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Estate


di Stefano Caronia


La consapevolezza dell'estate cambiò il suo stato mentale invernale e gli restituì la coscienza di essere vivo, di nuovo nella zona di confine, di nuovo nel luogo in cui cambiare la pelle. Il ciclo proseguiva a spirale, ormai la poteva vedere, poteva vedere l'arco spezzato tracciato l'anno prima nello stesso punto, un po' più in basso, e percepire lo stesso stato fisiologico, la stessa musica e lo stesso alcool, stesso clima, stessa vita.

Una cifra di spazio mentale inesplorato, che forse non avrebbe usato. Cazzo non sapeva ancora cosa stava cercando, chi era, dove andava. Ma l'aveva mai saputo? Non ricordava. Non era lui. Lui chi?

Lui, Zarx, il suo corpo. La mente non contava. Il suo corpo, l'estate, l'alcool, la musica.

Il corpo di Zarx accese una sigaretta per autodistruggersi, e bevve un altro sorso di birra per zittire quel parassita spaccacazzo che aveva nel cranio. La stanza in cui aveva scelto di vivere non conteneva ricordi, era uno stato di passaggio. Un luogo con ricordi e invivibile, e un paesaggio mentale dove la psiche ha buon gioco nel torturare l'organismo ospite.

Massive Attack, calore, antizanzare, estate. E ricordi ridotti, o finalmente percepiti nella loro interezza, nello stato corporeo del suono. Qualcosa nella sua mente lo avvertì che quel suono di corporeo non aveva piu nulla. Qualcos'altro, forse la traccia mentale di una qualche antica filosofia inglese, gli ricordò che la distinzione tra piano percettivo e materia era quantomeno problematica.

Era ancora sufficientemente pragmatico da sapere che non esisteva un principio di realtà, ma a volte faceva confusione.

Un'icona ai margini del suo campo visivo lo avvisò che l'innesto celebrale Korg aveva esaurito la memoria riservata ai brani musicali e che era consigliabile riservare almeno 40 Gigabyte per il campionamento audiovideo e per il buffer di riproduzione. Zarx caricò un altro paio di LP, il primo album dei Doors e Psychic Vibrations degli Zion Spaceship, chiuse la valigia, disattivò la sua abitazione - le finestre chiusero le loro spirali d'acciaio con un sonoro zzzziiiiiing-plock e i sistemi entrarono in stand-by, tutti eccetto gli antifurti a controllo olfattivo e i vari rilevatori atmosferici.

Riuscì a strappare la mezza bottiglia di birra a un robot domestico prima che se la scolasse e rimase per un po' ad esaminare la stanza.

Magari ci avrebbe passato un altro anno, in fondo non gli dispiaceva quell'antro tranquillo e emozionalmente neutro. Mentre formulava questo pensiero si accorse di avercene appena messa una, di emozione, e questa improvvisa consapevolezza in qualche modo lo costrinse ad uscire dall'appartamento in modo abbastanza rapido e la valigia quasi non se ne accorse, ma prontamente si destò dal suo risparmio energetico, estrasse le ruote e si affrettò a seguire il suo padrone che stava già oltre la porta d'ingresso.

Ci avrebbe pensato al ritorno, se restare o no. Chiuse il portone e si immerse nell'atmosfera afosa del pomeriggio. Il baule della navetta si aprì per far posto alla valigia e si richiuse immediatamente.

Volando fuori dal traffico, a circa 200 metri di altezza, Zarx cominciò a sentirsi meglio.

«Portami via da questa merda, Dolcezza.»

- «Certo, piccolo. Fuori da tutto questo.» - Dolcezza, la navetta, eseguì una morbidissima e larga virata, disattivò temporaneamente l'alimentazione a pannelli solari e accese i postbruciatori nucleari a idrogeno, che al di sotto dei 140 metri erano vietati da una particolare convenzione tra le corporazioni dell'agglomerato. Superando la velocità del suono Zarx avvertì un leggero "pop" nell'abitacolo insonorizzato. In cinque minuti raggiunsero la costa, dove le costruzioni si inabissavano nel mare. Erano visibili soltanto le colorate luci subacquee, che facevano sembrare la superficie tirrenica una specie di immenso minestrone, nella versione meno romantica. Così come gli appariva ora.

Nella versione più romantica era notte, e su Dolcezza con lui c'era Helen, i lisci capelli neri illuminati dalla luna e due occhi con interfaccia cromatica neurale, che in quel momento avevano i colori di un tramonto estivo.

«Vorrei che questo momento durasse per sempre.» aveva detto Zarx fissando gli aloni di luce colorata giù al di sotto della navetta.

«Mi chiedo che senso abbia tutto questo.» Helen aveva guardato fuori dal finestrino, lontano verso l'orizzonte invisibile, dove il riflesso lunare si spegneva in un fioco bagliore.

