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Una chiacchierata sul futuro della Sf

Conversazione tra Giuseppe Iannozzi e Danilo Santoni


"... È l'immagine di un'altra stanza a forma di cella, senza finestre, ma piena di mobili e di attrezzature: una scrivania, schedari, mensole per i libri, computer e un apparecchio televisivo. Tutto è colorato in bianco e nero o in varie scale di grigio, compresa la giovane donna seduta alla scrivania. Indossa guanti bianchi, scarpe nere, pantaloni di un nero opaco e un camice da laboratorio bianco. L'immagine dalla Tv è monocromatica. Ma la stanza è costruita sottoterra; sulla superficie, mostrata in sezione, c'è un piccolo panorama pastorale, pieno di colori brillanti.

Questa è Mary di Frank Jackson, lo scienziato dei colori. L'idea è che sia nata e cresciuta ed educata in un ambiente totalmente monocromatico. Conosce assolutamente tutto ciò che c'è da sapere sul colore in termini scientifici (per esempio le varie combinazioni di lunghezza d'onda che stimolano la retina dell'occhio nel riconoscimento del colore) ma non ha mai visto realmente un colore. Nota che non ci sono specchi nella stanza cosicché non può vedere la pigmentazione del proprio viso o dei propri occhi e il resto del suo corpo è coperto. Poi, un bel giorno, le viene permesso di uscire dalla stanza e la prima cosa che vede è, mettiamo, una rosa rossa. Che dici, si troverà di fronte ad una esperienza totalmente nuova?"

David Lodge, Thinks... (Pensieri, pensieri), 2001


Danilo

Credo che per attirare l'attenzione del lettore (e per conservarla) la cosa migliore sia di iniziare con una domanda molto intelligente e (se possibile) provocatoria, ci ho pensato e ne ho trovata una che fa proprio al caso nostro: come ti sei avvicinato alia fantascienza?


Giuseppe

Una bella domanda, non c'è che dire! Fammi pensare... si, io non mi sono mai avvicinato alla fantascienza, è stata la fantascienza ad avvicinarsi a me e in maniera abbastanza subdola. Mi spiego: io ho avuto, o forse ho sofferto, una cultura prettamente umanistica almeno fino all'età di quindici anni. Non ti saprei dire quanta letteratura classica sono riuscito a digerire: una stima molto approssimata mi vede costretto ad ammettere, con una certa vanità, che ho letto qualcosa come 5.000 opere, almeno sino ad oggi. Ma non ne sono del tutto sicuro, perché è da parecchio tempo che non tengo conto delle ore che spendo dietro i libri, e neanche più tengo conto dei miei acquisti; quindi, è possibile che abbia letto molto di più di quanto dichiari.

All'età di otto anni circa ho letto il mio primo libro veramente importante: una edizione commentata de I misteri del castello di Sir Walter Scott. Chiaramente, essendo un romanzo molto complesso per un bambino, al tempo, di quel romanzo compresi poco o nulla: ne compresi l'importanza solo quattro anni più tardi. E nell'intanto avevo già divorato tutti i romanzi di Sir Walter Scott. È stato un approccio umanistico come si può ben intuire: Walter Scott, per quante opere fantastiche abbia scritto, è sempre stato ritenuto un autore classico, e io mi sono avvicinato alle sue opere con il romanzo più difficile che Scott abbia mai scritto.

Sono rimasto conquistato da I misteri del castello perché mi ha indicato la strada verso un mondo visionario eppure rigoroso. Sono dell'opinione che se avessi letto un classico della letteratura per l'infanzia, probabilmente non sarei mai stato conquistato dalla letteratura: se fra le mani mi fossi ritrovato un romanzetto purgato, riveduto e corretto per la mia età, avrei reagito davvero male, nel senso che non dubito che avrei dimenticato su due piedi ogni velleità letteraria, e magari oggi sarei un onesto colletto bianco, nei limiti del possibile, s'intende. Ma ho avuto la fortuna e anche la sfortuna di leggere un libro importante: Sir Walter Scott mi ha ammaliato con le sue parole, con i suoi personaggi, con le sue tragedie umane e gli intrighi politici. Con il trascorrere degli anni, la buona letteratura è diventata per me essenziale, più dell'aria che respiro. Ho letto - e continuo – a leggere davvero tanto, forse troppo... Sono rimasto affascinato da Johann Wolfgang Goethe, Miguel de Cervantes, Hermann Hesse, Oscar Wilde, Thomas Mann, Michail Bulgakov, Jerome David Salinger... Ma sono rimasto stregato anche dalla filosofia: Bertrand Russell, F. W. Nietzsche, Giordano Bruno, Platone, Aristotele. solo per citare qualche filosofo; la filosofia è diventata importantissima per me, tanto da rendermi immune da molti mali del vivere quotidiano. Non dico di essere filosofo, ma sono in molti che vedono in me una sorta di solitario, un erudito o molto più semplicemente un intellettualoide, insomma un tipo a cui piace stare più con i libri o da solo piuttosto che con le persone. E la poesia: non c'è un solo poeta classico e contemporaneo che non ami e che non abbia amato fino a farmi del male; a nutrirsi di poesia, si rischia di perdere la cognizione della realtà! I poeti che preferisco: Pier Paolo Pasolini, Dino Campana, Dario Bellezza, Arthur Rimbaud, Verlaine, Wait Whitman, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Ferlinghetti, Trilussa... in pratica tutti, persino quello stronzo di Gabriele D'Annunzio. Ma un amore viscerale lo nutro per P. Paolo Pasolini, uno degli ultimi intellettuali veramente con le palle, uno spirito libero. E in molti cantautori io vedo dei poeti: Fabrizio De Andre, Francesco Guccini, Roberto Vecchioni, Bruce Springsteen, Patti Smith... Fin qui c'è ben poco di fantascientifico, anzi nulla!

Eppure, Danilo, se ci fai caso amo i pazzi: non mi riesce di amare la normalità.

Non penso di essere un ribelle né per moda né perché il momento storico lo impone: la mia natura a volte distratta, a volte contemplativa, altre ancora mistica, mi spinge ad amare chi ha veramente qualcosa da dire con le parole, con la voce, con la pittura, con la musica. Van Gogh, io, non lo ho mai inquadrato come un pittore, perché nelle sue tele ho letto la solitudine dell'uomo. I quadri, in generale, per me sono prima di tutto opere che vanno lette con il cuore e non solo guardate con gli occhi.

