Recensione a "Lungo una strada pericolosa"
(Darwin's Blade, 2000), Dan Simmons, traduzione di Anna Polo, "Dark" n. 3, ed. Fanucci, 2001; edizione originale: (Morrow, 2000), 477 pagine, 32.000 £, 16,60 €
Simmons ci ha fatto capire molto bene la sua capacità di destreggiarsi con generi e stilemi fra loro molto diversi, dal cyberpunk. del ciclo di Hyperion all'horror di "Danza macabra", al thrillig di "Vulcano", passando per variazioni anche molto differenti, e, ora, con questo suo ultimo romanzo, ci dice che ci sa fare, anche, col giallo.
È un giallo che, certo, ne utilizza gli stilemi in maniera molto personale, ma che rimane pur sempre tale; la situazione di equilibrio iniziale viene infranta, ma, i successivi accadimenti, la riporteranno ad esso.
La lunga vicenda prende le mosse molto lentamente, in una normalità nella quale già, però, ci sono morte e violenza, e deviazioni marcate dal vivere comune; per, poi, impennarsi all'improvviso, e portarla rapidamente, e in una spirale della quale sembra non esservi limite, ad un costante accrescimento della tensione, fino ad un finale catartico di sangue e morte, che è, a quel punto, diventato normale, anche se, a guardarlo in maniera distaccata, dopo, non lo è affatto; ma la fine è happy, decisamente, anche se: "Certe domande non avevano ricevuto risposta, ma alcuni enigmi erano stati risolti." (pag. 475).
Incentrato su un'indagine dell'F.B.I. riguardo alle frodi assicurative, ha a protagonista un ex marines pluridecorato in Vietnam per una sua azione eroica; da cecchino.
Questa della figura del cecchino è un altro elemento molto importante, non rimane, cioè, solo un elemento descrittivo, marginale, ma va a far parte di importanza rilevante alla trama; oltre che costituire un capitolo a sé di narrazione di guerra.
Che fa da cardine, o, quantomeno, da corollario rilevantissimo, alla, per così dire, figura psicologica del protagonista, che, già, a quel punto, sapevamo avere un passato nel quale una disgrazia aveva scavato un solco profondo.
Ci sono infinite riunioni, di poliziotti ed agenti dell'F.B.I., e, per quanto riguarda l'investigatività, per così dire, ne è permeato, perché Dar (il Darwin del titolo originale), fa il consulente per un'agenzia assicurativa; ed indaga fin dalle prime pagine.
Ma, ciò che Simmons segue, non è l'indagine in sé, ma una cosa che gli riesce particolarmente bene; lo scavo psicologico dei personaggi; che risultano, quelli che lo subiscono, tutti di una completezza incredibile, reali ed umani come è davvero difficile riuscire a fare.
Primo fra tutti, come abbiamo detto, ovviamente, quello del protagonista, ma, di incredibile profondità, risulterà essere anche quella di Syd, l'investigatrice dell'F.b.i., che risulta splendida nella commistione di durezza professionale e di dolcezza privata.
C'è la storia d'amore che sorregge, quasi inevitabilmente, il tutto, fra lui e l'investigatrice dell'F.B.I., ma che, nelle mani di Simmons, risulta quanto di meno banale e trito si possa fare.
Il ritmo, come ho detto, risulta incalzante, anche, o, forse, proprio per merito delle lunghe digressioni, delle descrizioni dettagliate e dilungate dei vari episodi, ma mai oltre la misura, che vanno, mi pare, ad accrescerlo, appunto, in una sapiente miscelazione di phatos e controphatos, ed improvvise accelerazioni.
E vi parla moltissimo di, armi; nei dettagli, con la descrizione minuziosa di ogni loro caratteristica; forse in maniera anche un po' eccessiva.
Al nostro genere, che Simmons non hai mai rinnegato, come altri grandi che vi sono passati, riserva alcune citazioni: "Leonard Nimoy... Harlan Ellison" (pag. 317), quali abitanti di Coy Drive, "... un mostro da film dell'orrore a basso costo, tipo quelli del 1961 con Roger Corman... " (pag. 318), per descrivere il protagonista che si sta preparando per la scena finale, "Steven Spielberg... "Incontri ravvicinati del terzo tipo"... " (pag. 322), la cui astronave gigante del finale viene detta essere stata ispirata ad una casa vicina a quella del regista.
Ottimo, ha due soli difetti; il prezzo, non certo bassissimo, e la mancanza di un qualunque apparato critico; peccato, anche perché i precedenti due volumi della collana avevano, entrambi, una postfazione.
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