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Sopravvissuti


di Luca Rulvoni, con lo pseudonimo di Arthur J. Cochran


Insolito e a dir poco claustrofobico. Freddo e per niente ospitale. Pareti ruvide attraverso le quali percolava acqua ristagnata, dove scarafaggi dalla corazza grigia s'insinuavano per deporre le uova. Aria viziata e tanfo di sangue marcescente.

Quello era il sottoscala del piano F.

Anzel, che se ne stava da ore accovacciato accanto alla porta blindata del rifugio, cercando di scrutare nell'oscurità, teneva le mani congiunte al di sopra del ginocchio ferito, digrignando i denti come una belva nella savana. Uno di loro lo aveva ferito con artigli luccicanti, ed il sangue era sgorgato copioso dall'anfratto di carne tra le... ossa ed il tessuto epiteliale. La patta dei blue jeans era color cremisi e le sue mani impregnate di brandelli di carne fusa apparivano scarlatte sotto il riverbero della luna. Aveva usato uno straccio intriso di composti medici alquanto disparati per tentare di alleviare la sofferenza ed impedire ai batteri di infettarlo; per fermare l'emorragia con del fil di ferro aveva forgiato una sorta di argine artificiale che aveva avvolto al di sotto dell'inguine.

Faceva freddo nel sotterraneo... ed il soffio lontano delle stelle filtrava attraverso un ricettacolo d'insetti e cocci di vetro... dove i resti di un pranzo frugale mai condiviso, che avrebbe atteso la fine del tempo per germogliare microbi unicellulari e germi, s'insinuava famelico come l'occhio di un osservatore crudele. Una fessura di due pollici. Riflessi opachi ed insignificanti si adagiavano tra refoli alcalini e stille di rugiada che andavano sedimentandosi.

«Maledizione!» sbottò; l'uomo era esausto ed affamato.

Matien, sua moglie, riposava in un cantuccio, tra una catasta di libri che un tempo erano stati maestri di vita e lattine di birra Bud. Di tanto in tanto, la sentiva mugolare... come se in bocca avesse uno stantuffo di cotone o una garza invece che una lingua rossastra e corde vocali pulsanti.

Se ne stava raggomitolata su sé stessa, in posa fetale; bofonchio qualcosa, ma stava solo sognando.

«Maledizione a loro!» inveì Arthur, alzandosi a fatica.

Una fitta gli traversò la schiena, come se qualcuno avesse scoccato centinaia di lance. Essendo d'invidiabile altezza, trovava scomodo muoversi in quel buco sporco e fetido che da alcuni giorni era divenuto il loro rifugio. Si aggrappò ad una staffa d'acciaio, che un tempo era stata il regno incontrastato di scarpe da tennis scollate appartenute al custode. Si eresse in piedi, facendo ben attenzione a non tendere la gamba sinistra. Da quella posizione gli parve di vederla staccarsi da un momento all'altro dal resto del corpo. Sembrava appesa ad un filo di sangue.

L'ennesima fitta. Traballò e serrò i pugni, finché le unghie non penetrarono nella carne tenera e flaccida dei palmi. Il dolore era lancinante; a tratti insopportabile. Si frugò nelle tasche e ne cavò fuori un flacone di compresse. Alcune precipitarono in terra disfacendosi, altre riuscì ad ingollarle e a fatica a mandarle giù. Immagini impregnate di melassa sanguinolenta si sovrapposero alla realtà... e la mente prese a vorticare in una spirale di follia... rievocando come in un flashback torbidi ricordi di un passato presente...

... Le creature aliene erano atterrate nel bel mezzo del prato inglese del campus, solo tre giorni prima... Anzel rammentava ancora benissimo, con lucidità impressionante, i volti sorridenti ed entusiastici dei colleghi di laboratorio. Quando il dottor Maycob, il suo diretto superiore, aveva allargato le braccia dinanzi ai visitatori, c'erano state urla di giubilo e tripudio pastoso. Le creature erano sbarcate da uno strano disco d'argento e si erano mostrate agli umani... erano sembrate simili a noi... ma non era così... avevano comunicato attraverso il canale subneurale del laboratorio sperimentale; i computer avevano decriptato i segnali convertendo il linguaggio cerebrale in suoni e diagrammi... sembravano essere venuti in pace... ma non era così!

Riemerse dalla visione... udì sua moglie rantolare sommessamente; respirava a fatica e tremava vistosamente. Non era ferita... eccetto per i graffi sulle mani... ma la sostanza nera che la creatura le aveva spruzzato sulle gambe doveva averla infettata. Anzel le aveva somministrato una massiccia dose di Eprafil e del benzoato endocrinico per alleviarle i dolori... ma le sue condizioni non erano per nulla migliorate e se all'inizio era apparsa debole e febbricitante ora sembrava essere in uno stato di coma profondo.

