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Recensione di Marcello Bonati a "L'equazione del giorno del giudizio"


"L'equazione del giorno del giudizio" (Annals of Klepsis, '83), di Raphael A. Lafferty, "Urania" n. 983. ed. Mondadori. '84, traduzione di Vittorio Curtoni, 155 pagine


Vi si nota una maggiore complessità contenutistica rispetto al precedente "Il diavolo è morto".

Due le problematiche sollevate; quella piuttosto scottante della soggettività/oggettività del reale, quella dell'origine dell'universo, da un punto di vista religioso-mitico, entrambe, comunque, sviluppate in un contesto divertente, intriso di battute, trovate ed artifici letterari piacevoli. La trama in sé non è molto importante; non che non ci sia, c'è, ed è densissima, travolgente; quello che risulta è il modo in cui Lafferty svolge il suo lavoro, una sorta di work in progress, di accenni ammiccanti al lettore, ovvero vere e proprie comunicazioni dirette tra scrittore e lettore; si dice. all'inizio: "... Non c'è storia su Klepsis..." e il protagonista, Long John Tong Tyrone ribatte: "Allora la troverò... oppure la farò."

Egli giunge su Klepsis alla ricerca della storia, la storia di Klepsis, e la trama è appunto costruita su questo tenue filo, che, se inizialmente e tenue, va via via ingrossandosi, come un fiume ed i suoi affluenti, per il sopravvenire di nuove ed abbondanti acque.

Si dice che Klepsis non ha storia, che deve ancora iniziare, che vive nel mondo della protostoria, che la sua storia ha ancora da cominciare, ma la morte di Chiodo di ferro di cavallo, soprannome di Quasimodo, personaggio scarsamente presente ma, in ogni senso, essenziale all'economia della trama, provocherebbe la scomparsa degli uomini dai diciassette pianeti orbitanti attorno ai quattro soli che costituiscono l'ideale sfondo di questa storia che comunque.si svolge interamente su Klepsis.

Il tema oggettività/soggettività del reale si sviluppa attorno a questa figura; un tempo schiavo, viene comprato da "Christopher Brannegan, ... il Fondatore, Scopritore e Inventore di Klepsis."

". . al mercato degli schiavi, duecento anni addietro. Poi Brannegan aveva scoperto che il nano deforme possedeva un cervello gigante, la mente più spaziosa che avesse mai incontrato."

All'inizio era proprio Brannegan a costituire il terzo fuoco, ma in seguito a questa scoperta, ne diviene possessore Quasimodo; che, se da un lato mi ricorda, per le sue fattezze. il Mule della trilogia galattica di Asimov, dall'altro non può che far venire alla mente uno dei nostri più grandi poeti ermetici, quel Quasimodo che ci ha donato quel capolavoro assoluto che è "Ed è subito sera" in cui, con altri termini, si esprime pur sempre un sentimento in qualche modo assimilabile all'angoscia esistenziale, e quindi anche a questa, come ho già detto, scottante problematica.

Costituire il terzo fuoco significa contenere nel proprio cervello tutti gli esseri viventi, e, di conseguenza, non poter morire se non a scapito della morte di tutti.

La soggettività portata al suo estremo patologico.

Ma è proprio nel far ciò che Lafferty mette in moto la problematica, dando però, a chi nel leggere, si addentrasse in tali questioni, appunto il caso estremo, direi il caso limite… non si tratta, in fondo, di un'equazione?

Anche altri personaggi, come il cantastorie che il protagonista e Thrralla, la sposa sposata senza sapere di farlo, incontrano nello stomaco di una balena mentre all'esterno infuria una battaglia di palazzo fra opposte fazioni, affrontano tale problematica, ed è questo, forse, il miglior esempio di come divertimento e cultura con la C maiuscola si amalghimino a creare un insieme godibile.

Anche il fattore religioso non viene ad appesantire la faccenda, anche se, in ultima analisi, ne è la componente portante.

Quasimodo, secondo serissimi calcoli scientifici, morirà al terzo rintocco della campana chiamata "En-Arche"; l'ha chiamata En-Arche, in principio, dalle prime due parole della Bibbia...

Il Principe Franco, fratello gemello di Henry il pirata, detentore del potere poi spodestato dalla moglie, si fa uccidere da quest'ultima che voleva uccidere il marito deposto, senza dire nulla: "Tu non sei il Principe Franco! Perché, perché hai preso il suo posto? Perché, perché sei morto per LUI?"

In cui, larvatamente, ma nemmeno troppo, si avverte l'influsso biblico, o meglio evangelico, della passione e morte di Cristo.

Comunque, ad alleggerire il tutto concorrono svariati fattori, fra cui, non ricordato prima, quello del gratuito e palesemente volontario inserimento di contraddizioni palesi che, appunto, fanno momentaneamente allontanare il pensiero da percorsi difficoltosi ed ardui per indurre, se non alla risata, perlomeno al sorriso interiore.

Tra gli altri espedienti letterari di alleggerimento troviamo battute e giochi di parole, tra cui una delle più riuscite e che, personalmente mi ha colpito maggiormente, è la presenza su quel bizzarro pianeta, d'una specie di uva chiamata: "Mio Dio, che uva": "Il nome ufficiale e botanico di questo grappoli d'uva è "Mio Dio, che uva"" detto poco dopo che un personaggio aveva usato quella stessa esclamazione spontaneamente.

Altro espediente che ho trovato particolarmente gradevole è la ripetizione a distanza più o meno ravvicinata della stessa frase, uguale o con qualche leggerissima variazione, come in questo caso: "... un uomo dall'aspetto irresistibile e dal particolarissimo tono d'autorità nella voce" (pag. 10); " ... il nostro principe pirata, l'uomo dall'aspetto irresistibile e dal particolarissimo tono d'autorità." (pag. 18) a far riemergere percorsi mentali precedentemente percorsi, magari, come nel caso riportato, dopo che ciò di cui si trattava è stato meglio chiarito.

In ultimo una curiosità, anzi, due; vengono nominati i due pianeti, Mondo Abbondante e Camoroi, che possiamo trovare in precedenti opere del Nostro, ovvero, rispettivamente, il racconto omonimo compreso nell'antologia "Strani fatti" e "Leggi e usanze dei Camoroi", ne "Come si chiamava quella citta?".

Per finire, ancora una volta (vedi "La lunga notte di Lafferty; 2ª parte"), Lafferty dà il suo secondo nome ad uno dei personaggi, che solo nel finale acquista una qualche importanza.






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