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Redenzione immortale! (2ª parte)


11.

"È cominciata la resa dei conti...", gridò raucamente allarmato Matteo. "Tutto sta per essere deciso."

Isaia non disse nulla: il corpo del discepolo sulle sue spalle cominciava a pesargli e la città che in un primo momento non gli era sembrata tanto distante, in realtà era ancora lontana. "Spiegami chi era Cristo in realtà...?" Isaia voleva sapere più per curiosità che per interesse salvifico, almeno così si sarebbe distratto e il cammino verso il Palazzo dei Re gli sarebbe sembrato meno lungo.

"Superman!"

"Mi prendi per il culo!"

"No, nulla affatto. Non scherzo su queste cose. I due Gemelli di Gesù giunsero sulla Terra con una navicella di salvataggio: il loro pianeta di origine era stato distrutto da alcuni Alieni conquistatori e i genitori dei Gemelli pensarono che l'unico modo per salvare i loro figli fosse quello di abbandonarli su di un pianeta barbaro, la Terra per l'appunto. Il resto della storia puoi immaginarla: una donna li trovò e disse che erano suoi figli e si disse vergine..."

Isaia Montecristo rimase in silenzio per un po', poi fece l'inquietante domanda che dentro il cuore covava:

"Ma se è come tu dici, gli uomini hanno sempre pregato un Dio alieno..."

"Non proprio. Gesù, quello che morì sulla croce, aveva lo stesso DNA degli uomini. Solo il suo spirito era più evoluto di quello dei terrestri, ma è bastato il tradimento di Maddalena perché il fratello gemello perdesse la bellezza del suo spirito superiore. L'amore può fare più danni dell'odio, in certi casi."

"Ancora non capisco: perché sulla croce Cristo invoco il Padre?"

"Invocò il suo spirito perso nel profondo infinito spazio, invoco l'Infinità che aveva raccolto lo spirito del Padre."

"E la madre? La madre la dimenticò?"

"No. Mai. Lei gli è stata sempre accanto."

"No, non è vero se è vero quanto sino ad ora mi hai detto. La Vergine Maria era una terrestre, una madre adottiva."

"Per Gesù era la Madre, la madre vergine. Non mi chiedere altro, perché non saprei risponderti."

"O non vuoi!"

"Certe cose è meglio che rimangano sepolte nella memoria di quanti sanno e meglio sarebbe che quanti sanno muoiano il più presto possibile." Matteo era esausto ma il Palazzo dei Re era ormai davanti a loro.

Voci concitate e spaventate riempivano il palazzo.

"Dobbiamo entrare. Lasciami scendere dalle tue spalle..."

Isaia non si fece pregare ed accolse di buon grado la preghiera del discepolo. "Sei certo di poter camminare?"

"No, ma ormai la mia fine è vicina. Non sarà questo ultimo sforzo ad uccidermi!" Sorrise ad Isaia con benevolenza. "Ora andiamo: è tardi."

Isaia stava per spalancare le porte del Palazzo dei Re, quando Matteo gli fece cenno di aspettare ancora un secondo. "Sei sicuro di ricordare che cosa è un simulacro?"

Un cenno di assenso del capo bastò perché Matteo si fidasse ciecamente di Isaia: "Allora sta bene. Apri pure quella maledetta porta."

E così fece.


12.

Gesù aveva appena finito la sua giaculatoria e ora stava a fissare con i suoi ciechi occhi il popolo prostrato ai suoi piedi. Presto tutti sarebbero stati meno di niente. Presto i simulacri che ognuno di quegli individui nascondeva nella sua anima senza saperlo sarebbero scomparsi con la morte dell'Umanità. No, non aveva nulla da temere. Presto tutto si sarebbe compiuto e lui, il Messia, non avrebbe più avuto da temere niente da nessuno. Eppure aveva un brutto presentimento: da quando il simulacro di Matteo, Giuda, non era più con lui, sapeva che questi stava tramando contro di lui, anche se non avrebbe saputo dire di preciso quale piano Giuda avesse approntato. Il simulacro Giuda era scomparso troppo presto, prima che lui avesse modo di carpirne tutti i segreti. Questo era un punto a suo svantaggio: doveva accelerare il suo progetto di Redenzione, lasciar da parte i fronzoli della sua ascesa nel Mondo dei Mortali. Certo gli avrebbe fatto piacere distruggere l'Umanità in pompa magna, ma l'istinto gli diceva che era meglio passare subito alla pratica.