Senza adeguate cure, la situazione sarebbe potuta precipitare in poche ore. Il dottor Maycob impavido ed audace si era offerto volontario... per rendere il benvenuto ai visitatori.

«Sono abituato con le cavie, no?» aveva detto con il sorriso sulla faccia poi si era allontanato dal gruppo di scienziati, avanzando con passo deciso.

Ma non ottenne nient'altro che la morte... due di quelle cose che erano sbarcate dal disco luccicante lo avevano trucidato senza esitare... sotto gli occhi increduli degli astanti, facendo scempio del suo corpo, disfacendolo come un panetto di burro... riducendolo in una poltiglia sanguinolenta.

Ed il silenzio era piombato sulla cittadella universitaria... come se un arcano chiromante avesse compiuto un malefico sortilegio...

Devo uscire da questo posto, immediatamente...

All'improvviso un rumore assordante al di là dell'entrata gli ghiaccio il sangue e trattenere il respiro fu un'impresa. Non possono essere loro! Pensò, cercando di riesaminare la situazione mentalmente.

Durante il giorno, dopo aver fatto incetta di cibi in scatola, si era avventurato nel deposito armamenti dove era stato ferito. Aveva arraffato sofisticati sintetizzatori al carbonio che aveva collegato a capsule di nitroglicerina. Aveva quindi piazzato le cariche esplosive alla rinfusa dinanzi all'entrata dell'ala ovest... reputando che fosse impossibile che qualcuno potesse entrarci o tentare di superare le ultime cariche che erano disseminate lungo il corridoio principale.

Dobbiamo andarcene! Dobbiamo andarcene da qui!

... poi era cominciata la battuta di caccia; i visitatori avevano comunicato mentalmente agli umani immagini terrificanti e questi si erano messi a scalpitare come antilopi che nel deserto trovano ad attenderli orride creature delle foreste di penombra...

(S-A-N-G-U-E- ... s-a-n-g-u-e- ... sangue, sangue, sangue...)

«Matien, Matien, svegliati per l'amor del cielo!» disse, avvicinandosi al fagotto di coperte lerce e ricoperte da un'insolita muffa grigiastra.

Altri rumori dal fondo del sottoscala. Qualcuno deve essere passato attraverso...

Grida. Un'esplosione. Silenzio.

«Matien! Matien!» sussurrò, mentre alzava le coperte intrise di una bava appiccicosa. Il braccio sinistro della donna era come scomparso... come se si fosse rintanato nella spalla, ma non era così, rimaneva infatti si e no un moncherino ingrugnito e raccapricciante a vedersi. Una sostanza gelatinosa stillava attraverso la maglietta di cotone. Era vischiosa e brillava sotto i tenui raggi del crepuscolo. Il lezzo inconfondibile della putrefazione si prese gioco dei suoi sensi.

... aveva visto Cloden, il responsabile del centro, scappare verso l'auditorium e Barbra, la direttrice del laboratorio tecnologico, correre verso i depositi di tossine...

... gli altri erano rimasti sul campo... come vittime sacrificali. Anzel e Matien si erano spinti dapprima lungo i corridoi azzurri che portavano alle torri d'idrogeno e lì si erano imbattuti in qualcosa di orrendo.

Dei corpi ristagnavano in pozze di sangue dense ed oleose, mentre due alte creature stavano scrutando i macchinari deputati alla frammentazione dell'uranio. Matien aveva urlato inorridita dalla scena agghiacciante e gli alieni le si erano avventati contro. Erano stati sbalzati in uno scivolo di sicurezza che li aveva condotti all'ala ovest… da lì al sottoscala è storia nota a tutti...

«Matien! Maledizione non può essere vero... non mi abbandonare... non morire... non...» urlò dal profondo delle interiora, ma le parole gli morirono in bocca come insetti sotto il getto del DDT.

L'ennesima esplosione. Calcinacci e vetri infranti. In sottofondo poté udire qualcuno o meglio qualcosa strisciare, mentre dall'esterno giungevano le urla di una donna.

«Dev'essere Barbra... maledetti figli di put...» disse ma s'interruppe subitamente. I rumori che provenivano dalla tromba del sottoscala lo inquietarono. Qualcosa si stava muovendo e non era umana né tanto meno sola.

L'adrenalina scorreva come un fiume in piena; sentiva il cuore pompargli il sangue dalla testa ai piedi come uno shuttle che precipita in picchiata nell'oceano dall'alto delle stelle. Ritornò a fissare la moglie.

