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Silenzio city


di Stefano Caronia


Il cielo oltre gli alberi sulla vecchia discarica trasformata in collina si tingeva di un rosso sempre più acceso, mentre i quattro compagni osservavano i resti del grande demone-robot bruciare. Il fumo era così nero che sembrava un'immensa colonna di carbonio, una specie di scultura surrealista resa immobile dalla distanza.

Poi tutti, quasi sincronizzati, si voltarono verso le navette. Zarx sospirò e lasciò scivolare via l'euforia per la vittoria. Era troppo abituato ad aspettarsi l'attacco successivo per permettere a sé stesso di abbassare la guardia e nonostante questo per un istante credette veramente di essere libero, che tutto fosse finito. Poi abbassò lo sguardo verso l'ombra della sera, senza ricordare il nome della paura, senza ricordare che un tempo, di sera, guardava fiero la luce del tramonto e giocava con il volto della morte.

La donna chiamata Fiore d'Estate guardava da un'altra parte, forse dentro di sé, oppure oltre il fiume, dove l'oscurità del bosco rendeva opaco il verde acceso degli alberi. Era così magra che, davanti al sole, la luce stessa sembrava avvolgerla consumando i contorni del suo corpo fino a farla apparire come un singolo stelo di fiore, così esile ma così glorioso che nessuno avrebbe mai potuto strapparlo. Zarx percepì la sua forza e la rispettò, poi anche quel pensiero sfuggì come eclissato dal passaggio improvviso di un'ombra. Ma sarebbe tomato presto.

Il silenzio che li circondava era solo interrotto dallo scoppiettare dell'incendio a cinquanta metri di distanza, e il prato sembrava immobile e la terra sembrava finalmente avere pace. Nessuno osò interrompere quel silenzio. Il calore dell'incendio muoveva una leggera brezza sulla collina e qualsiasi cosa eccetto gli sguardi sarebbe stata di troppo. Forse un giorno non sarebbe stata una vittoria, ma la Vittoria, e tutta l'umanità avrebbe finalmente festeggiato in silenzio il respiro della Terra. Ma Zarx non credeva nelle profezie tanto in voga al momento.

Golia sapeva assaporare i momenti. Nel punto più alto della collina guardava la colonna di fumo surrealista e traeva da essa una nascosta energia, una qualche celata verità. Sembrò farsi più grande e tutto il suo corpo assimilava respirando un’emozione che gli altri volevano in qualche modo evitare. Trasse un profondo respiro e spolverò il corpetto della sua armatura rossa. Estrasse la spada, la piantò nella terra e si inginocchiò per pregare il suo Dio. Quale Dio fosse, nessuno l'aveva ancora capito. Un giorno aveva rivelato di discendere da una famiglia austriaca di origine ebraica, ma il taglio dei suoi occhi nel grosso volto rotondo tradivano forse una porzione di DNA orientale. L'elsa della sua spada laser era antica e recava al suo centro l'incisione di una rosa.

La gigantesca ala da drago del demone-robot venusiano roteò in alto con un insopportabile stridore metallico e subito dopo rovinò al suolo sollevando un grosso nuvolone di polvere e terra.

Fu allora che Fiore d'Estate emerse dal sole nella sua armatura anatomica color lilla, i lunghi capelli dorati che le coprivano la schiena leggermente inarcata all'indietro. I capelli della donna non si scomponevano mai e sembravano rimanere sempre in posizione verticale, come tende luminose. I suoi movimenti erano lenti ed eleganti. Zarx non ricordava di aver mai conosciuto un'altra guerriera come lei, e ne era segretamente affascinato, come si resta affascinati da qualcosa che non sembra di questo mondo. Nessuno sapeva da dove provenisse quando si presentò alla base un giorno di cinque mesi prima, poi raccontò di essere stata allevata nella vecchia America del Nord da una società di indiani neo-Sioux. Sua madre Occhi-Sorridenti le aveva detto di averla trovata in una sfera di metallo lilla caduta dal cielo, in una notte di plenilunio.

