Recensione di Antonio Scacco a "Il grande fiume del cielo"
Gregory Benford, Il grande fiume del cielo (Great Sky River, 1987), Mondadori, "Uraniargento" n. 9, 1995, pp. 377, L.7.500
È riproposto un tema abbastanza sfruttato in fantascienza: l'incontro/scontro tra umani e alieni. Ci sono, però, dei risvolti inediti: gli extraterrestri, denominati "mech", sono degli esseri artificiali, che utilizzano anche sostanze biologiche (in pratica, si tratta di "cyborg"); essi, inoltre, hanno il pallino dell'arte. Il guaio è che, come materiale per le loro creazioni estetiche, usano i sentimenti e le emozioni che estraggono dalla rete neurale degli umani mediante un'orribile morte, la "mortesicura".
Per il ruolo nettamente soccombente che hanno i terrestri nella lotta che li oppone ai "mech", il romanzo di Benford, Il grande fiume nel cielo, ricorda L'invincibile di Lem e Gli uomini nei muri di Tenn. Ma mentre in questi due romanzi c'è lo sforzo dell'intelligenza umana di cercare la strategia e la tattica adatte per avere ragione dell'avversario, in Il grande fiume del cielo il gruppo di terrestri capeggiati da Killeen, dopo la distruzione delle loro città ad opera dei "mech", vagano per le aride lande di Snowglade, un pianeta al centro della Galassia, senz'altro obiettivo se non quello della pura e semplice sopravvivenza. Alla fine, un essere magnetico, che vive all'interno di uno dei due soli di Snowglade, svolgerà la funzione di deus ex machina e trarrà in salvo i terrestri sopravvissuti.
Più che per l'azione, i colpi di scena, gli inseguimenti, ecc., Il gran de fiume nel cielo è interessante per le annotazioni psicologiche e il vivo senso della dignità umana, che fa rifiutare a Killeen e ai suoi compagni il dono dell'immortalità offerto dai "mech", al prezzo di diventare... animali da zoo extraterrestre.
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