Bene, fino a quindici anni ho amato tutto questo, una cultura che oggi mi è molto preziosa e che continuo a vivere giorno dopo giorno. Poi, fra le mani mi capita un libro di William S. Burroughs, Il pasto nudo, e la mia cultura umanistica viene proiettata dopo la lettura di questo libro in un bellissimo incubo allucinato. Si, Il pasto nudo di W. Burroughs mi ha sconvolto, così non ho potuto fare a meno di leggere ogni singola riga di questo autore. E così ho scoperto la Beat Generation: le opere di Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, ecc., le ho lette in inglese americano.

Mi sono consumato gli occhi per comprendere il loro slang e i giochi di parole, ma non ho rimpianti: senza gli ideali della Beat Generation, senza la cultura beat, oggi al massimo sarei capace di scrivere come Alberto Bevilacqua o peggio. Non amo gli stilemi umanistici che fanno prigioniero lo scrittore di regole grammaticali e sintattiche: è mia opinione che per essere un buon scrittore non occorra avere stile. È giusto invece possedere tanta fantasia e un non-stile. Così se scrivo un racconto storico, scriverò in un certo modo, ma se mi vien voglia di mettere su carta un racconto mainstream, allora le cose si complicano, almeno per me, perché il mio non-stile mi porta a sperimentare tutti gli stilemi della cultura umanistica, a mischiarli insieme e, infine, a corromperli con le regole (non-regole) delle avanguardie letterarie. Scrivere bene, per me, significa inventare con le parole una storia, ma ogni parola, ogni virgola, deve avere un significato mistico e visionario.

Ma la domanda forse era un'altra: il mio approccio con la fantascienza. Danilo, credo di averti risposto: rifiutando le regole umanistiche (le ho rifiutate a modo mio, chiaramente... le ho purgate!), ho incontrato la fantascienza nelle regole umanistiche corrompendole per le mie esigenze di scrittore visionario. Molti romanzi ritenuti dei classici, per me sono opere di science fiction: l'Orlando furioso di L. Ariosto, Il giuoco delle perle di vetro di H. Hesse, Il ritratto di Dorian Gray di O. Wilde, molti romanzi di V. Woolf anche, mi è impossibile dire tutto ciò che per me è Sf. Forse tutto. Ma ciò dicendo non voglio fare del revisionismo letterario: semplicemente credo che la cultura umanistica (o classica) dovrebbe guardare molto più da vicino a quella di genere e alle avanguardie letterarie, ma è anche vero il contrario. Se non ci si renderà conto di ciò, presto, molto presto, non ci sarà più ragione di leggere un qualsiasi libro, né di scrivere anche solo una cartolina alla propria ragazza o alla mamma. Quello che intendo dire è questo: oggi i libri sono quasi tutti uguali, cambiano i nomi dei personaggi, le scenografie, ma il succo, il significato, dov'è?

Semplicemente non esiste. È tragico che ancora non ci si sia resi conto che la letteratura sta morendo: e non alludo a quella di genere. Il pericolo maggiore lo sta correndo la cultura alta, che produce solo copie carbone di se stessa, e ogni copia è sempre più stomachevole di quella precedente.

La fantascienza corre lo stesso rischio, ma è un genere ribelle per natura: gli scrittori di sf si provano con opere sempre nuove, spesse volte fanno cilecca, ma non sono rare le volte che creano opere d'arte nettamente superiori a quelle prodotte e commercializzate dalla cultura alta contemporanea. I biplani di D'Annunzio è forse uno dei migliori romanzi italiani, un romanzo senza etichette, e questa è vera fantascienza. Valerio Evangelisti, poi, con l'Inquisitore Eymerich ha tradotto la cultura alta su di piano popolare senza per questo rinunciare allo stile e a forti, fortissimi contenuti sociali, politici, religiosi.

Comunque, il primo romanzo di fantascienza l'ho letto all'età di diciassette anni: Ubik di Philip K. Dick. Quel gran figlio di buona donna, nel senso buono s'intende, mi ha rovinato definitivamente: letto Ubik, nel giro di un mese mi sono procurato tutti, i romanzi di Dick e li ho divorati tutti nel tempo di un mese. Li ho letti tante di quelle volte che li ho praticamente consumati. Così ho conosciuto la fantascienza: Asimov (a dir la verità non amo molto Asimov, troppo poco mistico per i miei gusti), Edmund Cooper, Ursula K. Le Guin, K. W. Jeter, J. G. Ballard, Luca Masali, Valerio Evangelisti, Alessandro Vietti, Vittorio Curtoni, Vittorio Catani, Franco Forte, Franco Ricciardiello, Roberto Sturm, Donato Altomare e ovviamente anche te, Danilo 5antoni che pubblichi davvero poco, nonostante - e questa è una mia opinione personale - tu sappia scrivere davvero bene, con la precisione del non-stile. Impossibile citare tutti: dovrei scrivere un libro dedicato esclusivamente agli autori di fantascienza che amo. Ray Bradbury, beh, è forse uno dei pochi scrittori di fantascienza che mi stanno veramente sullo stomaco: non l'ho mai capito, e temo che mai ci riuscirà... non è uno spirito libero, questo è il motivo che mi spinge a non apprezzarlo.

Una risposta lunghissima, era inevitabile: mi hai fatto una domanda difficile. Avrei molte cose da aggiungere ma non mi sembra il caso. E poi, molti miei saggi presenti su Intercom, approfondiscono i temi qui trattati con maggiore precisione, quindi...

Si, credo di amare la fantascienza in modo viscerale: altrimenti non saprei spiegarmi perché dormo tre ore a notte per consumarmi gli occhi su tanti e tanti libri. Ma forse io non sarò mai uno scrittore di fantascienza a trecentosessanta gradi: prova a domandarmi il perché?


Danilo

È buffo ma, tolto qualche nome, il tuo percorso di avvicinamento alla fantascienza assomiglia molto al mio, casuale e 'irradiante'. Se tu hai avuto Scott io ho avuto Hugo, il Gobbo di Notre-Dame l'ho letto verso i tredici o quattordici anni e a ripensarci inorridisco a vedere cosa legge oggi mio figlio a quella stessa età (o dovrei dire cosa non legge?). E questo mi porta ad una riflessione. Sto notando che le nuove generazioni hanno un rapporto molto diverso con il prodotto stampato puro e semplice e tendono di più al prodotto multimediale. Sono dell'idea che stiamo passando da una società della parola ad una società dell'icona.