Fiore d'Estate spostò i suoi occhi azzurri su Anùl, poi inclinò la testa di lato con dolcezza, come se avesse potuto vedere il suo dolore. Anùl cercava uno sguardo di Golia abbassando gli occhi e tracciando solchi con la sua spada di luce e ombra. I capelli chiari delle due donne erano spostati dal vento nella stessa direzione.

Zarx le guardò per un po' prima di dirigersi verso la navetta da combattimento. Il portello si aprì al suo passaggio. Fu allora che sentì le voci.

Le voci erano voci di bambini, e provenivano dal lato opposto della collina, dove il verde si distendeva in un'ampia radura di erba alta. Le risate sembravano andare e venire, a seconda della direzione del vento che a volte le faceva sentire vicinissime e poi le faceva sparire in un sussurro attutito. Guardando bene, ogni tanto si poteva vedere qualche piccola testa saltare fuori dall'erba.

«Ehi, venite un po' a vedere qua...». Che cosa ci facevano dei bambini in quel posto così lontano dalla base e dai villaggi?

I tre si raccolsero attorno a Zarx. A circa trenta metri, due testoline bionde saltarono fuori proprio in quel momento.

«Sono bambini.» disse Fiore d'Estate sorridendo.

«E come sono arrivati fin qui?» disse Golia.

«Chissà da quanto tempo si sono persi...» disse Anùl.

Avranno molta fame. Pensò Zarx. «Scendiamo a prenderli. Non è ancora nato il bambino che rinuncerebbe ad un viaggio in navetta. Li portiamo a casa e torniamo alla base.»

«Avrebbero potuto essere colpiti, durante la battaglia.» disse Fiore d'Estate cominciando a scendere.

«Però non mi sembrano molto spaventati.» aggiunse Golia.

Anùl tentò di contare i bambini. «Sembrano quattro. Vedo due teste bionde e due scure.»

«Proprio come noi...» Fiore d'Estate guardò Zarx con dolcezza, e sorrisero.

Quando arrivarono ai piedi della collina, le voci dei bambini si interruppero bruscamente.

I guerrieri si guardarono attorno, si separarono e cercarono un po' nelle vicinanze, muovendo l'erba più alta, ma dei bambini nessuna traccia. Forse avevano avuto paura. Ma dove potevano essere finiti? Il prato non aveva dossi né alberi e si estendeva per almeno un chilometro oltre la collina.

«Ehi volete fare un giro sulla mia navetta spaziale?» urlò Zarx.

Nessuna risposta. Nemmeno un colpo di tosse.

Dopo tre ore di ricerche il sole era calato, e i quattro erano perplessi e scoraggiati. Avevano controllato ogni centimetro del prato, avevano sorvolato la zona più volte, ma niente bambini.

Golia aveva un’espressione sospesa. «Anche il bio-radar della mia navetta non segnala niente».

«Eppure c'erano.» Fiore d'Estate incrociò le braccia, assumendo un'espressione accigliata.

«Erano proprio lì.»

«Forse era una sorta di allucinazione consensuale...» Ipotizzò Zarx.

Anùl manifestò il suo nervosismo: «Ma che allucinazione! Si saranno nascosti in qualche buco, in qualche posto che in qualche modo è schermato e il radar non lo becca. Magari staranno dormendo.»

Il silenzio di qualche istante fu rotto dalle parole di Fiore d'Estate. «Non possiamo andarcene così. È importante trovare i bambini.»

Quattro sguardi e quattro tipi differenti di egoismo si fronteggiarono per un po'. Anche quattro tipi differenti di amore. Questa volta per un bel po' si sentì solo il vento. Cominciava a calare il freddo. Leggeri ronzii indicarono l'accensione dei sistemi di riscaldamento delle armature. Che strana notte. Nessun animale e nessun rumore, se non il ronzio delle tute ed i respiri.