13.

Isaia aprì la porta del Palazzo dei Re: in quel preciso momento sentì invadersi da una forza che mai prima d'allora aveva conosciuto ma anche da un sacro terrore per gli avvenimenti che presto si sarebbero consumati. Lui che era ateo non avrebbe dovuto impicciarsi di una simile faccenda, così gli suggeriva la sua parte umana più razionale. Si, meglio sarebbe stato se fosse stato estraneo a tutto quanto Matteo gli aveva raccontato. Per quanto ne sapeva lui, quel Matteo poteva benissimo appartenere a qualche esoterica setta pancristiana pur non essendo completamente fuori di testa. Mille dubbi lo invasero, mille sospetti gli squarciarono la testa gettandolo in uno stato confusionale. No, non aveva avuto una bella idea: accompagnare Matteo al Palazzo dei Re era stata una pessima idea. Mille volte meglio sarebbe stato se fosse restato alla prigione Montecristo; se qualcuno aveva deciso che Matteo era un folle e doveva essere rinchiuso per il suo bene e per quello degli altri, quel qualcuno avrà avuto pure i suoi buoni motivi: questo pensiero lo tormentava. Eppure Isaia non ne era del tutto convinto altrimenti adesso non si troverebbe ad affrontare un qualcosa più grande di lui con la sola arma di una fede che non nutriva affatto. Matteo lo aveva istruito sui simulacri: "Ogni uomo ha il suo simulacro, il suo gemello se preferisci. E il simulacro e la proiezione dello spirito indipendentemente dal fatto che tu creda o meno nell'immortalità dell'anima. Anche se non hai anima, spirito, dentro di te c'è un simulacro che si rivelerà quando sarà il memento. Devi solo credere che tu non sei semplicemente tu. Tu sei il risultato di tante e tante vite che hanno dato vita all'essere che oggi sei: ma dentro di te il primo seme che diede origine alla tua famiglia è ancora vivo, questo è il simulacro che porti dentro. Tutti gli uomini hanno nel loro intimo più riposto questo seme. Persino il Profeta Nero. Tu devi credere solo in questo: non sei solo per quanto ti possa sembrare così. Affronta il Profeta Nero, lui saprà riconoscere in te il simulacro che ti è proprio e metterlo a nudo. E una volta che l'avrà messo a nudo, allora non avrà più scampo da sé stesso. Hai capito? Il Profeta Nero non avrà più scampo da sé stesso.".

Che cazzo significava che il Messia non avrebbe avuto più scampo da sé stesso! Matteo si era rifiutato di spiegarglielo adducendo la solita consumata scusa che ci sono cose che sono misteri e che qualcuno conosce, ma che tanto meglio sarebbe se questi misteri non fossero mai stati conosciuti da alcuno sulla faccia della Terra. Eppure a Matteo una parte del mistero gli era stato rivelato, solo una parte.

Ormai era tardi per tornare indietro.

Le fredde cieche pupille del Messia le sentiva addosso alla sua anima anche se Isaia era sicuro di non avere dentro di sé né una anima né un simulacro; indubbiamente però il Messia era entrato dentro di lui e stava analizzando la sua intimità con precisione chirurgica.

Mille altri occhi furono addosso a Isaia e a Matteo: L'attenzione generale di quanti lì riuniti era adesso tutta incentrata su di loro.

"Alla fine ci si rincontra!"

Isaia fece una smorfia.

"Se LO dici tu!", si limitò a rispondere Isaia più che mai turbato.