C'è, poi, una cosa molto strana e che mi incuriosisce molto riguardo alla fantascienza in particolare, ma più in generale riguardo a tutta la produzione fantastica. Se dici a qualcuno che stai leggendo fantascienza o che in qualche modo ti interessi di fantascienza, ti guarda con un'aria quasi condiscendente e il più delle volte ti chiede se credi agli UFO o ti cita Asimov.

Ogni volta rimango sorpreso, prima di tutto per l'accostamento tra fantascienza e Asimov-UFO: sono dell'idea che tutta la letteratura sugli UFO sia della pessima mondezza senza alcun valore (e senza bisogno di discuterne) mentre penso che la figura di Asimov sia deleteria per l'immagine della fantascienza. Asimov ha avuto un successo tale da far coincidere la visione della produzione fantascientifica con la visione della sua produzione (almeno in Italia) e Asimov è uno che scrive in modo piatto, scialbo e senza valore. Ha una grossa dote, sa attirare l'attenzione del lettore (ho notato che se inizi a leggere qualcosa di suo, raramente smetti), ma alla fine ti chiedi che valore abbia ciò che hai letto e il più delle volte devi ammettere che è praticamente nullo.

Non so per quale motivo, ma in Italia Asimov e UFO gettano la loro ombra su tutta la fantascienza e se dici di essere appassionato di fantascienza ti guardano come un bambino ritardato. E, qui sta la seconda cosa che mi sorprende, questo succede in un momento in cui la stragrande maggioranza della produzione iconografica è pervasa dalla fantascienza: i film di maggior successo e di maggior impatto sul pubblico sono quasi tutti di fantascienza (e quelli non di fantascienza tendono molto spesso ad usare effetti speciali che tendono alla fantascienza); pubblicità, grafica, stile... tutto tende al fantastico; non c'è videogioco che non abbia una base fantascientifica e potremmo andare avanti.

E io non mi spiego questo, come mai la fantascienza venga accettata in tutti i campi dell'espressione umana tranne che in quello letterario.


Giuseppe

Si, Danilo, immagino che entrambi ci siamo avvicinati alla fantascienza per pura casualità. ma forse la casualità è più vicina alla naturalezza, più di quanto noi stessi siamo disposti ad ammettere.

Sai, diffido un po' di quelle persone che leggono solo fantascienza e non sanno che al mondo esistono anche altri libri. Poi c'è chi scrive fantascienza senza aver mai letto un libro; e la MTV generation conosce ogni battuta e moda televisiva, e crede che lo schermo della Tv sia la Bibbia della conoscenza umana. Chiaramente, questi approcci al mondo della comunicazione sono entrambi sbagliati, almeno questa è la mia opinione. Credo che si dovrebbe cercare di comprendere e acquisire conoscenza da tutto, e soprattutto si dovrebbe insegnare alle nuove generazioni l'importanza di saper scegliere la propria cultura. Credo che le nuove generazioni siano state violentate da troppe immagini: il mondo della comunicazione, per loro, è un'immagine proiettata e nella loro testa e nella loro anima, un imprinting che, ho paura, sarà difficile cancellare o almeno mitigare.

Io, per il momento non ho ancora una famiglia, ma quando mi guardo attorno e mi trovo a discutere con degli adolescenti, non posso fare a meno di notare che questi non hanno più parole in bocca: per loro, parlare, affrontare una qualsiasi discussione, è una sofferenza immane, perché il loro cervello non ha mai conosciuto vocabolario diverso da quello della civiltà dell'immagine e delle icone.

Temo che se si continuerà di questo passo, avremo dei figli che vivranno solo per l'incomunicabilità tradotta, anche essa, in immagine! È terribile. Il vocabolario di un adolescente conosce poche essenziali parole, davvero poche: con un vocabolario così ridotto, è impossibile esprimere concetti di qualsiasi tipo. È un ritorno al buio del medioevo, o meglio stiamo vivendo un secondo medioevo che oserei definire tecnologico. Oggi, i giovani comunicano tramite SMS, il più delle volte comprensibili solo a loro, perché sono una accozzaglia di simboli e slang locale, provinciale o preso a prestito da Internet e manipolato. Gli SMS già sono obsoleti: adesso, con il cellulare, ci si scambiano già immagini, disegni e foto (MMS). Ecco la civiltà dell'immagine, o meglio il medioevo tecnologico dove tutti (o quasi) si illudono di saper comunicare, ma in realtà imitano solo le scimmie! Si, amico: un medioevo tecnologico votato al culto delle immagini, dove l'uomo usa ogni immagine a sua disposizione con l'intelligenza che potrebbe avere una scimmia addomesticata in laboratorio, quindi solo capace a pensare attraverso ben precisi scherni comportamentali. Così stando le cose, oggi i giovani si esaltano davanti a un libro solo se propone loro la morte fotografata o il solito vecchio sesso patinato. Ma i giovani prediligono ancor di più un prodotto multimediale: le immagini di morte e sesso possono così essere 'virtualmente' plasmate e adattate ad ogni realtà esistente, esclusivamente, nel cervello di chi fruisce del prodotto multimediale.

Danilo, temo che oggi ben pochi siano ancora in grado di apprezzare la magia immaginativa de Il gobbo di Notre-Dame... e della letteratura in generale.

Beh, se parli di fantascienza, ancora oggi, il pregiudizio borghese è quello di guardarti come un mezzo pazzo: il problema è che i più ancora credono che la Science Fiction significhi credere negli UFO e vederli in ogni dove. La fantascienza è solo letteratura: è bene ricordarlo a tutti. Purtroppo, la televisione e alcuni cattivi libri hanno inculcato nell'opinione pubblica l'idea fallace che la fantascienza sia una sorta di finta scienza che indaga intorno agli UFO. Asimov ha contribuito a radicare nell'immaginario collettivo che gli scrittori di fantascienza scrivano storie sugli UFO. Ma i film e la televisione hanno fatto di più: hanno sfruttato l'icona del marziano per metter su imponenti film da milioni di dollari, film che tutti guardano per ubriacarsi e dimenticare sé stessi. Credo che dopo la fine della II Guerra Mondiale, l'uomo si sia sentito molto solo e fragile, quindi ha cercato rifugio nella fede che, forse, l'Universo potrebbe essere abitato da altre forme di vita più evolute (o involute) rispetto agli esseri umani. L'uomo ha cercato di trovare nello spazio qualcosa (o qualcuno) peggio di lui (o meglio di lui) per giustificare le sue azioni. Io, personalmente, non escludo che l'Universo sia in grado di ospitare forme di vita: forse altre civiltà sono già state, altre magari saranno, ma non ne abbiamo prova alcuna. Chi fa oggi un culto degli alieni, lo fa per due motivi essenziali; la prima vede l'uomo impegnato ad inventare alieni da vendere all'umanità come sacchetti di patatine, la seconda vede l'uomo impegnato a trovare un nuovo culto religioso e il marziano gli sta bene così come gli potrebbe stare bene un venusiano!

