imbattersi nel Popolo del Sole, che "... potevano vivere nel fuoco... (e) che ogni tanto venivano a fare acquisti a Soho." (pag. 490).
Si scende, lentamente, dalla normalità verso un luogo, questa Terra dei sogni, che ne è decisamente all'esterno, dove accadono eventi decisamente impossibili, in un'atmosfera di fiaba che, a volte, ricorda, appunto, quella di "Alice nel paese delle meraviglie", il "Pinocchio" d'Inghilterra, per, poi, risalire, altrettanto lentamente, alla realtà iniziale, anche se sarà una realtà necessariamente mutata.
Fra le moltissime cose che vi si trovano, io ho rilevato queste; Josef Kiss, il personaggio che legge nella mente, o crede di poterlo fare: "... la mia capacità fin dall'infanzia di sentire e vedere ciò che era inaudibile e invisibile per gli altri." (pag. 162), è un'evidente metafora del diverso che fatica ad essere accettato, dell'artista più sensibile delle persone normali: "Le mie allucinazioni... Le condivido con migliaia di altri. Eppure non vi viene mai in mente di pensare con serietà per un attimo che, dato che siamo in migliaia, potremmo forse avere ragione… La differenza potrebbe essere soltanto nell'intensità con la quale io e gli altri viviamo le nostre vite… i miei periodi di demenza non (sono) altro che il risultato dell'impossibilità di controllare il mio dono." (pagg. 178-9).
E questa frase, di quello dello strano libro, quando scopre quella razza di trogloditi: "... spiegazione semplice e ovvia per tante leggende e racconti popolari londinesi di coboldi e gnomi che strisciavano dalle fogne di notte per rubare cibo e rapire bambini!" (pag. 357), in questa "... Londra... piena di fantasmi. Ce ne sono tanti quasi quanto i vivi, una cittadinanza di spiriti..." (pag. 492).
E due considerazioni, fra le infinite che vi si fanno: "Sembra che ci spostiamo attraverso il tempo a diverse velocità, turbati soltanto quando la sensibilità cronologica di un'altra persona contrasta con la nostra." (pag. 498); "... gli uomini odino le donne perché li abbiamo fatti nascere, perché odiano la vita, odiano tutto quello che vive lo distruggono lo insudiciano lo derubano di ogni dignità d'identità di ogni sua cosa... " (pag. 273).
Avrete notato che quest'ultima citazione sembra sgrammaticata; è lo stream of consciuosness, di cui Moorcock fa un gran uso, qui, in una maniera molto personalizzata, che, coll'andare, si finisce per capire benissimo, per quanto, se ne si leggessero degli spezzoni isolati, non vi si capirebbe un bel nulla.
Insomma, un romanzo difficile, che fantastico è, in un qualche modo, ma solo lateralmente: "... come la droga, la narrativa sensazionale spesso perde il suo potere con l'uso prolungato. Fu più per disperazione che per particolari aspirazioni che negli ultimi anni feci ricorso sempre più spesso a Henry James o Marcel Proust." (pag. 498).
Quindi, se, di Moorcock vi piacesse l'aspetto avventuroso dei "Warriors of Mars" o della saga di Elric di Melniboné, lasciatelo perdere; ma se vi piacquero, anche, "Il veliero dei ghiacci", o "Il corridoio nero", non lasciatevelo sfuggire.
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