"Sentivo che saresti tornato a tormentarmi. Non conoscevo i particolari, ma sapevo che saresti venuto."

"Davvero?"

"Certamente. Ma vedo che non sei solo: ti porti dietro quel cane di Giuda. Stai attento a quello lì! È un can malfusso di cui non ci si può fidare: come ha tradito me, sarebbe benissimo capace di tradire te allo stesso modo senza scrupolo alcuno."

"Non gli prestare ascolto.", gli sussurrò in un orecchio Matteo. "Non ti può far del male se non sarai tu a permetterglielo."

Matteo cadde in ginocchio suo malgrado: il tumore che infestava il suo cervello lo stava divorando.

"Giuda, vedo che non ti manca il buon gusto di inginocchiarti al mio cospetto nonostante tutto!"

Matteo sputò un grumo di sangue a terra in segno di disprezzo.

"Non sei cambiato. Non abbastanza. Comunque è troppo tardi: ormai tutto è compiuto."

"No, non tutto. Ti correggo. Chi più temi è davanti al tuo cospetto per giudicarti così come ha fatto in passato." Ciò detto Matteo aveva dato fondo alle sue ultime energie: prepotentemente vomitò a terra copioso sangue, dagli orecchi altro sangue cominciò a scendere lungo il suo volto scavato, gli occhi sembrava quasi che volessero esplodergli nel cranio: Giuda-Matteo era ormai sicuro che era giunta la sua fine. La cosa non lo disturbava. Non temeva la morte. Non aveva fede perché fede più non poteva nutrire. Ma di una cosa era certo: la sua morte non avrebbe significato nulla per lui, perché in un modo o nell'altro qualcosa di lui sarebbe sopravvissuto e un giorno....

"È la tua fine!", sentenziò il Messia.

Matteo non ribatté.

"No, è la tua fine!", lo contraddisse Isaia il cui corpo stava subendo una mutazione. Non era più Isaia, ne era certo.

"Ponzio Pilato, quale onore! Finalmente ti sei mostrato per quello che sei in realtà."

Il Messia Nero non era più tanto sicuro di sé: la sua voce pur non tradendo un sicuro timore, giunse comunque all'orecchio di Pilato distorta con una nota di fastidio.

"Puoi fare il duro quanto ti pare, ma tutti e due sappiamo chi siamo in realtà. È giunto il tempo di saldare i conti in sospeso fra noi due."

Il Messia Nero non disse nulla. Contrasse solo la bocca in uno spasmo rabbioso ed attese perché altro non poteva davvero fare.

"Re dei Giudei, mostrati!", ordinò Pilato.

"Mai!", berciò il Messia Nero.

"Re dei Giudei, mostrati! Sono io, Ponzio Pilato, a ordinartelo.", ripeté con rabbia Pilato.

"Mai..." Ma si era già arreso.

Prima di esalare l'ultimo respiro Matteo ebbe modo di vedere che il Messia Nero stava partorendo il suo simulacro, L'Unto del Signore, il Cristo che nell'anno 33 d.C. era morto sulla Croce. Ora la battaglia si sarebbe svolta alla vecchia maniera: Ponzio Pilato avrebbe giudicato ancora una volta Gesù, L'Unto del Signore. Confortato da ciò esalò l'ultimo respiro: le sue membra ebbero uno spasmo atroce, poi una convulsione gli fece esplodere il cervello dentro la scatola cranica e dalla sdentata bocca sangue commisto a materia grigia cominciò a scivolare a terra... Era morto. Una fila di scarafaggi vivi cominciò ad uscire in ordinata fila dalla sua bocca: raccolsero un pezzetto di cervello del fu Matteo e ordinatamente si avviarono verso l'uscita dal Palazzo dei Re.


14.

Il popolo era attonito: non aveva idea alcuna di quanto era accaduto. Ma era sveglio, anche se l'incubo non era ancora finito. I loro occhi spauriti si dividevano nell'osservare prima il simulacro l'Unto del Signore e poi quello di Ponzio Pilato. Chi era nel giusto? Chi era nel torto?