Caro Danilo, temo che oggi l'uomo si senta molto fragile e solo, quindi non può fare a meno di pregare allo stesso tempo e Gesù Cristo e gli Alieni in una unica soluzione religiosa (e di comunione). E i furbi ci marciano sopra: ecco perché le sale cinematografiche sono prese d'assalto dalla fantasia tradotta in immagini commerciali a buon mercato. Videogames, pubblicità, business affairs, grafica, stile, cartoons, fumetti, videoclip, sono spacciati per fantascienza. E il pubblico ci crede: questo è il danno grave. Si vende la fantascienza, o meglio viene svenduta e inflazionata.

È già accaduto storicamente parlando: si vende al popolo la moda che il popolo vuole e desidera, così si compra il popolo vendendogli l'oppio delle religioni. E come per tutte le religioni commerciali (capitalistiche), solo i preti possono parlarne e interpretarle. Chi come noi, invece, guarda alla fantascienza in termini espressivi (e letterari), viene guardato con sospetto, indignazione e persino paura. In breve: dal pubblico borghese, lo scrittore di fantascienza è ritenuto un eretico, un sovvertitore dell'ordine. Asimov, con il suo stile piatto, scialbo, commerciale, era un prete della fantascienza, perciò non è ritenuto pericoloso né dalla critica letteraria né dal pubblico. Ultimamente, la moda vuole che in alcuni istituti tecnici, Asimov venga letto insieme a I promessi sposi. O meglio: Manzoni è stato quasi dimenticato, perché Asimov è più "prete" del Manzoni, e soprattutto Asimov dice le stesse cose del Manzoni, ma nessuno sospetta che Asimov è un prete, quindi i giovani finiscono con l'amarlo! Asimov è prima di tutto religione, per questo è difficile non amarlo nonostante il suo stile sciatto.

Io non potrei mai essere uno scrittore come Asimov o Bradbury... Non sarò mai un prete della fantascienza.


Danilo

A volte, però devo dire che un dubbio mi sorge. Non so... ma la sicurezza vacilla e allora mi chiedo se veramente sia giusto ritenersi nel giusto, ritenersi cioè una punta avanzata mentre non siamo altro che una retroguardia ormai quasi dimenticata. Mi chiedo, insomma, se ancora la nostra cultura sia compatibile col mondo attuale.

Lo so, i ragazzi oggi hanno grosse difficolta a spiegare le cose con il linguaggio, è una fatica starli a sentire, ma hanno altre capacità, hanno un rapporto con l'immagine che è totalmente diverso dal nostro. E questo senza dubbio avrà delle conseguenze sulla struttura sociale futura.

Non me la sento di essere pessimista come te, in fondo 'i preti' ci sono stati sempre e l'umanità nel suo insieme è sempre stata molto bigotta... ci spaventa forse il ritrovarci in un mondo alieno, un mondo che non è nato dalla fantasia di Faulkner o di Dos Passos perché loro sono riusciti solo a vedere il momento di dissoluzione di una cultura: dovremmo forse sforzarci di vedere le tendenze della nuova cultura e, paradossalmente, la fantascienza non tende ad aiutarci in questo.

Per un attimo il cyberpunk è sembrato un mezzo capace di scandagliare questo nuovo futuro, ma tutto è stato strozzato dal successo: ricordo un mio vecchio professore di letteratura americana che diceva che in America le grandi rivoluzioni letterarie sono state neutralizzate non attraverso l'adozione del divieto o dell'ostracismo, ma con il successo commerciale, e il cyberpunk ne ha avuto di successo!

Oggi credo che non si scriva più fantascienza... è rimasto forse qualche fumetto, ma cose da poco... oggi forse la fantascienza andrebbe ricercata altrove, così come quella che un tempo ritenevamo fosse la cultura.


Giuseppe

Non posse negare che spesse volte anche io nutro qualche dubbio circa il futuro della science fiction italiana e non. Purtroppo, la fantascienza ha conosciuto una fortuna, pour ainsi dire, sfortunata, ovvero all'inizio del '900 è stata tenuta in grande considerazione almeno dal popolo affamato di avventure fantastiche, poi con la I e la II guerra mondiale, la fantascienza è stata relegata e dal pubblico e dalla critica nella "memoria della dimenticanza". Gli orrori delle guerre hanno prodotto nell'uomo un rifiuto sistematico di tutto quello che non era convenzionale. L'uomo ha guardato con sospetto a tutto il panorama fantastico perché ritenuto un mondo culturale non dimostrabile. Eppure autori come Aldous Huxley, George Orwell, J. R. R. Tolkien, sono riusciti a mantenere vivo l'interesse nei confronti del fantastico; il pubblico si è affezionato (e spesse volte si è anche indignato) per le opere di questi autori, autori che non sono stati scrittori di fantascienza a trecentosessanta gradi. Con Aldous Huxley, ad esempio, l'interesse nei confronti della fantascienza presso la critica e il pubblico è stato rinnovato; poi George Orwell con romanzi quali 1984 e La fattoria degli animali ha dato nuovo credito alla fantascienza. E Tolkien ha dato nuovo smalto alla fantasy. Tutti e tre gli autori, se oggi ancora godono di grande fama e le loro opere sono considerate dei classici, è perché provengono da una cultura umanistica e non esclusivamente scientifica. La scienza è stata usata (e sfruttata) dagli scrittori di genere e non, per dar corpo ad opere più o meno fantastiche, più o meno politicamente corrette, che hanno spaventato il pubblico, un pubblico che nel giro di pochi anni ha visto la scienza solo impegnata a produrre armi per distruggere l'umanità. Così stando le cose, negli anni Quaranta e Cinquanta la fantascienza di stampo prettamente scientifico è stata guardata con sospetto, con paura. Eppure la sf, seppur dimenticata, o quasi, tra le due guerre, non è mai morta; Hermann Hesse, ad esempio, un autore che non si è mai interessato alla fantascienza in modo esplicito e dichiarato, ha scritto Il giuoco delle perle di vetro, un romanzo umanistico ambientato in un futuro dove tutte le inquietudini e le paure del genere umano del suo tempo storico sono state tradotte in un futuro ipotetico. Il giuoco delle perle di vetro, forse l'opera più ambiziosa di Hermann Hesse, è un esempio di fantascienza umanistica, una vera e propria opera d'arte e sotto il profilo dei contenuti e sotto quello estetico. Ed infatti, oggi, Il giuoco delle perle di vetro è un romanzo "vivo". La cultura fantascientifica è rimasta viva, tradotta in arte umanistica durante le due guerre, ma quasi nessuno se ne è reso conto, neanche quegli autori che hanno scritto fantascienza pur non appartenendo alla cultura fantascientifica! Hanno scritto di getto, proiettando le loro avventure nel futuro, perché il presente era troppo schifoso per poter esser tradotto in arte comunicativa.

