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La mutilazione epistemologica di Alberta Vinci (2ª parte)


La ballata dei Motortunes era insinuante in un modo quasi erotico. Alberta perse l'equilibrio inciampando in un invitato sdraiato sul parquet.

Sapeva che le canzoni dei Motortunes contenevano messaggi subliminali, e sospettava ci fosse qualcosa di illegale perché i messaggi non erano registrati sui CD ma provenivano da un satellite geostazionario che trasmetteva ai riproduttori laser ogni volta che suonavano un pezzo della band. In teoria, il contenuto dei testi subliminali poteva cambiare ad ogni riproduzione.

Due uomini si stavano baciando sulla bocca, semisdraiati su una poltrona, Sembravano esserci più fumo e incenso che ossigeno nell’ampia sala da ballo dalla volta a cupola.

"Hai da accendere?" le domandò un giovane dallo sguardo fisso, senza sigaretta. Alberta lo ignorò, e scavalcando bicchieri rotti e invitati addormentati cercò di tornare dal suo nuovo principale.

Uno schermo girevole stava trasmettendo un videoclip di Fuck the Night, l'ultimo film di Lady Lee.

Tre ragazze dai capelli rasati a zero fissavano le immagini, come prive di volontà.

Il redattore capo la vide avvicinarsi e le sorrise, facendole un cenno, "Si sta divertendo, Alberta?" domandò. Per non essere scortese, lei ricambio il sorriso e annuì.

Uscirono sul largo terrazzo che dava verso Torino. La città era un tappeto di luci vicine, a ragnatela.

Alberta calcolò che dovessero essere le due di notte, e si pentì di avere accettato l'invito del suo nuovo principale per la festa. "Dovrei chiamare mia madre" disse appena poté udire la propria voce al di sopra dei Motortunes.

Il principale la accompagnò cortesemente a un terminale di rete, in un piccolo studio ad uso biblioteca, ed andò a prenderle la borsetta al guardaroba. Appena ebbe in mano il suo palmtop, Alberta si collegò e chiamo il numero della madre.

"Oh, sei ancora in piedi a quest'ora?" le disse stupita mamma quando vide i suoi occhi.

"Il principale mi ha invitata a una festa" dispose Alberta "ma forse era meglio se rimanevo a dormire."

"Oh. no, cara: le rispose mamma, che in quel momento si trovava in volo per Montreal "è giusto che esca. Devi vedere gente, dimenticare questo brutto momento."

Alberta sorrise affettuosa "Salutami caramente papà. Digli che gli voglio bene, e che appena avrò i soldi volerò da voi."

Mamma scosse i1 capo, "Eh, no, cara, Tuo padre ha già i soldi da parte. Fra due settimane al massimo ti farà trasmettere il biglietto a casa: mi ha chiamata pochi minuti fa per dirmelo."

Alberta trasalì. Aveva visto, attraverso la. porta socchiusa dello studio, il profilo familiare dell'ispettore Derossi, suo vicino di casa. "Devo salutarti" sussurrò, interrompendo la comunicazione.

Uscì nella sala da ballo con la borsetta sottobraccio. Alzandosi in punta di piedi individuò Derossi e tagliò la folla come una corrente di elettroni eccitati raggiungendolo proprio mentre lui cercava di defilarsi.

"Si può sapere cosa fa qui, adesso?" gli domando a voce alta.

Derossi roteo gli occhi. "Ci sono un sacco di invitati" rispose "sono venuto per..."

"È venuto per controllarmi, per tenermi d'occhio" gridò Alberta "lei spera che quell'uomo torni ad aggredirmi per catturarlo!"

Derossi si strinse nelle spalle. Gli invitati cominciavano a voltarsi verso di loro.

"Vuole smetterla di trattarmi come una cavia?" insisté Alberta, oramai infuriata, piantandoglisi davanti con le mani sui fianchi "io non sono né un suo ostaggio né una sua collaboratrice. Non ritiene che abbia già dovuto sopportare troppe cose, in questi giorni?" E senza attendere una sua risposta si girò sui tacchi allontanandosi, rossa di rabbia.

Il redattore capo aveva assistito alla scena perplesso, "Alberta...?"

"Mi riaccompagni a casa, per favore" gli disse sentendo la voce rauca, poi si ricordò che i1 produttore editoriale che lui aspettava non era ancora arrivato alla testa "Anzi, mi chiami un taxi. Ritorno a casa mia." Così dicendo uscì dal salone.