Maria Maddalena, anche lei si era liberata dalla malia del Messia Nero una volta che al suo posto era apparso il simulacro l'Unto del Signore; presa dalla paura era subito fuggita per ripararsi in mezzo alla folla. La piccola non riusciva a trattenere le lagrime; gridava che voleva la sua mamma, ma lì, in mezzo a quella gente estranea della sua città, la mamma non c'era. Alla fine un'anima caritatevole raccolse la piccina nel suo abbraccio e lasciò che le sue lagrime dessero completa stura al suo dolore.

Marco, Luca e Giovanni caddero in una profonda catalessi. La lotta sarebbe stata portata avanti da Ponzio Pilato e dall'Unto del Signore.

"Questa volta ti laverai le mani così come facesti l'ultima volta?"

Pilato gli sorrise con un sorriso indecifrabile: "Fu un atto necessario alla storia."

"Capisco."

Silenzio.

"Ed ora cosa avresti intenzione di fare? Giudicare chi è già stato sulla croce per salvare l'Umanità pur non avendo sul proprio capo alcuna colpa? Pilato, tu vorresti condannare ancora una volta me?"

Pilato: "Se sarà necessario, lo faro." Alle spalle di Ponzio Pilato si materializzò dal niente una coorte di soldati. "Se sarà necessario ti farò giudicare colpevole un'altra volta, anche con la forza!", precisò Pilato con un cachinno dipinto in volto.

"Giudicare! Lascerai che il popolo mi giudichi colpevole quando già conosce il mio dramma? Il popolo mi giudicherà non colpevole."

"Non esserne troppo sicuro."

"Il popolo ormai conosce quanto ho sofferto: non manderanno sulla croce un innocente una seconda volta."

"Gli uomini sono imperfetti...", replicò impassibile Pilato. "E nella loro umana imperfezione amano i martiri più di quanto amino i Salvatori."

Pilato avanzò contro l'Unto del Signore e la sua coorte di soldati con lui.

"Passi all'attacco... Non servirà." E così dicendo si spogliò della Sindone che gli copriva le spalle e subito la frappose tra la sua figura e quella dei soldati che lo stavano caricando.

Pilato sbiancò: "Cosa hai intenzione di fare!"

"Giustizia, solo giustizia."

"Sei un mostro! Quella che tu osi chiamare giustizia è la crudeltà degli uomini che il tuo cuore ha covato per tutti questi secoli sino ad oggi."

"Io un mostro?" Un ghigno terribile si accese sul negro volto del Messia: "Voi siete i mostri. E pensare che mi sono immolato per voi. E voi, oggi, vorreste negare a me, il vostro Salvatore, di avere una vita come un mortale? Non ho forse anche io mio diritto, vivere la mia vita? Pilato, rispondi!"

Pilato rimase in silenzio. Alla fine rispose con un chiaro atto di sfida: "Non te la caverai così!"

"Nulla è deciso."

Pilato fece un cenno ai suoi uomini che subito caricarono contro il simulacro l'Unto del Signore, ma questi gettò loro addosso la Sindone che subito li caccio indietro provocando loro piaghe mortali e nel corpo e nello spirito. In meno di un minuto l'intera coorte giaceva a terra esanime.

Il simulacro l'Unto del Signore gongolava: "È ora che anche il popolo subisca lo stesso trattamento." La Sindone tornò subito fra le mani del suo Signore volando nell'aria come una piuma d'angelo.

Pilato non sapeva che pesci prendere: questa volta per l'Umanità sarebbe stata la fine. Non appena la Sindone avrebbe avvolto il popolo, questo avrebbe saputo la verità sulla natura gemellare di Cristo, il peccato di Maddalena moglie di quel Cristo scampato alla croce si sarebbe loro rivelato. Era la fine.