In America, Papa Hemingway tra il 1930 e il 1960 ha consegnato all'umanità opere senza tempo: e, soprattutto, ha definito l'America e il suo modus vivendi; con Hemingway, per la prima volta, l'America ha avuto uno scrittore che scriveva in modo diretto affrontando grandi temi con perfetta lucidità espressiva e artistica. E l'America si è entusiasmata per Hemingway, l'ha trasformato in un mito, un mito quasi assurdo e Papa Hemingway, rendendosi conto di ciò, ha preferito darsi la morte. Hemingway odiava la decadenza del suo corpo, una decadenza che potrebbe essere accostata alla decadenza dell'America, una civiltà che non può fare a meno di trasformare i suoi uomini di genio in marionette. In definitiva, la vecchiaia di Hemingway è stata anche quella dell'America. Poi è venuta la Beat Generation... E soprattutto l'America ha avuto un grande come William Burroughs: La scimmia sulla schiena, Il pasto nudo, Il biglietto esploso, Nova Express, ecc., tutti romanzi che hanno gettato le basi per il cyberpunk.

Ma prima di parlare del cyberpunk, è doveroso che faccia una precisazione: tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la fantascienza è tornata prepotentemente a fare cultura in ogni sua sfumatura. Artisti come P. K. Dick e Ursula K. Le Guin, Thomas Disch, William Golding, ecc., hanno rinverdito la fantascienza e la cultura non ha potuto ignorare le loro opere: perché? Sapevano scrivere e soprattutto sapevano indagare nell'animo umano come pochi: la loro fantascienza, Danilo, se ci pensi bene, è science fiction speculativa, mistica, umanistica, e questi sono tutti scrittori di genere e non scrittori mainstream. Un'altra breve dissertazione: Yukio Mishima, scrittore giapponese, negli anni Sessanta ha scritto Stella meravigliosa, un grande romanzo che parla di alieni! Ma gli alieni di Mishima sono umani, fin troppo umani: questi sono la rappresentazione di un Giappone invaso dalla paura nei confronti del mondo occidentale. Mishima non ha scritto Stella meravigliosa per provarsi con la Sf, piuttosto ha scritto per il semplice piacere di scrivere ed evidenziare i problemi sociali della sua terra e della società universale, e tanto fa.

Oggi, temo, che gli scrittori di genere siano troppo impegnati nel vano tentativo di strabiliare il pubblico con storie fantastiche inedite intrise di scienza, storie inedite che in realtà non sono tali, perché la scienza e la tecnologia producono realtà che il giorno dopo sono già obsolete. È chiaro che lo scrittore moderno di Sf che tutto punta sulle possibilità della scienza e della tecnologia, il giorno dopo viene subito smentito: e così la Sf langue e muore, perché incapace di essere profetica. La realtà è più profetica della fantasia degli scrittori di fantascienza moderna.

Tornando a parlare del cyberpunk, William Burroughs per primo ha consegnato alla cultura di genere e non, romanzi esplosivi, profetici, dove, la cultura umanistica e quella scientifica si sposano perfettamente fra di loro dando vita ad una poesia profetica, intramontabile. Il pasto nudo, ad esempio, è un classico della letteratura senza etichette e lo sarà fra cento anni, fra duecento e ancora di più. In tempi più recenti, William Gibson ha rinverdito e approfondito il filone cyberpunk: c'è stato un momento storico durante il quale Gibson è stato l'erede di Burroughs, ma nella seconda metà degli anni Novanta il cyberpunk di Gibson ha subìto una involuzione artistica. Perché?

Gibson ha dimenticato la poesia e ha sposato le tematiche scientifiche producendo romanzetti, che sono riusciti a sopravvivere giusto il tempo della moda, per poi essere dimenticati. Io, personalmente, amo Gibson per Neuromante, Monna Lisa Cyberpunk e La notte che bruciammo Chrome, ma non riesco ad amare Gibson per lavori più recenti come American Acropolis. Sono d'accordo con te: il cyberpunk, diventando commerciale, è morto come forma espressiva e di indagine della condizione umana. Il successo commerciale uccide la poesia. Ma se le cose stanno veramente così, allora la fantascienza è destinata a morire? È un interrogativo inquietante e preoccupante che non manco di pormi giorno dopo giorno, e sempre trovo risposte diverse e nuove. No, non credo che la fantascienza sia morta: è addormentata, profondamente addormentata, quasi in coma, ma ha ancora tanto da dire. Come genere letterario, la fantascienza è giovane e ancora inesperta: se riuscirà a risorgere, ad uscire dal coma, allora riuscirà a dire alle nuove generazioni tutto quello che sino ad oggi non è ancora riuscita ad esprimere. Sicuramente la fantascienza deve avere il coraggio di fare un salto di qualità e impegnarsi a produrre opere poetiche, umanistiche, filosofiche, scientifiche. Ma se si ostinerà a produrre opere o solo scientifiche o umanistiche, allora temo che sprofonderà in un coma irreversibile. La Sf deve avere il coraggio di guardare al panorama uomo in tutte le sue sfumature: Ursula K. Le Guin, ad esempio, ci ha indicato la strada da seguire con grande abilita, e se gli scrittori di fantascienza moderna saranno in grado di approfondire la fantascienza seguendo la strada indicataci da Ursula K. Le Guin, P. K. Dick, ecc., allora non saremo più una retroguardia culturale quasi dimenticata. Di questo ne sono più che convinto.