«MATIEN! MATIEN!» urlò a squarcia gola, mentre a fatica le si avvicinava. Tentò di scrollarla... ma quello che stringeva non erano ossa e muscoli ma gelatina e fango! Il braccio destro della donna gli si liquefece dinanzi agli occhi.

«Oh, mio Dio...»

Urlò ed imprecò, mentre di getto si allontanava dal corpo in decomposizione... vermi filiformi stavano fuoriuscendo dalla rnatassa ingarbugliata che un tempo era stata una donna bellissima.

Si portò entrambe le mani alla bocca. Conati di vomito gli risalirono lo stomaco... era impossibile trattenerli... si lasciò andare ed una pozza giallastra si solidificò accanto alla catasta di libri. Una bava bluastra, mista a sangue, gli solcò le labbra tumide ed il cardigan era ora inzaccherato dei resti dell'ultimo pasto.

Altri rumori dall'esterno. Devono aver fiutato il pericolo... la loro mente riesce a...

SCSSS... SCSSS... SGU... SGUS... SCSSS...

«Ehi, state indietro. Lo so che potete sentirmi bastardi! Ho altre mine qua dentro, restate dove siete altrimenti...» inveì, battendo i pugni sulla piatta e liscia superficie della porta.

Silenzio. Dall'esterno non giungevano più grida. Nel sottoscala chiunque ci fosse, stava bisbigliando.

«Avete inteso? Immagino che riusciate a comprendermi, luridi bastardi! Maledetti!»

Silenzio profondo.

Anzel si voltò lentamente verso i resti di sua moglie e constatò che non era rimasto altro che una massa informe e sfilacciata di coperte bagnate da una sostanza viscida e bluastra.

Al di là della chiusura ermetica gli intrusi battevano con forza.

«Ho detto...» disse ringhiando, ma d'un tratto si sentì stranito. Come un deja vu, immagini terrificanti gli danzarono nell'ipotalamo.

Confusione... suoni strani... voci...

Poi qualcosa parlò, in sottofondo qualcosa di viscido che strisciava.

«Siete Anzel?... Anzel Icszor?» la voce era atona ma all'uomo parve familiare. Si sentì pervadere dalla disperata convinzione di trovarsi in trappola. Lui era il topo... gli scienziati là fuori si preparavano a vivisezionarlo!

Non può essere... non può essere vero... mio Dio... dimmi che non è così!

La sua mente cercava di rimettere insieme il volto di Kal Steti, il custode del campus... ma dinanzi agli occhi c'era solo il ricordo dei suoi resti disfatti... loro... loro quelle creature... lo avevano ucciso.

«Anzel, rispondete! Sono il custode!» tuonò minacciosa la voce.

«Siete morto voi! Tacete!» urlò Anzel senza riuscire a controllarsi. Prese a battere con veemenza la porta.

«Sono Kal, Kal Steti... aprite non è successo niente è solo frutto della vostra fantasia, lasciatemi entrare vostra moglie ha bisogno di aiuto, maledizione!»

Matien? È morta... pensò trasalendo... Matien è volata via! Sì è sciolta sotto ai miei occhi! disse tra sé e sé, scoppiando in una fragorosa risata isterica.

«Apra per favore!» tuonò la voce.

«Vai al diavolo bastardo!» ribatté Anzel.

«Apri umano... apri...» biascicò la voce aliena.

«Matien è morta... l'avete uccisa voi!» sibilò, mentre infilava la destra nelle tasche. Pescò una manciata di tenui gocce solide di nitroglicerina.

Silenzio. Qualcosa strisciava. Si stava allontanando.

Forse... forse sto sognando... certo, deve essere uno stramaledettissimo incubo ben architettato... oppure si tratta di allucinazioni psichiche...

Il dolore al ginocchio sembrava essersi attenuato miracolosamente. La ferita probabilmente si sarebbe rimarginata tra qualche tempo; forse sarebbe riuscito a salvare la gamba... ma... doveva assolutamente uscire dal rifugio e raggiungere la sala medica del piano L.

«Ehi, custode? Sei ancora là fuori? Bastardo!» sbraitò.

Batté sulla porta e poi si spostò lentamente, facendo perno sulla gamba sana e si aggrappò nuovamente alla staffa. Si issò, usando il piede destro e pose le mani nel pertugio della feritoia.

Microscopici insetti presero a danzargli sul dorso delle braccia madide di sangue posticcio.

Riuscì ad attraversare con lo sguardo la fessura e a vedere l'esterno. Notò, i resti dilaniati di un corpo poco distante dall'ingresso, dove platani e acacie si stagliavano solitarie nella notte oscura. Barbra non si porterà a letto più nessuno! sentenziò con una risata sardonica. Silenzio e nient'altro eccetto gli alberi e le ombre diafane che si dilungavano sommessamente sul prato inglese.