L'Unto del Signore stava per scagliare la Sindone contro il popolo quando il popolo intero si sollevò gridando una canzone antica, ancestrale, una canzone senza tempo, parole scritte nel Dna di ogni singolo essere lì presente. Il Cristo, l'Unto del Signore, il Messia ebbe quasi un mancamento: l'aria gli divenne piombo dentro i polmoni. "Maledetti!" pensò: il viso gli si imporporò di rabbia, l'aria pesante uccideva i suoi polmoni ma non poteva davvero fare a meno di respirare. Meglio ingombrare i polmoni con dell'aria viziata, e pur sempre preferibile al niente.

Il coro di voci non si risparmiava dando corpo a tutta la repressa rabbia di secoli e secoli di vessazioni:

"Milones ya imponen la verdad; de acero son, ardiente battaliòn, sus mano van llevando la justicia y la raçòn. Muier, con fuego y con valor ya estas aqui junto al trabajador. Y ahora el pueblo que se alza en la lucha con voz de gigante gritando: adelante El Pueblo Unido jemes sera vencido!"

Con sgomento il simulacro l'Unto del Signore fece un passo indietro. Il popolo non era più lo stesso, erano tutti simulacri, simulacri di simulacri all'infinito, milioni e milioni di simulacri di tutti i paesi e di tutte le razze, milioni di esseri che avevano sofferto guerre, fame, ignominia, torture nel nome della Chiesa, nel nome del Governo della cristianità. I simulacri continuavano a moltiplicarsi: ogni simulacro partoriva altri mille simulacri. Era orribile vedere tutta quella rabbia non disposta ad ascoltare alcunché; quella massa ascoltava soltanto la sua rabbia.

La Sindone gli scivolò dalle mani. A che sarebbe servita contro quella massa rabbiosa?

La rabbia non la si può annichilire con il peccato né con la verità.

Subito fu travolto da milioni di simulacri insieme ai suoi discepoli che improvvisamente si erano svegliati dal loro stato comatoso solo per vedere la loro fine. Luca si fece il segno della croce per quel che poteva servire e salmodiò: "Eduxit autem eos foras in Bethaniam; et elevatis eis. Et factum est, dum benediceret illis, recessit ab eis, et ferebatur in caelum. Et ipsi..." Non riuscì a terminare di parlare: la sua voce fu coperta dalla rabbia dei simulacri che ormai gli erano addosso, né poté sentire le voci di Giovanni e Marco. Morì con la consapevolezza che le sue ultime parole furono la sua ultima menzogna sulla Terra.

Ma Ponzio Pilato riuscì comunque a sentire l'ultima voce dell'Unto del Signore: "Pilato, Pilato, il popolo mi condanna e tu con loro... Tu solo puoi salvarmi... almeno questa volta... "

Ponzio Pilato fece orecchi da mercante e lasciò che il popolo adempisse alla volontà della sua rabbia.

Non nutriva alcun pentimento: in fondo era stato fin troppo magnanimo con lui, l'aveva avvertito che il popolo non ha orecchi per sentire. L'aveva messo in guardia. Lui non avrebbe potuto arrestare quella massa di simulacri incazzati neanche se avesse desiderato farlo. E Ponzio Pilato non nutriva alcun desiderio di salvezza per... per... non sapeva dire per chi o per cosa con precisione, però di una cosa era certo: l'Umanità non era ancora salva e mai lo sarebbe stata fino alla fine dei tempi.

Uscì dal Palazzo dei Re, scrutò l'orizzonte, il suo sguardo si fissò sul Golgota: una croce era già stata eretta. Ormai tutto era stato deciso: non c'era più bisogno di lui. Il sole atomico stava tramontando sulla croce. Domani sarebbe stato un altro giorno.