Oggi i giovani guardano al mondo dell'informazione in modo diverso da noi, e non sono capaci di apprezzare le opere di William Faulkner, Michail Bulgakov, Hermann Hesse, Thomas Mann, Virginia Woolf, Ernest Hemingway... ecc. Ma non è un delitto loro, è un delitto nostro, perché abbiamo prodotto una società dell'informazione basata esclusivamente sull'immagine e sulle icone. La cultura delle immagini è una moda e le mode sono destinate a morire. La storia è in fondo la "storia delle mode dei tempi" e tutte le mode sono morte; le opere che oggi noi ancora leggiamo, sono opere che erano già fuori moda nel momento in cui sono state concepite. Dobbiamo imparare a produrre opere fuori moda, anche se ci siamo dimenticati come si fa.

I 'preti', la loro cultura, non si estinguerà: personalmente è una cultura che disprezzo (anche se, ad onor del vero, per fortuna esistono preti onesti e intelligenti che producono cultura senza pregiudizi), ma è necessaria: il bene e il male sono necessari a quella umanità che ha veramente intenzione di migliorarsi.

Una società perfetta al cento per cento, sarebbe profondamente noiosa. Una società imperfetta al cento per cento, sarebbe ugualmente noiosa. Ed in entrambi i casi, nessuno muoverebbe un dito per andare oltre la "perfezione" e l’"imperfezione", perché ci ritroveremmo in una società incapace di riconoscere la propria identità nel bene e nel male, una società quindi incapace di trovare un solo motivo valido per combattere il suo riflesso (o il suo fantasma).

Danilo, la tua analisi è esatta e la condivido: "non si scrive più fantascienza... è rimasto forse qualche fumetto, ma cose da poco… oggi forse la fantascienza andrebbe ricercata altrove, così come quella che un tempo ritenevamo fosse la cultura." E "altrove" noi dobbiamo guardare, con coraggio, perché all'inizio sarà veramente dura: ci pioveranno addosso molte critiche, e la maggior parte saranno negative. Tutto ciò che è nuovo, o meglio che risorge, non ha ancora una identità precisa e per questo le critiche che riuscirà ad attirare su di se non potranno che essere di disturbo, Ma la scelta si impone: o morire (o restare una retroguardia culturale) o tentare il grande passo e quindi evolversi. La fantascienza deve evolversi in modo intelligente: le basi per una sua evoluzione intelligente ci sono tutte o quasi: cosa aspettiamo allora? Abbiamo una grande immaginazione culturale, ma ancora abbiamo paura di farne sfoggio: questo è solo il problema che non osiamo ammettere e non vogliamo affrontare a muso duro. Ci stiamo censurando da soli e fintanto che ci ostineremo a censurarci, io non potrò fare a meno di essere pessimista, o meglio realista. Luca Masali, Valerio Evangelisti, Franco Ricciardiello, Milena Debenedetti, tu, Danilo Santoni, Roberto Sturm, e tanti, tanti altri, avete grandi capacità, sapete scrivere e bene, veramente bene... non censuriamoci per paura di non essere compresi. Forse anche io so scrivere: questo non lo so ancora, solo il tempo saprà dirlo. Ma voi, voi siete già a metà strada....

E tu, Danilo, cosa ne pensi? È possibile osare e fare il grande passo, percorrere a testa alta la strada che ancora rimane da fare e non scadere nel "commerciale"?


Danilo

Se devo essere sincero, non ho avuto mai una grossa fiducia nella fantascienza italiana, lo so, forse il mio è un atteggiamento un po' snobistico, ma devi capire, dovendo limitare, per motivi di tempo, le mie letture all'essenziale e potendo leggere in inglese ho sempre teso a preferire opere create nell'area anglosassone a discapito di altre aree (in fondo se vuoi vedere un buon melodramma devi andare a vedere uno italiano, se vuoi un buon musical lo devi scegliere americano...). E così, per esempio fin dall'inizio, mi sono ritrovato ad essere abbonato sia alla Isaac Asimov's Science Fiction Magazine perché pubblicava i migliori racconti nel mondo della fantascienza che ad Intercom che si vantava d'essere l'unica pubblicazione italiana a non pubblicare narrativa.

Spesso mi sono chiesto come mai in Italia non riuscisse a decollare una produzione indigena.

Non credo che il problema sia rappresentato dagli autori.

Credo, prima di tutto, che manchi in Italia la tendenza a fondere le due culture.

Scienza e letteratura tendono ancora ad essere due entità separate.

Prendi un qualsiasi autore italiano e digli di scrivere un racconto con una buona base scientifica sul viaggio interstellare. Che ti scriverà?

Prendi lo stesso autore e chiedigli se ti scrive un racconto cyberpunk. Il risultato sarà di gran lunga più soddisfacente perché di realtà virtuale e di computer, bene o male (anche se a volte più male che bene) se ne intendono un po' tutti.

Ma questo non è il problema principale, quello che è mancato è il supporto del mondo editoriale e soprattutto è mancata la funzione dei curatori, di coloro che avrebbero dovuto allevare una razza autoctona di autori. Le pubblicazioni italiane di fantascienza, per me, sono state la causa principale di questo buco. L'esempio che mi piace fare sempre è quello di Interzone, la rivista inglese. All'inizio degli anni '90 la fantascienza inglese si trovava asservita completamente alla produzione americana. David Pringle, un buon esperto di fantascienza ed un ottimo editor fondò Interzone, una rivista che sfruttava il successo del cyberpunk e che pubblicava i nomi più importanti del panorama fantascientifico, Sterling, Kadrey, Shirley... ma dietro a questa facciata di successo iniziarono ad apparire opere di autori sconosciuti ed estranei al circuito americano. Si trattava soprattutto di autori inglesi (anche se c'era un autore australiano alle prime armi, un certo Greg Egan). Tutti gli autori nuovi di Interzone divennero grossi personaggi nel panorama internazionale e la fantascienza inglese si ritrovò ad avere una propria voce di molto più interessante ed innovativa di quella americana.