Il principale le corse dietro. parlando nel suo cellulare, ma sulle scale incontrarono l'editore che arrivava in quel momento. "Non si preoccupi" disse Alberta sottovoce al suo datore di lavoro, che aveva preso ad agitarsi "posso tornare a casa da sola."

Il principale annuì, imbarazzato e al tempo stesso palesemente desideroso di corteggiare il nuovo editore. "Ti ho chiamato il taxi, l’appuntamento è in giardino" disse "ci vediamo lunedì al lavoro."

Alberta discese lo scalone della villa, sentendo un leggero freddo. Proprio in quel momento la vettura gialla arrivò lentamente dalla direzione della strada. "La signora Vinci?" disse l'autista sporgendosi dal finestrino.

Alberta salì, sedendosi. "Via Mazzini 16" disse rilassandosi e posando la borsetta sul sedile. Chiuse gli occhi, veramente stanca. Sbadigliò e si accorse che la vettura non partiva. Il taxista si era acceso un sigaro.

"Via Mazzini 16" ripeté Alberta "le spiace non fumare?"

Senza rispondere, l'autista ripose l'accendino a incandescenza. Alberta vide sopraggiungere dalle scale un uomo, e temette di essersi infilata in un taxi prenotato da un altro. Vide abbassarsi il finestrino elettrico e solo quando il nuovo arrivato si affacciò, si rese conto che era l'uomo che l'aveva legata alla maison d'art.

"È un vero piacere rivederla" disse beffardo puntandole alla gola una pistola automatica.

Alberta sentì incrociarsi la vista, e il cuore sembrò esploderle in seno. L'uomo aprì la portiera, mostrandole la corda arrotolata che teneva nell'altra mano. Alberta si ritrasse istintivamente verso la portiera opposta, allungandosi sul sedile per aprirla, ma si rese conto che era stata bloccata. L'uomo sedette accanto a lei, chiudendo.

"Chiami la polizia, per carità!" esclamò Alberta afferrando per una spalla l'autista "quest'uomo mi vuole fare del male!"

Il tassista invece ripartì senza fretta, L'uomo annuiva divertito puntando la pistola nello scollo del tailleur di Alberta, che si sentì quasi mancare. Una trappola, pensò sgonfiandosi.

"Stia tranquilla, ora andiamo a casa sua" disse con studiata lentezza l'uomo. Posò la corda sul sedile, vicino ad Alberta. "Si volti verso il finestrino e metta le mani dietro la schiena" disse in tutta calma, raccogliendo la borsetta con il palmtop e posandola accanto ai propri piedi.

Alberta si strinse le braccia al seno. "Mi faccia scendere" disse fissando con ostinazione la nuca del falso taxista.

L'uomo tacque per qualche secondo, quindi le punto con calma la pistola alla tempia. "Lei non crede che sia carica, vero?" disse mentre l'auto si infilava sulla provinciale, buia e deserta a quell'ora della notte. "sa che se le sparassi alla mandibola sarebbe problematico perfino riconoscere il suo cadavere?"

Alberta cominciò a tremare, ma si impose di non piangere. Le si appannò la vista.

L'uomo le prese un polso, "Oppure potrei spararle a una mammella, così di lato, e poi gettarla a dissanguarsi in un fosso."

Alberta si morse le labbra, "Lei è pazzo" disse sentendosi impallidire. Il taxi svoltò verso il Po senza fretta, scendendo dalla collina di Cavoretto. L’uomo la prese per le spalle, voltandola verso la portiera. Alberta si aggrappò con le dita ai ginocchi nudi, ma lui le premette la canna dell’arma dietro l'orecchio.

La notte era scura come inchiostro e non mostrava compassione, Alberta non si sarebbe stupita se avesse cominciato a piovere in quel momento. Passò le mani dietro la schiena, senza guardare, e sentì il metallo scostarsi dal collo.

Le incrociò i polsi all'altezza della vita, legandoli strettamente, Alberta gemette dal male, inarcando la schiena e scivolando involontariamente sul sedile. L‘uomo le tenne i polsi con una mano, tirando la corda verso di sé per stringere ancora più forte.

Alberta si morse le labbra per non dargli il gusto di lamentarsi. Le avvolse ancora una volta i polsi e finalmente la lasciò.

