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Recensione di Marcello Bonati a "L'ora di ottanta minuti"


Brian W. Aldiss, L'ORA DI OTTANTA MINUTI (The Eighty-minute Hour, '74), Fantascienza n. 5, ed. Sperling & Kupfer, '91 (traduzione di Giampaolo Cossato & Sandro Sandrelli) 292 pagine-24900 lire


Brian Aldiss, lo sappiamo, è uno degli scrittorio inglesi di maggior cultura, che ha saputo inserire nel nostro campo notevoli innovazioni tecniche e tematiche che fino ad allora erano rimaste esclusivo retaggio della letteratura mainstream.

Con questo romanzo assistiamo ad un'operazione interessante e, a mio parere, ben riuscita: quella di accostare il modulo narrativo alla Vonnegut con quelle che sono le ultime tendenze della Sf.

Che Vonnegut abbia influenzato grandemente quest'opera mi sembra decisamente indubitabile; il tono su cui è tenuta tutta la narrazione è proprio quello ironico-umoristico del grande scrittore americano, che, ad un certo punto, p perfino chiamato in causa direttamente: "È così che vanno le cose, come aveva l'abitudine di dire quel vecchio gentiluomo di Vonnegut" (pag. 167)

Lo stile e la scrittura, poi, sono vivamente interconnessi, la seconda è frammentaria ed intersecante numerose situazioni, quasi dickiana, in questo, e quindi, in un certo senso, vonnegutiana, perché lo stile è proprio quello scattante e rapido di quello, in cui le concessioni poetiche, per così dire, sono esse stesse "strane", assolutamente non enucleabili dal contesto, fragili prodotti di quel mondo postnucleare che si vuole delineare.

E, di poetico, ci sono vere e proprie "canzoni" che spesso i protagonisti improvvisano nelle circostanze più disparate, con magnifica identità di invenzione istantanea.

Il modo di esprimersi dei personaggi, poi, è profondamente eccentrico, per così dire, con espressioni del tutto radicate nel loro mondo: "Oh, per tutta la benedetta santità divoracroste eternamente rottainculo!" (pag. 36).

È, questo mondo postatomico, in cui le detonazioni nucleari hanno provocato distorsioni spazio-temporali (… cos’è che ha causato questo prolasso temperate (è, n.d.a.) La terza GM (guerra mondiale, n.d.a.), naturalmente. Per cinque anni tutte le grandi potenze hanno fatto buchi nello spazio senza pensarci. tanto. Le loro immense perturbazioni nucleari hanno leso il tessuto dello spazio-tempo, non soltanto lo spazio ma anche il tempo interconnesso. Questo è l'inquinamento dell'intero continuum da parte dell'umanità!" (pag. 35)), è un mondo tipicamente cyberpunk: "Nelle vaste conigliere del CC (Computer Complex, n.d.a.) a Houston, dove ogni stanza era una piccola cella fra pareti sfarfallanti della propagazione dei nanosecondi, un silenzio fra la bassa frequenza e le apparecchiature a microonde, gli esseri mani sviluppavano direttamente una sensazione di obsolescenza, in particolare dal momento che l'edificio stesso era obsolescente, a causa dei recenti drammatici sviluppi della computronica. Ben presto, molto presto, i circuiti subnucleari sarebbero stati la norma, tutto il sapere del mondo sarebbe stato impresso sulle particelle dalla lunga vita come gli androni, e le complessità del governo mondiale sarebbero state espresse in momenti angolari.

(...) Tutto questo apparteneva al futuro. Il presente era inondato dal futuro, ma per ora l'uomo lavorava ancora con umiltà in un rapporto ancora comprensibile con i superstrumenti che aveva creato. (pag. 106-7).

La trama, al limite, diventa secondaria, anche se piena di idee altamente immaginative, per non dire di pensieri filosofici ora deliranti, ora "profondi", e di veri dubbi epistemologici, nella migliore tradizione della New Wave.

Molto belli, ad esempio, vari episodi che si svolgono in un mondo di cui sfugge la realtà ontologica, anche se appare evidente la sua "realtà", e che viene "spiegato" solo alla fine.

La rutilanza di idee ed avvenimenti interconnessi, ancora, non possono non ricordare le trame vanvogtiane, e, come già detto, quindi, la successiva loro ripresa e valorizzazione di Dick e di Vonnegut.

Per concludere, un romanzo decisamente divertente, a tratti molto avvincente, ma anche profondo ed importante da un punto di vista filosofico; nella migliore tradizione della Sf, per cui dire "grandi" concetti con mezzi semplici è sempre stata la caratteristica di maggiore rilevanza.






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