In Italia è mancata un'Interzone.

Nel mio piccolo, con Intercom, provai a fare lo stesso percorso di Pringle: il primo numero che curai conteneva il primo racconto pubblicato da Intercom (e non mancarono proteste da parte dei lettori più anziani, che piangevano la perdita di purezza della rivista), dopo otto numeri pubblicai il primo racconto italiano (Ricciardiello) e poi via via apparvero gli altri, Sturm, Gallo...

Ma la nostra era una piccola pubblicazione e non sono riuscito a creare quell'interesse e quella coesione che poteva nascere da una pubblicazione professionale e a carattere nazionale.

Oggi c'è la rete e ti permette di superare ogni problema di carattere finanziario.

Non devi essere per forza commerciale per sopravvivere... manca forse un progetto innovativo.


Giuseppe

Si, Danilo. Mi trovi d'accordo. Purtroppo, gli autori di fantascienza italiani sono "quasi" incapaci di coniugare sapientemente scienza, filosofia, storia, politica e religione all'interno dei loro scritti. Si limitano a produrre un prodotto scritto che non è né letteratura fantastica né mainstream.

Gli autori italiani capaci di scrivere sono tanti, purtroppo, però, manca loro una base scientifica e umanistica, il che mortifica le loro opere, che finiscono così con l'essere delle opere a metà, quindi scevre di uno spirito internazionale.

Sicuramente, un autore americano o anglosassone o australiano ha una base culturale scientifica nettamente superiore a quella di un autore italiano, quindi può permettersi di scrivere una storia che narri di un viaggio interstellare passando per credibile e incontrando così e il favore del pubblico e quello della critica a livello internazionale. Gli autori italiani se scrivessero una storia di un viaggio interstellare, beh, temo che risulterebbero ridicoli se non addirittura patetici. Tuttavia, a mio avviso, non è tanto un problema di cultura scientifica che manca ai nostri autori; il problema è più grave, molto più grave: i nostri autori (almeno una grossa fetta) sono completamente ignoranti. Mi spiego: molti sanno scrivere bene, ma non sanno assolutamente niente di filosofia, di scienza, di storia, ecc. Questa è ignoranza. Conoscere la grammatica, non significa essere necessariamente degli scrittori con delle idee originali in testa. La mia impressione è che, per troppo tempo, gli autori italiani hanno tentato di imitare gli stilemi americani e anglosassoni ma senza conoscere né la cultura americana né quella anglosassone: si sono limitati a leggere tanti e tanti romanzi stranieri fantascientifici (o fantastici), ma hanno ignorato tutto il resto.

Un lettore serio non legge esclusivamente fantascienza. Nei limiti del possibile, il lettore serio dovrebbe cercare di allargare i suoi orizzonti e conoscere la letteratura e il pensiero nella sua totalità. Trovo ridicolo chi legge esclusivamente romanzi di fantascienza e poi ha la pretesa di dirsi scrittore. Ma trovo ridicolo anche chi legge di tutto tranne la fantascienza. Poi esiste una classe di lettori/scrittori che rivolge la sua attenzione esclusivamente ai giornali e di questi si nutre e pretende anche di saper scrivere. Sono tutti ridicoli. La letteratura è tutto quello che è "informazione", persino la pubblicità che ogni mattina troviamo nella buca delle lettere.

Mi sono reso conto, da tanti e tanti anni, che la scienza è purtroppo impossibile da conoscere approfonditamente in tutte le sue sfumature. Il progresso scientifico e tecnologico tra il 1950 e il 2000 è stato grandissimo: ma come ha giustamente evidenziato Umberto Eco, se il progresso scientifico (e tecnologico) negli ultimi cinquanta anni è stato vertiginoso, altrettanto vertiginosa è stata l'involuzione culturale della società: in pratica ci troviamo a vivere in un medioevo tecnologico assolutamente scevro di idee. Le idee che oggi, nel nostro presente peroriamo con l'arroganza dell'ignoranza, sono idee vecchie di centinaia di anni: le idee che oggi propagandiamo sono "aggiustamenti" (e rimaneggiamenti) del passato.

Sono dell'opinione che oggi molti scrittori abbiano dalla loro solo la grammatica (non tutti, perché molti non sanno neanche che cosa sia la grammatica), ma siano ignoranti su tutto il resto.

Danilo, sono d'accordo con te quando dici che "il risultato sarà di gran lunga più soddisfacente perché di realtà virtuale e di computer, bene o male (anche se a volte più male che bene) se ne intendono un po' tutti". E vorrei evidenziare che anche gli scrittori anglosassoni (e americani) scrivono sulla realtà virtuale, sulla clonazione, sui viaggi interstellari, con risultati appena appena accettabili, e spesse volte discutibili se non addirittura ridicoli. La società CLONAID di Tokyo, per voce del suo vice presidente, Kaenzig, ha in questi giorni sconvolto il mondo scientifico: "Stiamo clonando da 10 a venti clienti che vogliono raggiungere così l'immortalità." E Kaenzig assicura che fra qualche mese si sapranno i risultati.

Una apparecchiatura fabbricata da una società sudcoreana basata sul sistema di fusione cellulare embrionica sarebbe in grado di sviluppare l'embrione fino allo stadio della blastogenesi. Se l'esperimento dovesse riuscire, caro Danilo, molte ipotesi fantasiose raccontate in opere di Sf circa la clonazione, verrebbero smentite. Se poi l'esperimento si rivelerà un fallimento, sicuramente, domani qualcun altro smentirebbe quelle ipotesi scientifiche raccontate in tanti e tanti libri di Sf. Ecco spiegato perché i romanzi di fantascienza godono di poca credibilità. La scienza è più fantasiosa e reale dell'immaginazione umana. Se ci si ostinerà a "inventare la scienza", la fantascienza morirà come genere letterario perché incapace di stare al passo con la realtà. E la realtà non è solo scienza. La realtà è la cultura in ogni sua forma ed espressione. Ma gli scrittori di Sf non hanno capito ancora questa verità evidente, forse perché è troppo evidente.

Per scrivere un buon romanzo di fantascienza, è mia opinione, che si debba far riferimento a tutto quello che è lo scibile umano senza pregiudizi: solo così la fantascienza sarà credibile e sarà apprezzata anche da chi oggi la rifiuta.

