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E se....?


di Luca Rulvoni, con lo pseudonimo di Arthur J. Cochran


Ubi Lars era forse il più grande psicoartista ancora vivente. Le sue opere mnemoniche erano conosciute ed apprezzate in ogni dove, sia sulla Terra che in qualsiasi altro posto della Galassia. Una celebrità. una leggenda di fatto. Il suo genio: la capacità di lavorare qualsiasi materia le con la sola forza del pensiero, fatta di quella sua combinazione elettrostatica particolare, che induceva le sue molecole cerebrali a scontrarsi e ciò che era immagine si realizzava. Ma il tempo passa inesorabilmente per tutti ed anche per lui era giunto il momento di farsi da parte e di passar a miglior vita. La medicina, come qualsiasi altra scienza, era progredita a tal punto da garantire ogni soluzione tranne una: quella spiacevole dipartita che noi tutti chiamiamo "morte" era rimasta un tabù ancora inviolato.

Erano stati scoperti nuovi mondi; viaggiare alla velocita della luce era quasi possibile ed il teletrasporto era oramai storia. Vi erano stati sì prodigi, in campo medico: impensabili mutazioni genetiche che consentivano di ricostruire arti, vasi sanguigni, organi vitali ed addirittura clonare, moltiplicando all'ennesima potenza qualsiasi cosa che fosse considerata vivente. Ma... prima o poi bisogna pur morire, disse l'artista tra sé e sé. Ubi Lars facendo spallucce aveva però espresso il desiderio di essere clonato, di modo che, un suo alter ego potesse dimorare in un grande museo che egli stesso aveva fatto edificare in sua memoria, accogliendo i visitatori fino a che fosse vissuto dopo di che ne sarebbe stato clonato un altro per proseguire e così finché ci fosse stato anche un solo visitatore ad entrare nella sua personale pinacoteca.

Sul finire di quell'estate, l'ultima di Ubi Lars, egli fu invitato da un certo dottor Maycob a firmare certi documenti per la clonazione. Non si conoscevano e né mai aveva avuto alcuna intenzione di farlo. L'artista avrebbe preferito rimanersene nel suo studio, ma l'uomo aveva insistito e così Lars si era fatto accompagnare dal suo automa presso un edificio di vetro nel centro della metropoli. Maycob rappresentava i laboratori Robotica che si sarebbero occupati di effettuare la clonazione.

«Una semplice formalità» aveva dichiarato al visilfono Art Maycob.

Qualche documento da scarabocchiare e nulla più. Magari una chiacchierata e la ricerca scontata di un autografo prima che fosse troppo tardi. Se avesse tentato di chiedere qualcosa di più, lo avrebbe congedato freddamente senza troppe cerimonie, si disse Lars mentre faceva il suo ingresso all'interno della sala ovale della reception. Ma niente di tutto ciò lo attendeva.

Giunto al piano dove Art Maycob lo stava attendendo, pensò per la prima volta, nonostante avesse avuto più di un'occasione durante la sua lunga esistenza, al fatto che stava per abbandonare tutto, per inoltrarsi laddove nessun altro era ritornato per dire come stavano le cose. Ciò, di per se, non lo spaventava affatto; lo incuriosiva semmai. Non avendo mai sofferto di nulla di rilevante, non conosceva nemmeno a fondo il dolore, uno degli aspetti inquietanti della parola morte. Ma per tutto questo aveva architettato una dipartita indifferente come l'aveva definita lui stesso. Dopo che tutto fosse stato come doveva essere, avrebbe ingerito una speciale droga che l'avrebbe trascinato verso il tunnel di luce che porta all'oltretomba. - È stato consigliato, anzi, indotto! Non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente prendere in considerazione una scelta del genere!, avrebbero detto il giorno stesso della sua dipartita. Nient'affatto! Avrebbe voluto ribadire lui. Questa è una decisione, una delle più brillanti che abbia mai preso in vita mia. Quindi aveva stabilito che il suo decesso sarebbe caduto esattamente ventiquattrore dopo aver visto con i suoi occhi un secondo Ubi Lars, dell'età approssimativamente di vent'anni, fare il suo ingresso nel salone principale del suo museo e salutare i primi ospiti entranti.