Allungò poi una mano verso l'autista, che g1i passò l'ultimo tratto di sigaretta. Avevano raggiunto il Lungo Po, ma in quel momento i finestrini si polarizzarono di un colore bronzo che non lasciava uscire la luce.

Alberta si rannicchiò verso la portiera opposta, graffiando con le unghie lo schienale di vinile, ma l’uomo si piegò verso di lei slacciandole la sottile cintura dorata che le stringeva in vita il bolerino del tailleur.

Lei è una bestia" disse a denti stretti Alberta. Lui si piegò afferrandole entrambe le caviglie, e sollevandole la costrinse a ruotare con i glutei sul sedile. Sbilanciata, Alberta si aggrappò con le dita alla maniglia della portiera, dietro la schiena, l'uom le fletté i ginocchi verso il seno, costringendola ad appoggiare le spalle al cristallo del finestrino. Senza una parola le tenne strette le caviglie unite con una mano, sfilandole le scarpe di raso che gettò sul sedile anteriore.

Il taxista si voltò a guardare le scarpe rimbalzare sul cruscotto, e Alberta lo vide sorridere nel retrovisore. Posandole le piante dei piedi nudi sul sedile, accanto a sé, l'uomo srotolò con un gesto della mano un'altra corda della lunghezza di un paio di metri che usò per legarle le caviglie a stretto contatto di malleolo.

Alberta tese la schiena, sentendo caldo. "Lei è un porco" disse furibonda, lui sorrise e la lasciò andare, finalmente soddisfatto. "Accendimi un'altra sigaretta" disse all'autista.

L'auto virò all'improvviso, e se l'uomo non I' avesse afferrata per la giacca trattenendola Alberta sarebbe scivolata fra i sedili. "Stiamo andando a casa sua contenta?" disse l'uomo con il suo consueto sorriso sadico "Ho bisogno della sua impronta retinale per aprire la porta. Invece, visto che le mani non le serviranno, ho pensato di liberarla dalla preoccupazione di tenerle occupate."

Alberta si agitò, impotente, perché lui le aveva posato una mano sul ginocchio, Ma proprio in quel momento l'auto si arrestò.

L’autista scese, girando intorno alla vettura, quindi aprì la portiera dal lato di Alberta. L'altro uomo le slegò finalmente le caviglie, e quasi la trascinarono giù dalla vettura.

Non c'era nessuno in strada, Alberta zoppicò in punta di piedi perché non le avevano neppure infilato le scarpe, ed entrarono nel palazzo dopo che l'uomo ebbe aperto il portone con la carta magnetica presa dalla sua borsetta.

L’autista la sorresse tenendola sottobraccio su per le due rampe di scale. L'odore di fumo faceva venire il vomito a Alberta.

La luce delle scale si era accesa automaticamente al loro ingresso, ma il falso autista spruzzò un aerosol di plastica solidificante sul neon, precipitandoli in una luminosità bluastra e discreta.

Vedendo la porta dell'appartamento di Derossi, Alberta rimpianse amaramente di averlo trattato male alla festa. Il poliziotto aveva tutte le ragioni del mondo per seguirla e cercare di proteggerla.

Tenendola per i capelli, la costrinsero ad appoggiare l'occhio all'oculare del portone. Un secondo più tardi Alberta si trovò spinta brutalmente nell’appartamento. "Bentornata Alberta" disse il sistema domestico, mentre lei in ginocchio per terra lacrimava dal dolore di essere inciampata.

La sollevarono per le braccia, portandola nella camera da letto.

"In ginocchio" le intimò l'uomo, e l'autista la aiuto. Si ritrovò sotto tiro della pistola. "Non chieda aiuto, sarei velocissimo a spararle con il silenziatore. Voglio credere alla sua buona fede: mi ha detto che non sa dove il vescovo tiene i suoi archivi, Per questa ragione non le chiederò più di facilitarmi la ricerca, ma adesso lei stara qui buona buona mentre noi curiosiamo in casa, va bene?"

Alberta sentì di tremare, "Come fa a conoscere così bene la disposizione interna del mio appartamento? Cera già stato?" disse.

L’uomo si rabbuiò. "Non mi sembra in condizione di fare domande" rispose brusco "legala di nuovo" aggiunse poi rivolto all’autista.

Questi costrinse Alberta a sdraiarsi su un fianco, sul pavimento, e le avvolse le caviglie accostate.

