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Non svegliate il dio che dorme. L'universo svanirebbe di colpo


di Carlo Formenti


Siamo abiti che Egli crea, indossa, logora e di cui alla fine si disfa»: così recita il «credo» di Philip Dick, il geniale scrittore di fantascienza di cui ci siamo recentemente occupati a proposito della bella biografia dedicatagli da Emmanuel Carrère. La citazione è tratta da «Uomo, androide e macchina», una conferenza del '77 inserita nel secondo volume di una raccolta di racconti inediti in italiano (ed. Fanucci). Più che di una conferenza si tratta di una vera e propria visione cosmologica, intessuta di riferimenti filosofici e teologici: Dick svaria dai presocratici a Platone; dalle religioni orientali alla mistica di Dante - attraverso San Paolo e la Gnosi; da Jung a Joyce; da Bergson a Teilhard de Chardin. E interpreta le opere di altri maestri della fantascienza (Clark, Zelazny, Le Guin) come inconsapevoli profezie.

Naturalmente sì parla di androidi: “esseri feroci e freddi” che tentano di farci credere di essere umani (a volte essi stessi non sanno di essere macchine). Ma intuiamo subito che Dick non allude ai robot; gli androidi non sono necessariamente esseri artificiali: anche un uomo privo di sentimenti e di empatia è una macchina.

E macchine rischiamo di diventare tutti, in un mondo sempre più reificato che rende arduo distinguere fra vita e artificio. Impostura e simulazione sono in agguato; la verità si maschera: ciò che è buono e amichevole appare nemico e cattivo, e viceversa. E, noi non riusciamo a strappare il velo alla realtà; o meglio: quando ci riusciamo, ci affrettiamo a rimuovere tutto quanto abbiamo oscuramente intuito.

Ma è il tempo a ordire gli inganni più crudeli: ci fa credere di essere individui finiti, negandoci la consapevolezza della nostra vera essenza, che è imperitura e collettiva. Crediamo senza riserve alle illusioni del cervello (o meglio della sua metà destra, fredda e razionale) e rifiutiamo le verità che ci rivelano i sogni e le visioni della mente empatica (la metà sinistra, intuitiva). Non ci rendiamo conto che la mente individuale è solo una cellula della più ampia Mente…

(parte andata perduta, 10 righe)

… riconoscere nei suoi stessi testi le parole di un'inconscia rivelazione profetica. Ma le trame e lo stile dei 17 racconti scritti dal '53 al '59 (la raccolta è completata dagli abbozzi di due romanzi mai realizzati) offrono già sprazzi del Dick «maturo» e del suo geniale delirio.

Il tema della disumanizzazione ispira Progenie: dopo uno straziante incontro fra padre e figlio, il secondo - cresciuto fra gli androidi - respinge il genitore, disgustato dal suo lezzo «animale». Di “puzza” umana si occupa anche Oltre il recinto, amara satira del corpo «igienizzato»: il partito Purista, dopo aver vinto le elezioni, stermina i Naturalisti, che si rifiutano di estirpare le ghiandole sudoripare. La Cripta di cristallo affronta invece il tema classico del potere distruttivo della tecnologia bellica, ma il talento visionario di Dick riesce a imprimergli una nota originalissima: tre terroristi. terrestri miniaturizzano la capitale dei marziani e la portano via racchiusa in una sfera di vetro.

L'ambiguo confine fra realtà e allucinazione è al centro di molti racconti, ma tocca vertici angosciosi in due storie dedicate alle mutazioni cerebrali: in Allucinazioni i «paracinetici» riescono a materializzare le loro fantasticherie fine a sovvertire la struttura stessa dell'universo; nell'agghiacciante Meccanismo di richiamo si intrecciano gli incubi di due mutanti che «vedono» i rispettivi futuri di vittima e assassino senza riuscire a modificarli.

L'ossessione teologica compare già nel delizioso e ironico Non avrai altro Dio. Ma qui Dick è ancora lontano dal prenderla sul serio come gli capiterà più tardi: un'industria affida a un suo impiegato il compito di sperimentare un tunnel spaziotemporale che consente di percorrere in pochi secondi i 250 chilometri che separano l'abitazione dal lavoro. Il protagonista scopre una “falla” nel tunnel, da cui minuscoli esserini gli rivolgono preghiere e lo implorano di rispondere alle loro domande, presentate su microscopici foglietti di carta; dopo aver affidato al computer il computer il compito di tradurre quella strana lingua e di dare le risposte, scoprirà che gli omini sono l’antico popolo ebraico e che lui (o meglio il computer) ha fatto la parte di Yaweh, dettando le parole dell’Antico Testamento.






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