Il bambino che piega i metalli, un mistero a Berlino
di Valerio Cappelli
Un debutto anomalo, una storia, intrigante che appartiene a mondi lontani, remoti, invisibili. C’è un bambino che piega oggetti di metallo, posate e altri utensili, al solo tocco, con la forza della mente. Mostra la sua dote agli amici, poi la voce si sparge. Siamo in un contesto povero e umile, un paesino di montagna, nei pressi di Montefeltro. Il paesaggio brullo, dolce, aspro, al confine tra Emilia e Toscana, scandisce il tono del film, accompagnando la complessità del mondo interiore del bambino. Si chiama Martino Zaccara, ha 13 anni, viene da una normale famiglia borghese di Rimini.
«L'ho scelto perché ha qualcosa di magnetico, e per un certo distacco che mostrava immergendosi nel ruolo», dice il regista Antonio Bigini, 42 anni, di Urbino.
Con Le proprietà dei metalli (prodotto da Kiné e Rai Cinema) porta il suo esordio alla Berlinale. «Mi sono liberamente ispirato a un fatto vero, e una realtà che ignoravo, ho scoperto l'esistenza di un centro di studi parapsicologici che era attivo a Bologna, dove vivo, negli anni '70, il periodo di questa storia». Il motore di tutto è Massimo Inardi, medico e parapsicologo che divenne un caso mediatico in tv al «Rischiatutto» di Mike Bongiorno. «La fama di quella disciplina ebbe lui come pretesto, ma la parapsicologia fu un fenomeno mondiale e rappresentava lo spirito dell'epoca». C'è un altro personaggio centrale, Uri Geller, l'illusionista israeliano a cui si attribuivano poteri psichici e telepatici, che fu oggetto di due film.
Il fisico Ferdinando Bersani, con Aldo Martelli, altro professore universitario, indagò su alcuni bambini che 50 anni fa, a imitazione di Uri Geller, sembravano piegare degli oggetti nelle loro case di campagna in Nord Italia. Fu il fenomeno, diffuso in tutta Europa, dei cosiddetti «mini-geller». Il regista non crede a quei poteri, ma «alla fascinazione di una storia che ci pone interrogativi su tante cose, su quanto crediamo di conoscere la realtà che ci circonda e quanto di inconoscibile c'è nell'uomo e nella natura».
Ma c'è anche altro, nel legame del bambino con suo padre, un'anima semplice indurita dalla perdita della moglie.
In questo paganesimo rurale, nella povertà contadina che trova terreno fertile in altri fenomeni indecifrabili, come le apparizioni celesti a Lourdes e altrove, un fisico americano armato di magnetometro e contatore Geiger porta il bambino davanti a una commissione scientifica. «Il professore ha un approccio scettico, non si fida, non crede, però si rende conto che c'è qualcosa di interessante».
È uno che cerea il Sacro Graal della parapsicologia, «una spiegazione scientifica che nessuno al mondo è riuscito a dare». C'era un premio, negli anni '70, che da 10 mila dollari arrivò a 1 milione di dollari, per chi fosse in grado di mostrare l'esistenza paranormale. n premio si chiamava «Randi», il prestigiatore che fu il grande accusatore di Uri Geller, il quale, davanti a lui, padre di tutti gli scettici, non fu in grado di replicare le sue esibizioni.
Il momento in cui il bambino piega gli oggetti di metallo non lo vediamo mai. «È una sfida raccontare quello che non si vede - dice il regista, che non crede nel paranormale - ma il film non dà risposte». A lui interessa narrare, attraverso «un bambino che non è un supereroe ma che ha qualcosa di paradossale e inspiegabile», l'altrove che nutre il suo immaginario cinematografico. Bigini ha una formazione cinefila da autodidatta, ha scritto documentari, con la Cineteca di Bologna ha collaborato alle mostre su Sergio Leone, Pasolini e Mastroianni. Nella sua testa, per il suo debutto, ronzavano Truffaut e il tema del mistero amato da Kieslowski.
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