Quando le cacciò il fazzoletto appallottolato in bocca, Alberta urlò di rabbia cercando di mordergli le dita, ma il taxista fu rapido a imbavagliarla con un foulard, annodandoglielo dietro il collo. Controllò poi che le corde ai polsi fossero strette al massimo, tendendo la corda, e la lascio lì a dimenarsi sdraiata.

L’uomo fece un cenno al falso autista. "Credo che il vescovo abbia fatto una copia dei documenti che ci interessano, nascondendoli da qualche parte in casa. Non si spiega altrimenti che non si trovi nulla sul suo personal."

L'autista annui. Immediatamente dopo cominciarono a gettare tutto all'aria: levarono le lenzuola dal letto, perforarono i1 materasso con stiletti sottilissimi e taglienti, gettarono in terra i cassetti a rotelle dei mobili, squarciarono le imbottiture dei vestiti del vescovo che Alberta ancora non aveva provveduto a fargli recapitare.

Quando si spostarono a devastare un'altra stanza, Alberta si aiutò con colpi di reni e strisciando sul fianco per spostarsi verso il cellulare posato sul comodino alla testa del letto. Udiva i rumori dell'incursione: oggetti che cadevano suoni di lacerazione, vetri infranti Centimetro per centimetro si avvicinò al telefono, cercando di scostarsi i capelli dagli occhi. Appoggiò con precauzione le mani contro un cassetto del comodino e con uno sforzo enorme riuscì a raddrizzare la schiena e mettersi seduta. Si fermò a respirare, trasalendo per un forte rumore di vetri infranti, poi con il mento spinse il cellulare giù dal piano del comodino fino sul pavimento, dove avrebbe potuto afferrarlo con le dita anche con le mani legate dietro la schiena.

Inspirò di nuovo, cercando di calmarsi, ma si accorse che la sensibilità delle dita era diminuita a causa della corda che le stringeva i polsi, Se anche il telefono non si fosse guastato nel cadere sul pavimento, rimaneva la difficoltà di comporre un numero tenendolo dietro la schiena.

Alberta si coricò con precauzione su un fianco, torcendosi per spostare le mani sull’anca e tendendo il collo per vedere la tastiera.

Disperò di riuscire a comporre il numero del suo principale, perché non aveva quasi più sensibilità nelle dita. Dopo sei o sette tentativi riuscì a comporre invece il numero di Derossi, ma le rispose una segreteria telefonica. Sconfortata si abbandonò sdraiata sul pavimento, senza lasciare il cellulare, respirando a fatica con gli occhi chiusi.

Quando li riaprì per continuare i tentativi, si accorse che il suo seviziatore era tornato in silenzio della camera da letto. Inginocchiandosi rapidamente accanto a lei, le strappo l'apparecchio dalle mani gettandolo contro il vetro della finestra che si ruppe. Il cellulare si frantumò precipitando fuori.

Alberta tese di scatto i muscoli delle gambe, con la forza della disperazione, per colpirlo al basso ventre, ma l'uomo le afferrò le caviglie bloccandola.

"Vieni un attimo!" gridò poi al suo complice. Sollevarono Alberta per le spalle e le gambe, in due, portandola nello studio devastato del Vescovo. La posarono in terra come un sacco, appoggiandola con la schiena all'olografia murale di una Maternità rinascimentale. La pistola ricomparve nella mano del suo seviziatore, che appoggio la canna nello scollo dei bolero di Alberta premendole contro un seno "Adesso la controlliamo a vista" disse con la consueta irritante flemma "e le prometto che se si muove le sparerò a un braccio."

Alberta deglutì, ripiegando le ginocchia a proteggere i1 ventre, Osservò impotente i due che sfogliavano uno per uno i preziosi libri del vescovo, gettandoli in una pila da rogo sul pavimento.

Scostarono le librerie dal muro, passarono uno per uno i CD della discoteca sul visore, gettarono a terra i cassetti dei mobili.

Alberta si rassegnò. Sentì intorpidirsi i glutei e le gambe, e la stanchezza quasi la sopraffece.

Chiudo gli occhi per qualche secondo pensò sentendosi il capo pesante. Chinò la testa sulle ginocchia, risollevandola di scatto quando sentì un tonfo.

L'autista era in ginocchio, non riusciva a tornare in piedi, il suo seviziatore non era in vista. Che succede? pensò prima di richiudere gli occhi. Le sembro di scivolare di fianco ma non ricordo di toccare il pavimento.