Mentre rifletteva, fu colto dal risentimento nei confronti cli quel Maycob che l'aveva distratto dalla sua ultima opera. Infatti stava terminando una psicoscultura; non vedeva l'ora di poter ritornare alla sua casa in riva all'oceano per potersi dedicare nuovamente al suo lavoro ultimo. In cuor suo si augurava che quella scocciatura non potesse durare in eterno.

«Signor Lars è un onore per me conoscerla. Prego, venga avanti non se ne rimanga lì sulla soglia. Le presento la mia collega la dottoressa Faret Dudes, anch'essa una sua estimatrice.» anfitrionò il dottor Maycob con saccenza e noncurante dell'ansia di dover ritornare al lavoro che appesantiva l'artista.

«Bene, eccoci qui, solo alcune formalità da sbrigare prima che sia fatta luce» disse l'uomo, sorridendo.

«Allora sbrighiamoci, perché ho fretta.» rispose impaziente Lars, che era noto come un personaggio estroverso, come solo un'artista può esserlo del resto.

I suoi interlocutori abbassarono lo sguardo su alcune carte che erano poste su di un tavolo circolare e poi le sottoposero alla sua firma.

Lars non le lesse nemmeno, scarabocchiò una firma e fu pronto per fare dietro front.

«Bene è stato un piacere fare la vostra conoscenza, ora, se permettete me ne ritorno alla mia ultima scultura.» disse Lars, alzandosi e avviandosi celermente verso l'uscita, ma la dottoressa Dudes disse qualcosa e lui si fermò d'un tratto, come se il tempo stesso si fosse annullato e tutto fosse immutabile.

«Le piacerebbe vivere ancora? O meglio vivere ancora in un corpo più giovane?»

Che cosa udivano le sue orecchie!

Qualcuno aveva parlato? Qualcuno aveva detto vivere ancora?

Certo! Ed è proprio quello che stiamo facendo no? Il mio spirito vivrà ancora, forse in eterno, anche se io di fatto non ci sarò più! Avrebbe voluto rispondere, ma non lo fece perché aveva inteso la battuta della donna ed un brivido lo aveva scosso, percotendolo come lui faceva con gli oggetti che plasmava secondo il suo inconfondibile stile.

Quale poteva essere la domanda più appropriata? Era spaventato da ciò che avrebbe potuto udire in seguito ad una qualsiasi che avesse cavato fuori dalla bocca.

«Di cosa sta parlando?» chiese timidamente, senza nemmeno voltarsi. Aveva una certa insicurezza nel farlo. Temeva che facendolo sarebbe di certo caduto, anzi precipitato sul pavimento, dissolvendosi come una goccia d'acqua nell'oceano.

«Di un esperimento. Un tentativo insomma.» rispose Maycob.

«Un tentativo?»

***

Si erano intrattenuti a lungo, per parlare. Lars aveva pensato che in fondo la sua ultima scultura poteva attendere se quello che stavano dicendo poteva avverarsi. Forse proprio perché non sarebbe stata l'ultima. Gli avevano raccontato dei loro progressi e dell'incredibile possibilità di clonare qualcosa di più oltre alle molecole del suo corpo. Aveva già sentito parlare di nanotecnologia e di altre similcose, ma mai nessuno prima gli aveva prospettato la possibilità di ricopiare la sua anima.

«Non ci credo. Non è possibile!» aveva protestato, incredulo.

Avevano detto che era possibile, anche se non avevano ancora avuto modo di trovare una cavia.

«Quindi io sarò la prima cavia?» chiese con un sorriso beffardo che si dilungò sul volto smunto e segnato dall'intramontabile segno del tempo.

«In fondo cos'ha da perdere? Non vale la pena tentare anche se è una possibilità su tante?» disse la dottoressa, avvicinandosi.

«Ma se fallissimo non potreste copiare me vero?» disse e la gola gli si fece secca dalla paura di non riuscire a resistere al tempo.

«Purtroppo sì. Ma perché non tentare?» intervenne Maycob.

«Ma io voglio vivere ancora» disse e in quel momento fu cosciente del fatto che quella possibilità sarebbe stata l'unica per esaudire il suo desiderio recondito. Che cosa ho da perdere in fondo? Si disse mentre il suo sguardo andava ora ben oltre il domani.

Maycob e la dottoressa gli sorrisero e lo invitarono a seguirli.