«Al diavolo!» disse, gettando uno sguardo su ciò che restava di Matien. Nient'altro che mucchietti di pelle disfatta.

Ritornò nuovamente alla porta e ruotò la manopola di sicurezza. Quando l'uscio si aprì, disarcionando i cardini impregnati da acidi corrosivi lasciati dagli intrusi, una folata di una mistura maleodorante lo investì in pieno. Si portò subitamente la destra al volto.

Un miasma di decomposizione allo stadio finale ristagnava attraverso la tromba delle scale.

Si fece coraggio e passò al di sopra di frattaglie di carne marcita e fusa. Sotto l'arcata che divideva il sottoscala dal piano terreno, c'erano i resti di una di quelle cose schifose che assediavano il campus. Si avvicinò ed afferrato un estintore lo brandì come fosse un'arma primitiva.

Avanzo di qualche passo.

La strana creatura se ne stava distesa, mentre per un insolito fenomeno fisico le sue carni oscure si schiudevano come boccioli di rose in fiore per liquefarsi subito dopo... Anzel comprese che per quanto potesse essere dilaniata doveva essere ancora viva... Sempre tenendosi a debita distanza, lo fissò inorridito. Non riuscì a vincere la curiosità di esaminarlo. In fondo era uno scienziato no?

L'alieno appariva umano, ma le mani erano molto più grandi ed invece che cinque erano otto le dita.

Inoltre le falangi erano metalliche. La testa era simile ad un pallone da football ed il torace minuto era ispido ed al contempo gelatinoso.

A fatica, gemendo, riuscì a chinarsi. Alzò l'estintore e lo calò violentemente sul capo, più di una volta, finché non fu certo di averla uccisa.

Nessun rantolo... nemmeno un esile respiro!

L'uomo si alzò e rimase ad osservare meravigliato una strana metamorfosi. Il corpo della cosa si disfece, mentre una sostanza opaca ribolliva. Strane escrescenze s'insinuavano nel tessuto connettivo, mentre i tre occhi esplodevano dissolvendosi nell'aria in una fuliggine azzurrina. Ma qualcosa di famelico e terribile si muoveva al di sotto delle carni disfatte dell'alieno. D'un tratto l'ennesima esplosione lo fece rinsavire e si destò dallo stato di torpore che l'aveva avvinto. Passò oltre il cadavere alieno ed uscì fuori dall'edificio.

La gamba doleva, ma l'istinto di sopravvivenza lo trascinò lontano dagli altri corpi disfatti che stavano in bella mostra.

Probabilmente vi sono altri sopravvissuti... forse Cloden è riuscito a contattare l'esterno... la Guardia Nazionale presto sarà qui! Con la cavalleria... ah, ah, ah, ... o forse anche lui non ce l'ha fatta e...

«Ahhh! Maledetta gamba!» esclamò, gracchiando. Il dolore al ginocchio lo fece precipitare al suolo come un sacco di patate. «MAAAA...» urlò, ma ora non riusciva nemmeno più a pensare logicamente. I neuroni sembravano impazziti e recalcitranti.

Il sangue gli andò alla testa e sentì un ronzio insopportabile alle orecchie. Del liquido gli colò dalle narici e gli occhi dolevano come fossero palle di fuoco! Gli parve che i muscoli si stessero gonfiando come palloni aerostatici e che le vene volessero tendersi come corde di violino... le carni si muovevano sospinte da una presenza misteriosa. La pressione arteriosa divenne insostenibile. La gamba aveva acquisito peso supplementare e sembrava resistere alla gravità. La ferita si aprì del tutto e segnò una circonferenza netta al di sotto del ginocchio. Filamenti di carne viva si dischiusero ed una sostanza eburnea eruttò all'improvviso. Anzel prese a dimenarsi, mentre il dolore aumentava man mano d'intensità. Ma rimase lucido. Il sangue pulsava frenetico ed urlò fino a che la gola non s'intasò di una poltiglia che cominciò a soffocarlo.

Ma l'agonia sarebbe stata lenta e crudele. Una fitta lancinante lo costrinse a restarsene immobile in una posa statica e nel silenzio che lo circondava non poté far altro che restare a guardare, a guardare e ad attendere.

Forse era per via della fioca illuminazione o perché il cervello non aveva altro di meglio da fare che rendergli le cose difficili, eppure la sostanza che scivolava calda fuori dallo strappo dei calzoni non aveva l'aria di essere sangue… era infatti giallastra e cominciava a prendere un'insolita sfumatura ambrata... presto sarebbe divenuta gelatina e in breve una bava sfilacciata e rossastra... color cremisi...

Poi, sarebbe cominciata la metamorfosi finale.






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