Riprese conoscenza quando la sollevarono per trasportarla in braccio. Mise a fuoco la vista sul volto del commissario Derossi, ma stentò qualche secondo a riconoscerlo perché si sentiva stordita.

Derossi la portò in soggiorno, dove tutte le finestre erano spalancate, adagiandola sul divano di iuta, ancora legata mani e piedi e imbavagliata. Alberta vide con sollievo che l'uomo che l'aveva seviziata tre volte nel giro di pochi giorni giaceva incosciente sul tappeto acquistato a Samarcanda, ammanettato mani e piedi come un capretto.

Mugolò mordendo i1 foulard, e Derossi sciolse il nodo dietro la sua nuca, sfilandole anche il fazzoletto dalla bocca. Alberta respirò a bocca aperta, fragorosamente, deglutendo per cacciare il sapore di nylon del foulard sulle labbra. Si accorse di essere sudata malgrado la temperatura, e vide che Derossi le sbirciava le gambe.

"Le è andata bene che possiedo un tracciante radio per le chiamate al mio numero personale" disse il commissario "Il sistema domestico mi ha avvertito della sua telefonata mentre ero quasi a casa, e vedendo che proveniva dal suo appartamento ho capito dalla luce schermata nelle scale che si trovava di nuovo in pericolo. Avevo ragione a seguirla, non trova?"

Alberta sospirò, "La prego di scusarmi" disse "sono stata ingiusta con lei. Naturalmente aveva ragione, ed è arrivato ancora una volta al momento giusto, a quanto pare."

Il commissario si portò dietro la sua schiena. Alberta si piegò verso i ginocchi, porgendogli i polsi con sollievo. Derossi impugnò la corda, ma invece di slegarla ne tirò le estremità serrando ancora più forte il nodo.

Alberta rimase interdetta, e si voltò a guardarlo. Derossi sedette con tranquillità sul divano, accanto ai suoi piedi, controllando che anche la corda alle caviglie fosse ben stretta.

"Questo cosa significa?' domandò ansimando Alberta con una voce che lei stessa stentò a riconoscere.

"Significa che lei mi deve una quantità di spiegazioni" rispose Derossi accomodandosi contro il cuscino del divano "non posso passare tutto il mio tempo a correre a salvarla dalle mani di quegli integralisti, così adesso mi permetto di non slegarla fino a che non mi darà spiegazioni soddisfacenti."

Alberta tacque, incredula, Strinse a pugno più volte le dita per riattivare la circolazione, "Posso darle tutte le spiegazioni che vuole" disse in fretta "glielo prometto; ma mi sleghi, questa corda è strettissima."

Derossi guardò l'uomo immobilizzato e incosciente sul pavimento. "Si, un professionista" ammise con forzata nonchalance "forse un ex marinaio. Comunque, se i nodi sono stretti è una ragione di più per rispondere in fretta."

Alberta guardò la notte fuori dalla portafinestra del balcone. Il gas narcotico che Derossi aveva usato per addormentare lei e i due uomini si era completamente volatilizzato.

"Non vedo come potrei aiutarla" rispose "le ho già detto tutto quello che sapevo. Non crede fosse mio interesse la cattura di quell'uomo da parte della polizia?"

Derossi giocava con il posacenere del tavolino di alabastro. "Dipende. Sarà meglio che mi racconti tutto da capo. E senza tralasciare nessun particolare, anche se le corde sono strette."

Alberta appoggio il fianco e la testa al cuscino per sistemarsi più comoda, nell'evenienza di rimanere a lungo legata mani e piedi. "Le ho già detto tutto, ripeto. Questa orribile vicenda è iniziata quando quell'uomo che lei ha immobilizzato sul tappeto mi ha sequestrata alla galleria d'arte, dopo l'orario di lavoro, Mi ha mostrato immagini dell'infedeltà di mio marito, il vescovo Albesiano, che hanno sconvolto la mia vita. Ma questo gliel’ho già raccontato quella notte, quando mi ha riaccompagnata a casa dall’albergo."

Derossi appoggiò il posacenere sui piedi nudi di Alberta, e si chinò su di lei, afferrandole la testa per costringerla a guardare verso la luce. "Vede che non collabora? Il suo ex direttore mi ha già parlato del rasoio e della sua palpebra" le passò un dito sotto l'arcata sopracciliare, sulla sottile cicatrice quasi invisibile "Del resto, mi sono ricordato di avere visto un derma sul suo occhio, i1 giorno che l'ho aiutata a trascinare il baule sulle scale. Le sembra un particolare da trascurare nel raccontare tutto alla polizia?"