***

L'operazione fu immediata come qualsiasi altro evento del futuro. Indolore e praticamente impossibile da decifrare né raccontare. Quando Lars ebbe aperto gli occhi disse «Quando avete intenzione di iniziare? C'è qualcosa che non va?»

I medici del laboratorio lo fissarono, sorridendo e rispose la dottoressa per loro «È stato fatto. Abbiamo trasportato ciò che possiamo considerare la sua anima nel corpo che abbiamo creato dalle sue cellule. Siamo riusciti a farlo signor Lars. Si guardi»

Lars ebbe paura di ciò che avrebbe potuto vedere. In principio resistette alla tentazione di vedersi specchiato. E se fosse rimasto tutto come prima senza però potersi riprodurre in serie per gli anni futuri? Oh, mio Dio! Esclamò tra sé.

«Si guardi, non abbia paura signor Lars. Si guardi.» incitò la dottoressa che nel frattempo aveva portato uno specchio dinanzi all'uomo.

Lars si voltò verso la postazione distante pochi passi dalla sua. C'era una bara, una bara d'argento e sigillata.

Chi c'è là dentro? Si chiese.

Tu, forse?

«Avanti non faccia così, non...»

«E va bene! Mi faccia specchiare!» disse Lars sfidando le sue idiosincrasie. Non poteva tener lontano da sé il futuro e la sua scelta.

Lo specchio dinanzi al volto... aprì gli occhi. Il suo volto, nuovo?, non quello grinzoso, non quelle demarcature grottesche ed insopportabili, vasi capillari, muscoli, epidermide, nuovo! Tirato e ritirato. Nuovo di fabbrica.

«Sono ritornato indietro» disse e la voce tremava.

«In che giorno è nato signor Lars?» domandò Maycob.

«Sono ritornato giovane!» esclamò adesso sorridendo.

«Uhm, signor Lars, si ricorda quando è nato?»

«Cosa?» disse l'artista ancora esterrefatto per ciò che aveva visto accadere.

«Ah, sì, sono nato a Novak il 14 agosto del 2076» rispose senza staccare gli occhi dallo specchio.

«Dottoressa, lei cosa ne pensa?»

«Direi che tutto è andato bene.»

«Credo che sia stato un ottimo affare, no? Signor Lars? Signor Lars?» disse Maycob. «Ne conviene vero?»

Nessuna risposta poteva proferire la mente di Ubi Lars alquanto assorta in sé stesso.

L'artista era come sprofondato in una catarsi che non avrebbe avuto fine. Era stato inghiottito dall'immagine di giovinezza che il progresso gli aveva concesso come seconda alternativa. Già, alternativa alla morte. Alla dipartita.

«Signor Lars?»

L'automa lo riportò alla casa sull'oceano.

Lo riportò nel suo studio e lui rimase a contemplare l'idea di sé stesso. Gli ci volle un giorno per rendersi conto che era di nuovo giovane, in un corpo nuovo, che non aveva mai subito traumi, ferite o che altro.

Il secondo giorno risvegliandosi, dopo una ricca colazione si portò immediatamente allo studio. L'opera incompiuta, quella che sarebbe dovuta essere l'ultima opera di Ubi Lars, era là ad attenderlo.

«Bene, riprendiamo da dove avevamo interrotto.» disse sprizzante di gioia.

Doveva rilassarsi e poi pensare. Aveva avuto intenzione di plasmare una roccia di granito. Un volto, uno di quelli giovani e giovali. L'avrebbe intitolata: Felicità.

«Bene, devo concentrarmi.»

Accigliò lo sguardo e corrugò la fronte. Alzò le braccia e girò i palmi delle mani verso l'alto.

«Crea, si crea ancora» disse.

Niente.

«Uhm».

Riprovo.

«No, maledizione!»

Niente.

Riprovo ancora.

***

Così per tutto il giorno, per il seguente e poi ancora, ancora finché non fu abbastanza vecchio da non riuscire a reggersi in piedi.

L'ultimo tentativo lo stroncò, il cuore cedette.

Franò sul pavimento dinanzi a quel frammento di granito immobile.

L'ultima immagine che gli rimase impressa era una pinacoteca dove nessuno avrebbe accolto i suoi ammiratori.

La penultima fu la sua disperazione per non essere riuscito a terminare l’ultima opera.

***

Le virtù non risiedono in nessun luogo e se invece sì, conviene non tentare la Natura.






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