«Non sentite qualcosa di strano?» I tre si voltarono verso Zarx.

«Io non sento niente.» Sussurrò Golia.

«Appunto.» Rispose Zarx.

Senza ulteriori spiegazioni, spensero tutti il riscaldamento delle tute. L'assenza di suoni era quasi surreale, come se fossero sul fondo dell'oceano.

Allora dalla cima della collina arrivò una vocina. «Chi siete voi?»

Era stata una bambina bionda a parlare. Era seduta in posizione Yoga accanto alla navetta di Zarx. Forse per questo fu Zarx a sentirsi interpellato. «Noi siamo guerrieri buoni, piccola. Difendiamo la terra dalle armate di Venere. E tu chi sei? Dov'è la tua mamma?»

«Io so chi sono io. Siete voi a non sapere chi siete.» disse la bambina con tono lievemente cantilenante.

Ma che diceva questa bambina? Non glielo aveva appena detto, chi era?

Fiore d'Estate aggrottò le ciglia. «Come ti chiami, bimba? Non vogliamo farvi del male.»

«E dove eravate, allora?» Un'altra voce sulla collina. Un bambino, questa volta. Con la mano si mise a posto gli occhiali sul naso. Sembrava un po' più grande degli altri.

«Non si stava così male, sapete? Prima che arrivassero i tuoni.» Un'altra bambina bionda.

Poi un altro bambino con lunghi capelli ricci. «Però era noioso.» Saltellava su alcuni sassi.

«Dove, non si sta male? Qui? È in questo prato che vivete?» Chiese Anùl.

La bambina bionda seduta a gambe incrociate parlò al bambino coi riccioli. «Visto te l'avevo detto. Non hanno capito niente. Andiamocene via.»

«Ma ci stavano cercando!» Disse il bambino con gli occhiali.

Golia decise di intervenire, interpellando proprio quel bambino. «Dove... dove vivete voi?».

Il bambino non rispose. Sembrava in soggezione.

Dopo un bel po' di tempo, fu la bambina bionda che stava seduta, rassegnata, a rispondere. «A Silenzio City, no?». Mentre incrociava le dita in una collanina colorata sembrava sul punto di piangere. Era triste come una sorellina piccola che tentasse di ripetere un vecchio gioco con il fratello, ormai diventato troppo grande per capire. Guardava i quattro con aria sospettosa.

Zarx guardò la bambina senza capirne le parole. Ricordò invece di aver notato per caso uno strano effetto ottico. In effetti poco prima il bambino con gli occhiali era sembrato quasi diventare un po' trasparente oltre che impaurito. La notte gioca brutti scherzi, specialmente quando c'è la luna piena. Bambini indisponenti e un po' trasparenti! Forse stava sognando.

Silenzio City? Forse c'era veramente una città che si chiamava Silenzio. Non ricordava. Mai stato forte in geografia. Più probabilmente erano cascati in pieno dentro un complicato, fantasioso gioco di bambini.

«Lo chiamiamo così.»

«Tra di noi.»

«Il posto in cui viviamo.»

Zarx scosse la testa e avanzò di un passo. «Ok. Ragazzi. Il gioco era molto bello. Ma è tardi, e adesso vi riportiamo a casa, ok?»

«Semmai poi facciamo un altro gioco!» disse Golia.

«In effetti quello dei bambini che vivono nel silenzio è un po' triste, non vi sembra?» disse Fiore d'Estate ridendo.

Anche gli altri risero nervosamente, ma a quelle parole un brivido freddo percorse la schiena di tutti e quattro i compagni, la risata si spense e la bambina seduta a gambe incrociate sembrò farsi un po' più trasparente. Certo che è triste. Sembrò dire la bambina dietro due grandissimi occhi azzurri.

Poi guardò il bambino coi riccioli inclinando la testa di lato e con dolcezza da mamma e un sorriso amaro gli disse: «Forse devono crescere ancora un po'...»

E i bambini piano scomparirono.

Ma sarebbero tornati presto.






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