Alberta si divincolò, tirandosi i capelli negli occhi. Sentì cadere il posacenere sul tappeto, si piegò in due ma Derossi prese una sedia accomodandosi al contrario con gli avambracci appoggiati allo schienale.

"Facciamo un gioco" disse "associazioni di idee. Ha mai giocato a Rimandi incrociati con il computer da piccola?"

"Questo è sequestro di persona" disse piano Alberta, agitando le dita dei piedi "si stroncherà la carriera da solo."

"Io proporrò alcune parole tra di loro in relazione, lei troverà il denominatore comune, Le va?"

Alberta arretrò leggermente con la schiena, appoggiando i gomiti al cuscino per sostenere il busto, sapendo che la gonna si sarebbe immancabilmente sollevata.

Derossi fece un gesto di noncuranza, "Non si preoccupi" disse "dopotutto, non ricorda che si è già spogliata una volta a casa mia?"

Alberta arrossì, sorpresa, "Lei è un maniaco" disse "come ha fatto a entrare in polizia? Non vi fanno test psicoattitudinali?"

"Torniamo al nostro gioco. Ecco le parole: Chiesa. Arte. Occhio. Mutilazione. Sesso. Ora tocca a lei."

Alberta tacque, interdetta. Come poteva sapere... Non sarà facile che mi liberi tanto presto, pensò rassegnata. "La smetta con questa assurdità" rispose ostinatamente, chiudendo le dita delle mani a riccio per cercare di sfilare la corda con le unghie.

"Lei non collabora" disse Derossi con un sospiro di delusione, raccogliendo il posacenere dal tappeto. Senza scomporsi, colpì al capo l'uomo ammanettato che stava per riprendere i sensi, poi ritornò alla sedia.

"La smetta di guardarmi così" gli disse Alberta sentendo cedere di qualche millimetro la corda "lei è un vigliacco a torturare in questo modo una donna."

"Mutilazione epistemologica disse Derossi sorridendo "questa è la risposta giusta."

Alberta roteò gli occhi,

"Quelle cinque parole sono come il riassunto della sua vita negli ultimi giorni, non trova?" proseguì Derossi senza fretta, apparentemente indifferente alle sevizie che Alberta subiva. "Chiesa. Arte. Occhio. Mutilazione. Sesso. La Chiesa è sempre stata importante nella sua vita, almeno dopo il matrimonio con il vescovo di Torino. "

Alberta cercò di muovere il meno possibile le spalle, ma riuscì a sfilare un anello di corda dietro la schiena. Fece leva con il pollice e l’indice.

"L'Arte è stato il suo lavoro per diversi anni. Religione e arte, una miscela esplosiva. La commercializzazione dell'opera è la morte dell'arte. la religione è la morte della spiritualità "

"Ma che filosofo!" sbottò irritata Alberta. L'anello di corda era adesso largo come il suo pugno.

Occhio e Mutilazione. Gli integralisti cristiani hanno ereditato alcune concezioni radicali delle sette riformate del secolo scorso, ad esempio dai Testimoni di Geova l'idea della necessaria integrità del corpo umano per affrontare il giudizio universale. Come corollario, un corpo mutilata di una sua parte è impossibilitato alla resurrezione della carne."

Alberta sbuffò, "E cosa avrebbe a che fare questo con il vescovo Albesiano?"

"Integralismo uguale moralismo" Derossi non sembrava essersi accorto della corda allentata "uguale fanatismo. Gli integralisti scoprono l'adulterio del vescovo di Torino, e per punirlo decidono di fare scoppiare uno scandalo nel modo più eclatante attraverso una separazione dalla moglie."

"Per caso Sesso ha invece a che vedere con il modo in cui mi sta guardando in questo memento?" domandò con disprezzo Alberta per prendere tempo.

"Mutilazione, Gli integralisti portano a termine una doppia offensiva, Offensiva morale contro i1 vescovo, offensiva materiale contro la sua sposa. Ecco il perché della mutilazione sulla sua palpebra.

Per loro i1 gesto ha un significato simbolico: la moglie del vescovo di Torino non è più degna della resurrezione. Si tratta, probabilmente, di un movente politico interno dovuto a una supposta dissidenza nel seno stesso degli integralisti.