Le voci concitate all'interno del palazzo continuavano a crescere d'intensità e di numero: là dentro c'era un'orgia di milioni di simulacri che avevano infranto tutte le barriere dello spazio e del tempo per raccogliersi in un singolo punto della Terra, un punto che in condizioni normali avrebbe potuto ospitare al massimo un paio di centinaia di individui. Là dentro stavano stipati i simulacri di genti di tutti i secoli e di tutte le regioni e di tutti i tempi. Fissò un'ultima volta il Golgota, la croce che avrebbe ospitato l'ultimo Cristo. Questa volta non ci sarebbero stata una Resurrezione. Il mondo si avviava verso un futuro impossibile da immaginare o vaticinare.

Un futuro oscuro.

Il simulacro di Ponzio Pilato scomparve e al suo posto rimase solo Isaia Montecristo, almeno in apparenza immortale, forse un simulacro, comunque un essere o qualche cosa d'altro solo lungo la lunga strada della vita, un essere che era ben poco cosciente di quanto si era appena consumato per essere consegnato alla storia. E la storia era Isaia, in apparenza un mortale, un ateo... che sapeva e che meglio sarebbe stato per la nuova Umanità che lui nulla sapesse.

L'ombra di Isaia di Montecristo era l'ombra del discepolo Matteo e di Giuda. Matteo aveva creduto di poter morire, si era avvinghiato all'incertezza come ad una fede e questa l'aveva tradito: il suo corpo era morto, forse anche il suo spirito; ma la sua ombra, quella di Matteo e di Giuda, era più 'viva' che mai. E neanche il suo doppio in carne, Isaia di Montecrito o Ponzio Pilato, era morto con la fine fisica del discepolo Matteo.

L'incertezza domina sul destino degli uomini.

L'incertezza domina sul destino dei simulacri.

L'incertezza domina sul destino dei simulacri di simulacri.

L'incertezza domina su tutto.

L'incertezza è tutto.

L'incertezza è la fede dell'uomo del futuro così come dei suoi simulacri.

L'incertezza è l'incertezza e non le si può sfuggire.

Il Messia Nero sapeva dell'Incertezza e ne ha fatto la nuova fede, la nuova religione, l'oppio dell'umanità del futuro.

Il sole atomico si era spento per quel giorno: la Luna splendeva virginea alta nel cielo.

No, non era ancora il tempo per la pace eterna: la minaccia sopravviveva nel cuore, nel cervello di Isaia, la minaccia era più che mai reale e la vedeva nella sua ombra! No, non era ancora giunto il tempo per la Redenzione Immortale!

Presto un'altra battaglia si sarebbe dovuta affrontare.


Alla fine forse fu...!

"La profezia di Malachia si è avverata...", osservò un porporato.

"Già. È stata più cruda di quanto si potesse immaginare."

I due porporati abbandonarono le rovine di quella che un tempo fu la Santa Sede. Entrambi sapevano che mai più avrebbero fatto ritorno Lì: smisero le loro vesti, guatarono il nero cielo sopra le loro teste, trassero un profondo sospiro di sollievo o forse di tristezza e si lasciarono tutto alle spalle.

In lontananza qualcuno diceva parole ormai senza senso:

Quoniam in me speravit, liberabo eum;

protegam eum, quia cognovit nomen meum.

Invocabit me et exaudiam eum;

cum ipso ero in tribulatione,

eripiam eum et homorabo eum.

Longitudine dierum satiabo eum,

et ostendam ei salutem meam.

(dal Salmo 91)

Chi parlava, parlava senza comprendere il significato di quelle latine parole: le ripeteva così come gli erano state insegnate, le ripeteva forte solo della sua memoria.

L'ombra del Messia Nero era stata confinata in un mondo parallelo: non aveva un corpo mortale, ma non era ancora la fine, Perché l'umanità esiste ancora così come i suoi miliardi di simulacri. E l'Incertezza, la nuova fede, ancora avrebbe compiuto stragi nel nome di Dio.

La fine non esiste: questa è la sola certezza per l'umanità, per la carne mortale, per lo spirito immortale, per l'anima e più in generale per il mondo, per i mondi paralleli siano essi finzione, paranoia o realtà che l'occhio umano non sa ancora distinguere.






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