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Circumnavigazione


di Marcello Bonati


Io e Giorgio stendiamo a terra la cartina della penisola scandinava: subito una bella X rossa segna il punto in cui ci troviamo, un'insenatura del golfo di Laksefi, all'estremo nord della Norvegia.

La matita, nelle sue mani, scorre poi veloce lungo tutta la costa norvegese, fino al Mar Baltico, la costa della Svezia reale.

Un'altra croce rossa, poi, su Kemi, località finnica.


Guardo da qui, dal ponte di questa grande nave di legno, il mare in burrasca; è grigio marrone, densissimo; una quindicina di metri sotto di me. I fiordi, sullo sfondo, intagliati, orridi; all'estremo limite del mio campo di visione, poi, intravedo il cielo, e mi pare sia grigio-cupo.

Legata nuda alla plancia, la ragazza; le sorrido, mentre una immensa ondata gelida la ricopre, facendola rabbrividire.


Kemi: il luogo ove ci siamo fermati è leggermente discosto dal paese vero e proprio, vi è solo una baracca di legno, fradicio e pieno di fessure.

Da quando siamo arrivati cerchiamo dei visi che ci ascoltino, ma gli sguardi della gente, qui, sono tutti puntati sulla ragazza; Giorgio e Donatella suggeriscono di slegarla, ma io mi oppongo fermamente, e a me si uniscono Furia e Luciana.

C'è poca roba, pochi generi di conforto, ma, nonostante tutto ci sembra, a tutti quanti noi, di essere in piena civiltà dei consumi, dopo i lunghi giorni di navigazione selvaggia.

Il fatto di sapere che qui staremo poco fa sì che, fra noi, circoli un'aria di provvisorietà; nessuno cerca in alcun modo di lasciare un segno suo in questo luogo che lasceremo per sempre.


Questa volta la cartina l'abbiamo noi, io Furia e Luciana; il tragitto da Kemi a Ventspils, in Lettonia, lo segnamo noi con una sosta nell'isola di Aland, circa a mezza strada.

Mentre la matita scende, e le altre croci si fissano, Furia fa il solletico sotto i piedi della prigioniera.

Luciana sorride, e mi chiede quando si farà il sacrificio.


Nella nostra cabina, io faccio notare che ci sarà sicuramente una dura opposizione da parte di Giorgio e Donatella, che sarà necessario, assolutamente, provvedere affinchè della cerimonia loro non ne vengano a conoscenza.

Se stessi a sentir loro non ci sarebbero problemi, loro farebbero fuori volentieri e di buon grado anche loro, ma qui io non cedo; in fondo, sono pur sempre mia sorella e suo marito, e, infine, sono stati loro ad invitarci a questa crociera.

Smettiamo di chiacchierare, lasciando al destino, per lo meno per il momento, la questione, e spegnamo la luce del grande letto a tre piazze.


Isola di Aland: ora che siamo qui, quest'isola ci appare infinitamente più grande di quanto avevamo immaginato guardando la cartina; quest'impressione, sorta in me subito dopo lo sbarco, si è rivelata come condivisa sia da Furia che da Luciana.

Giorgio, ad una mia domanda al riguardo, mi ha guardato storto, scosso le spalle e ricominciato a riparare la chiglia piuttosto malridotta di "Nettuno".

Alla Dona non ne ho parlato, non so bene per quale motivo; forse farei meglio a confidarmi maggiormente con mia sorella, finchè si tratta di cose di questa rilevanza.


Io e Luciana, comunque, ce ne andiamo su uno scoglio, ed è li che il suo parlare, assieme al risciaquio delle onde che vi si infrangono sopra, mi fanno tornare alla memoria un romanzo, "Il mondo annegato", di un inglese, che avevo letto molto tempo prima.

La donna legata e il nome della nostra nave sono i due elementi emergenti che mi fanno operare questo collegamento; Luciana mi stimola a proseguire, dice che le interessa, e così le racconto la scena di quell'uomo, che, "come un novello Nettuno", se ne stava legato ad un tronco, picchiato a sangue e sotto il sole cocente, vicino alla nave del suo rivale; lentamente, a prevalere sono i punti di divergenza fra le due situazioni, la nostra e quella del romanzo, quelle che affiorano, ma intanto sia a me che a lei è venuta una gran voglia di uccidere; è lei la prima a dirlo, così, apertamente, e io non posso che confessarle il mio identico sentimento.

Scendiamo sulla spiaggia: Dona e Giorgio non si vedono; la chiglia è riparata, per quanto era possibile.

Saliti, vediamo solo le funi tagliate sulla plancia


Mentre camminiamo nell'erba alta, Luciana mi racconta di come Luca non sia potuto essere con noi.

Io annuisco, ma in cuor mio penso che ciò sia un bene; lui si sarebbe sicuramente messo dalla parte di Dona e Giorgio, si sarebbe opposto all'assassinio, al nostro violento desiderio di sangue umano, oltre al fatto che, sotto sotto, temo che Furia ci abbia preceduti.

Rivelo questo mio pensiero a Luciana, la quale dice che sarebbe una bella stronza, aggiungendo quel suo riso allegro che tanto mi diverte.


Dona e Giorgio si sono imboscati; li abbiamo visti, intravisti, in una radura, nascosti dietro a degli arbusti; siamo rimasti li immobili per alcuni minuti, io accarezzandole i seni e lei il membro.

Poi ci siamo sorrisi, e siamo sgattaiolati via il meno rumorosamente possibile.


La ragazza, penso io, non può aver fatto tanta strada, a meno che Furia non se la sia caricata sulle spalle, cosa che, vista la sua fragilità, credo proprio che sia impossibile.

Incomincio a stancarmi, e anche Luciana decelera considerevolmente il passo.

Ci sediamo a terra, e io le racconto la storia del film "Il signore delle mosche", anch'essa risalitami alla memoria per motivi che Luciana mostra di capire chiaramente, annuendo e ammiccando nei punti salienti in cui è evidente la connessione fra la storia, il mio ricordo e la nostra situazione.


Troviamo un mucchietto di ossa, e una delle taniche della nave piena di un liquido rosso vivo che, assaggiato, risulta indiscutibilmente sangue.

Il resto del viaggio dall'isola di Aland e Ventspils trascorre in un baleno, così come quello via terra fra la località sovietica e la nostra Milano, con il "Nettuno" caricato e impacchettato su di un rimorchio; finalmente Giorgio torna a un'occupazione a lui più congeniale; della ragazza nessuno fa più menzione alcuna.


La nostra impresa riscuote parecchi clamore, e così "Nettuno" si ritrova sulla piazzetta dove un tempo stava il mercatino comunale del mio rione; e molti lo vengono a vedere.

Anche noi ci andiamo spesso, a chiacchierare con giornalisti e gente comune che ci chiede, ci domanda, con quella luce negli occhi di chi sogna terre lontane.

Ricordo in particolar modo una risposta di Furia, alla domanda su come avesse trovato la gente della Norvegia: "Buona, veramente molto buona"; e l'intrecciarsi degli sguardi miei e di Luciana.






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