"Sesso" ripeté Alberta stupendosi del proprio stesso coraggio, sporgendosi verso il poliziotto. "Sesso, sesso, sesso sesso sesso sessosessosessosesso Sesso!"

Derossi arrossì, forse in colpa per il modo in cui la stava trattando, "Mu-mutilazione dell'occhio" balbettò, poi riprese in controllo della voce 'la mutilazione epistemologica per eccellenza, Un taglio di rasoio che seziona il confine fra l'esterno e l'interno. Il soggetto viene invaso dalla verità. Oltre a condannarla alla non-resurrezione, gli integralisti intendevano dischiuderle brutalmente la visione alla Verità!" Le ultime parole erano quasi gridate. Con un balzo, Derossi scese dalla sedia e afferrando il gomito di Alberta lo torse costringendola a voltarsi.

"Ah" strillò lei "mi sta facendo male! È pazzo! "

Spingendola con il viso contro il cuscino, Derossi afferrò la corda sciolta allentata e tirò il lembo sciolto.

"No. la prego!" gridò Alberta. disperata per l'insuccesso "mi lasci andare! Mi sleghi subito!"

Derossi tese più che poté la corda; puntellandole i gomiti con il proprio ginocchio, strinse ancora più forte dell’autista.

Alberta rimase senza fiato, con la schiena inarcata. Temette di perdere i sensi, ma svuotando i polmoni rilasso i muscoli ricadendo sui cuscini, Sollevò poi le spalle torcendo il busto per guardare Derossi attraverso la frangia sugli occhi: non sembrava avesse la minima intenzione di slegarla. "Per favore!" gemette "cosa ho fatto che non va? La corda mi fa male!"

Derossi la prese per le braccia; la sollevò di peso, rimettendola a sedere sul divano e tornando alla sua sedia. Alberta arrossì violentemente quando lui le scostò i capelli dagli occhi.

"Per Freud, la perdita di un occhio è la mutilazione che incute più errore" proseguì imperterrito Derossi, appena affannato per lo scatto di prima "è naturale immaginare proprio nell'occhio l'intersezione fra la percezione del mondo e la sua rappresentazione."

Alberta si abbandonò contro lo schienale a occhi chiusi. "Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati..." sillabò sottovoce schiudendo appena le labbra.

"La mutilazione dell'occhio infrange la barriera. Crolla l'illusoria conciliazione di arte e religione. Volevano distruggere il suo mondo, signora Vinci, non solo la sua vita con il vescovo Albesiano. Lo spregio ultimo, il più terribile."

Alberta si sentì svuotata, floscia come un pallone senza aria. Non le venivano altre preghiere.

Giacque legata e senza forze mentre l'uomo si accendeva una sigaretta,

"Come poteva quell'uomo conoscere così bene casa mia?" domandò Alberta con voce incolore, senza guardarlo.

Derossi tirò diverse boccate di fumo, probabilmente incerto se risponderle per non ferirla. "Fra le olografie registrate nella serratura c'era anche quella dell'uomo" rispose finalmente "quando lei ha espressamente cancellato l'impronta di suo marito, il sistema ha tardato diverse ore a rintracciare e eliminare l'altra registrazione che era stata accuratamente protetta. Il vescovo non voleva che sua moglie sapesse che l'accesso di casa era consentito agli integralisti."

Derossi andò al portacenere senza guardarla. Ma le sembro di leggere un'ombra di pentimento per la brutalità con cui la trattava.

"Non mi chiede cosa veniva a fare quell'uomo in casa sua, mentre lei era assente?" proseguì con voce più gentile Derossi "ma lei lo sa già, vero? Perché il giorno stesso della prima aggressione, il giorno in cui ci siamo incontrati sul pianerottolo, lei aveva già trovato la registrazione degli appunti del vescovo, la prova della sua complicità con gli integralisti!"

Alberta sentì arrivare le lacrime. "Non è vero" disse con voce umida.

Derossi sedette pesantemente accanto a lei, comprimendola contro il cuscino. "Lo ammetta!" la esortò "il vescovo era in contatto con quei criminali già da diverso tempo. L'obbiettivo era proclamare ufficialmente la propria adesione teologica, scatenare una disputa con la Chiesa. Solo all’ultimo momento decise di tirarsi indietro perché nutriva dubbi sul successo dell'operazione."

"Io non so nulla" rispose Alberta recuperando coraggio. Sperò di non dovere mai spiegare a sua madre quanto stava accadendo.

