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Una simpatica conchiglietta in cerca della famiglia perduta


di Paolo Mereghetti


Se piccolo è bello, figurarsi piccolissimo...

Forse è quello che ha pensato Dean Fleischer Camp quando, tredici anni fa, ha deciso (anche per ragioni di budget) di far interpretare il corto che un amico gli aveva chiesto per il suo matrimonio ad una piccolissima conchiglia: un guscio di un paio di centimetri, con un occhio nell'incavo vuoto e due scarpine da ginnastica per giustificare che potesse muoversi, affidando la voce all'ex moglie Jenny Slate, stand-up comedian alle prime armi. Qualcuno degli invitati al matrimonio che l'aveva ricevuto l'ha messo in rete e i like sono iniziati a fioccare, tanto da convincere Dean che l'avventura della piccola conchiglia con le scarpe (il titolo originale era Marcel the Shell with Shoes On) potesse avere un seguito e poi un altro ancora e diventare anche due libri per l'infanzia entrati nella classifica dei più venduti del New York Times. Inevitabile a questo punto il passaggio al lungometraggio (Marcel the Shell), il cui arrivo al cinema non poteva riuscire meglio: nominato tra i cinque migliori film d'animazione che si contenderanno l'Oscar il 14 marzo prossimo. E non senza buone possibilità di vittoria.

Un'animazione particolare però, fatta in stop-motion (cioè fotografando fotogramma per fotogramma la conchiglia così da dare poi l'impressione del movimento. Come certi film di Nick Park o Tim Burton), posizionando Marcel in un ambiente reale, filmato in precedenza, ma soprattutto facendolo interagire con lo stesso Dean, regista fuori e dentro il set.

All'inizio del film, vediamo infatti Dean ospite di un Air-bnb, che scopre l'esistenza di questa conchiglia di nome Marcel nella casa che ha affittato, dove si muove all'interno di una pallina da tennis che rotola per i locali. La scoperta fa nascere un'amicizia - la conchiglietta è molto socievole - e il desiderio di conoscere meglio la sua storia, insieme alla voglia di filmarlo per poi mostrarlo su YouTube.

Una specie di autofiction rimessa nuovamente in scena (una mise en abyme al quadrato direbbero i semiologi, una sorta di sogno nel sogno) che si permette molti salti logici ma che finisce per privilegiare solo le cose davvero importanti. Le fette di torta, avrebbe detto Hitchcock, eliminando le parti noiose della vita. Così scopriamo l'ingegnosità con cui Marcel si procura la frutta dal giardino o come usi l'appiccicosità del miele per salire sui muri; facciamo conoscenza con la nonna Connie (che in originale ha la voce di Isabella Rossellini) e come mai in quella casa ci siano solo loro due mentre tutto il resto della comunità micologica un giorno sia misteriosamente sparita, portandosi via anche i genitori e i fratelli di Marcel.

Scopriamo anche che l'ospite regista è solo, uscito di casa dopo la fine del matrimonio, ma è la sparizione di tutte le altre conchigliette che prende pian piano importanza. Il prevedibile successo in rete del filmino fatto da Dean scatena prima la curiosità dei più giovani, che riescono a individuare la casa dove vive Marcel trasformandola nello sfondo dei loro selfie preferiti, ma poi accendono anche l'attenzione delle tv nazionali, fino alla prestigiosa trasmissione «Sixty Minutes», la conduttrice Les1ey Stahl (guarda caso la presentatrice preferita da nonna Connie, perché anche le conchiglie guardano la televisione) decide di registrare una puntata del programma proprio su Marcel e sul suo sogno di ritrovare la famiglia sparita.

Le avventure saranno ancora molte prima di arrivare alla fine, qualcuna forse con qualche problemino di logica narrativa, ma tutto sparisce di fronte alla contagiosa simpatia di Marcel e di sua nonna e alla loro disarmante sincerità, capace di sottolineare il trascorrere della vita attraverso una poesia (l'emozionante Gli alberi di Philip Larkin) o di mettere l'amico Dean di fronte alle contraddizioni della sua: «La tua vita sarebbe un po' meno solitaria - gli dice Marcel- e un po' più integrata se impiegassi il tempo a interagire con gli altri invece di girare video su di loro». Perché, come dice Lesley Stahl, è stata proprio una conchiglia di due centimetri, che «ci ha insegnato il valore di sentirsi comunità».






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