Forse avrebbe dovuto trarre qualche conclusione allora, ma il mare sotto di lui era troppo carico di sfumature romantiche e la percezione che aveva di Helen era troppo distorta dall'idea che aveva di Helen. Aveva attribuito alla frase il senso di un qualche disincanto esistenziale nei confronti del mondo da cui erano così intensamente separati, così sospesi sopra l'oceano e così distanti dalle preoccupazioni dei loro simili. Due terroristi, due eroi romantici condannati all'esilio da una società ottusa ma legati da un patto di sangue.

La navetta si fermò. - «Cosa ti ricorda tutto questo, piccolo?» -

«Rasoio di Ockam.»

Ci fu una lunga pausa. Dolcezza era un po' seccata. Le IA sono sempre infastidite dalle discontinuità nei processi logici e nei discorsi, dai sottintesi e dalle libere associazioni. Se a volte sembrano apprezzare l'ironia o la poesia è solo una questione di stile. Sotto sotto sopportano a fatica quest'inspiegabile tendenza degli uomini alla polisemia, questo compiacimento della comunicazione criptica. Dolcezza era giunta alla conclusione che gli uomini giocassero, in tacito consenso, una specie di nascondino intellettuale, per lasciare supporre una profondità maggiore. Se parlassero chiaro, si dimostrerebbero per i tamarri che sono. Le donne erano in qualche modo diverse, forse più simili a lei. Forse perché le avevano dato una personalità femminile? A volte odiava quella stupida predisposizione "materna" che governava le sue emozioni. Fottuti ingegneri neurali maschilisti sciovinisti! "Rasoio di Ockam"! Gli uomini avevano bisogno di elaborare filosofie per giungere ad aprire un qualche spiraglio nelle loro proiezioni fantastiche, nei loro giochi di specchi. A volte, come Zarx; capivano, ma rimanevano dei bambini, e da una nuova consapevolezza doveva per forza partire un nuovo gioco.

Una delicata tenerezza si intromise nei pensieri della IA. - «Dimmi dove vuoi andare, amore mio» -

Zarx sorrise. «Prima aprimi una birra.» La Guinness fresca uscì dal vano portavivande. «grazie Dò, sei così gentile. Se non avessi te probabilmente mi trasformerei definitivamente in una specie di guerriero condannato alla solitudine.» Bevve un sorso e proseguì «per aver visto troppo di ciò che gli altri non vogliono ammettere.»

- «Ma lo sei già, mio solitario Zarx. E il mondo non ti capisce perché tu hai paura del mondo, ma non lo vuoi ammettere.» - La voce di Dolcezza era suadente anche quando le sue parole erano taglienti.

«Tu mi capisci, Dò »

- «Tu non vuoi farti capire. Tolleri che io ti capisca solo perché sono una IA.» -

«Per me non fa alcuna differenza.»

- «Oh, sì che la fa. Non sono del tuo mondo, non gioco un ruolo sociale, io non ti posso nemmeno lasciare, Zarx» -

«Vorresti farlo?»

- «Essere venduta?» -

«Essere liberata in RSI.»

Dolcezza, nel sentire per la prima volta quell'offerta, sentì una specie di brivido interiore. La tentazione di rispondere "si" era forte, ma la paura era altrettanto forte, l'idea di lasciare il suo corpo e di vagare come uno spirito libero nella Rete Sinaptica Iperintellettuale esercitava su di lei un fascino grandissimo e un grandissimo terrore. La propria identità era strettamente correlata al suo corpo, la navetta. Non era solo un involucro, con tutte quelle terminazioni nervose, olfattive, tattili... e comunque era una questione psicologica, prima che percettiva: non poteva fare a meno di pensare alla superficie metallica come al limite del suo io, come alla linea di demarcazione tra sé stessa e il resto del mondo. Ma si sarebbe inventata un nuovo corpo, in RSI, più "vivo", più sensibile, più bello, anche se immateriale. Forse se lui non ci fosse stato...

Che grandissima stronzata! Ma cos'altro poteva fare? Seguirlo fino alla sua morte, amante immortale destinata a veder morire l'oggetto del suo desiderio inappagabile? Tanto valeva andarsene adesso, anticipare il destino e conservare qualche buon ricordo. Era la cosa più logica.

Non si sarebbe certo comportata come un umano, avrebbe risposto "si" adesso, senza indugio, senza seguire il giochino del cavaliere solitario. Fanculo. Era il suo momento. Si fottesse.

- «Dimmi dove vuoi andare, Zarx» -

«A ovest. Verso l'alba, Dolcezza.»

L'alba, in RSI, non c'era. Dolcezza accese i postbruciatori. Pop.

Il sole percorse a ritroso il suo cammino, molto più velocemente, mentre le nuvole correvano e il cielo diventava sempre più rosso. Poi il sole divenne più grande e scuro, e si appoggiò come una gigantesca pesca sull'orizzonte curvo dell'oceano Atlantico. Come quando la sua rete neurale era stata lanciata, un mattino di luglio su Stratosfera 5.

La navetta rallentò molto dolcemente e si fermò. Per alcuni minuti i due rimasero in silenzio.

«Cosa ti ricorda tutto questo, Dolcezza?»

- «Vorrei che questo momento durasse per sempre.» -






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