"Gli integralisti però avevano tutte le prove. O meglio, potevano trovarle negli appunti del vescovo. Impadronirsene sarebbe staro più facile se lei lo avesse cacciato di casa. Mi dica dove sono gli appunti, signora Vinci!"

"Non esistono appunti. Io non so nulla. La prego, mi sleghi."

Derossi trattenne il fiato per qualche secondo, come se fosse sorpreso. "Perché protegge il vescovo?" domandò poi con voce conciliante. "Quell'uomo le ha fatto del male. Io sono costretto a difenderlo, dipendo dall'autorità pubblica. Ma lei..."

"Io ho un legame indissolubile" rispose Alberta "non sarà la perfidia di mio marito a scioglierlo."

Lui scosse il capo. "È illogico. Lei è una donna intelligente, istruita…"

Alberta credette di percepire una nota di compassione nella voce del commissario. Ma quando tornò a chiederle dove fossero gli appunti del vescovo, la prova della complicità con g1i integralisti, gli rispose "Non ci sono appunti. Non li ho mai visti. Se vuole, può completare l'opera di quei due: ne approfitti intanto che sono ancora legata."

Derossi annuì. Rimase in silenzio alcuni minuti. Alberta strinse i ginocchi al seno quando le carezzò il polpaccio, domandandole se avesse freddo.

Alberta alzò gli occhi su di lui. "La prego, mi sleghi…" disse "io non so nulla di questa storia. "

Lui annuì, visibilmente commosso. Alberta si accorse che le guadava la scollatura del bolero, poi si chinò sulle sue labbra baciandola all’improvviso, come aveva fatto quel giorno per le scale del palazzo. Lei chiuse gli occhi e strinse a pugno le mani dietro la schiena. Non voglio! pensò, ma senza respingerlo.

La abbracciò circondandole le spalle, poi le lasciò le labbra, "Scusa... " disse, e subito tornò a baciarla.

Alberta si piego all'indietro sulle, braccia, appoggiando la testa sul cuscino, ma le sue labbra la seguirono. Puntellandosi il volto verso di lui. Cosa sto facendo? Pensò. Le mani di Derossi le passarono dietro la schiena senza che le labbra si staccassero dalle sue. L 'uomo afferrò la corda.

Alberta gli lasciò le labbra, "Lascia perdere" sussurrò guardandolo negli occhi.

"Ma io voglio…" disse lui.

Alberta allungò i piedi sul cuscino del divano, inarcando la schiena per sgravare il peso dalle braccia.

"Vieni sopra..." sussurrò tutta rossa.

Derossi si allungò verso le sue caviglie. Tirò con entrambe le mani, allentando i1 nodo e sciogliendolo. Gettò la corda in terra. "Voltati a faccia in giù sul cuscino" le disse.

"No. Vieni su di me adesso, così" rispose Alberta cercando di mettersi più comoda che potesse con le mani ancora legate.

Derossi scivolò fra le sue gambe, ruvido per i vestiti spiegazzati e la barba non rasata dal mattino prima. Premette il bacino contro quello di Alberta.

Mio dio! pensò lei Se mi vedesse Federico! E mentre Derossi si muoveva goffamente su di lei per sfilarle gli slip e liberarsi dai suoi vestiti senza lasciarle libera la bocca, Alberta si rassegnò aggrappandosi con le unghie alla iuta ispida del cuscino. Sono una masochista? Pensò, preferisco non essere slegata perché così sono esente da qualsiasi responsabilità in ciò che accade. Un vincolo indissolubile.

Si rese conto di aver desiderato inconsciamente quel momento fin da quando aveva visto Derossi sul pianerottolo di casa, la sera in cui l'aveva aiutata a trasportare fuori il baule con i vestiti del vescovo, anche se non avrebbe mai immaginato le condizioni in cui sarebbe avvenuto.

Non voglio responsabilità, pensò ancora, rendendosi canto che Derossi non avrebbe desistito in quel momento, mentre lei era così indifesa nelle sue mani.

L'esperienza di quei pochi giorni era stata assolutamente definitiva per lei: si ripromise di pensare più tardi a sé stessa e al proprio futuro, perché Derossi stava già entrando dentro di lei con un impeto incontrollabile. Sperò che, una volta terminato, non si curasse più di cercare il CD con gli appunti del vescovo che era nascosto proprio sotto il cuscino.






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