Io, ad esempio, come ho giù avuto modo di spiegarti, mi sono avvicinato alla fantascienza passando attraverso canali culturali "classici", ovvero leggendo e studiando i classici della letteratura. I più si sono avvicinati alla fantascienza leggendo esclusivamente Sf, e così sanno poco o nulla del mondo reale. Ritengo che sia importantissimo leggere articoli, quotidiani, riviste, saggi, romanzi, in lingua originale; le traduzioni, purtroppo, il più delle volte, sono fatte con i piedi e stravolgono le identità delle opere originali.

Hai ragione quando dici che in Italia è mancata un'Interzone: non posso che essere profondamente d'accordo con te. Ma non è troppo tardi. E ti dico anche il perché: come è già stato detto più volte, la fantascienza sta vivendo un profondo periodo di crisi, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Per uscire da una qualsiasi crisi occorrono coraggio e idee nuove: e io, sino ad oggi, non ho visto nessuno mostrare coraggio o idee nuove per risollevare le sorti della Sf. Più la crisi si è fatta profonda, più l'editoria si è prodigata a produrre il "vecchio collaudato" nella speranza di dar nuova vita a ciò che da tempo è morto. È chiaro che il lettore (non necessariamente amante della Sf) ha pensato bene di non acquistare il vecchio collaudato morto e sepolto, perché ciò che è morto non è appetibile alla natura umana. Per me, questa è la crisi della Sf.

Intercom ha avuto il coraggio di proporre al pubblico racconti nostrani e "i puristi" si sono incazzati. Comunque è acqua passata, perché oggi Intercom ha i suoi affezionati lettori ed è questo ciò che più conta. Anche Delos ha proposto molti racconti di autori italiani: purtroppo, molti racconti sono passati inosservati e sono stati subito dimenticati. Perché? Beh, molti racconti presenti in rete sono, per così dire, "obsoleti" anche se scritti bene, e molti, anche quando originali e belli, sono stati comunque ignorati. Perché? La rete è un grandissimo spazio e le informazioni si perdono... Avere a disposizione un grande spazio dove poter pubblicare può essere pericoloso: così accade, spesse volte, che si dedichi troppa attenzione a ciò che è futile, e davvero poca a ciò che, invece non lo è. Chi oggi utilizza Internet, è un avventuriero che incappa in perle informative (e letterarie) per puro caso; ma più spesso chi naviga in Internet rimane intrappolato in un mare di stronzate. E in questo mare continua ad annaspare. Temo che ne Intercom ne Delos possano dare visibilità piena ad un racconto così come meriterebbe. Ma nessun sito oggi può avanzare la pretesa di lanciare sul mercato nuove idee: per quanto se ne dica, il mercato editoriale cartaceo è quello più visibile, ed è quello che tutti guardano. È vero che il mondo dell'informazione è diviso a metà: il 50% delle informazioni sono in rete, il resto è affidato a supporti cartacei. Ma sia chi naviga in Internet, sia chi si rivolge esclusivamente al mondo cartaceo, per istinto, si rivolge prima all'editoria tradizionale prima di leggere anche solo un comunicato pubblicitario. Tuttavia Intercom ha tutte le carte in regola per evolversi in positivo e diventare l'Interzone che per troppo tempo in Italia è mancata. Intercom, ultimamente, ha proposto al pubblico saggi, articoli, racconti originali e coraggiosi. Bisogna sfruttare il momento di crisi e proporre nuove idee, nuovi autori, e Intercom lo sta già facendo. La sua visibilità è aumentata negli ultimi tempi, e sono dell'opinione che presto si riuscirà a raccoglierne i frutti, frutti maturi che apriranno nuove intelligenti strade per la fantascienza italiana e non. Si, se si lavorerà duro, sarà possibile parlare di una rinascita della Sf nonostante le limitazioni della rete.

Si è detto che la crisi è per la Sf... Temo che la crisi coinvolga tutto il mercato editoriale (e culturale) odierno. Ma non sono pessimista: le crisi servono o per affondare completamente o per risorgere a nuova vita. E io penso che si possa uscire dalla crisi per risorgere a nuova vita.

È da un po' di tempo che ho un progetto in mente: raccogliere in una antologia alcuni racconti "innovativi" di fantascienza italiana, una antologia che accolga le nuove "idee" della fantascienza espresse attraverso le pagine di Intercom. La mia idea, ambiziosa ma non impossibile, è quella di mettere sul mercato una antologia-manifesto per la rinascita della Sf, una antologia che accolga i grandi nomi della Sf italiana e le nuove leve con racconti inediti... inediti in ogni senso.

Con una antologia-manifesto così pensata, credo che la fantascienza italiana subirebbe un bello scossone e una visibilità non indifferente, che non mancherebbe di interessare il mondo della cultura fantascientifica e non. Penso di muovermi per dar vita a questo progetto, non appena questa chiacchierata sarà pubblicata. E spero che in molti vorranno aiutarmi. Scienza e Letteratura (filosofia, politica, religione, ecc.) possono coesistere in una unica soluzione. Ne sono convinto.

Un progetto innovativo? Caro Danilo, l'ho appena illustrato. Anzi, ho cominciato ad illustrarlo, da quando ho cominciato a collaborare a Intercom con saggi e racconti. Se non si osa ora, quando?

E tu, Danilo, ne sei cosciente, non è vero? Sei cosciente del fatto che tu stai facendo per Intercom quello che David Pringle ha fatto negli anni Novanta per Interzone? Io credo di si. Non smentirmi, please!



(Nel mezzo di questa chiacchierata, c’era questo)

Non credo che si possa dire che un'opera di un autore sia più bella o più importante di un'altra, un autore è tutta la sua opera. Ma un'opera però può rimanere impressa più di un'altra e a volte per i motivi più svariati. The Man in the high castle è l'opera di Dick che mi è rimasta più impressa. L'ho letta quando aveva ancora il titolo La svastica sui sole (mi chiedo chi sia l'assassino che lo ha scelto come titolo) e c'è una cosa chi ma colpito e che è rimasta collegata forse per sempre al libro: uno dei personaggi principali sta seduto in un giardino pubblico e per un attimo percepisce l'esistenza di un'altra realtà… l'ho letto mentre era seduto su di una panchina in un giardino pubblico e mi sono sentito, per un attimo attraversare dalla stessa sensazione... Grazie, Dick. (Danilo Santoni)






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