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Viaggio nell'editoria di fantascienza in Italia


di Antonio Caronia, Luci Pittan e Giuliano Spagnul


Dalle pagine di questa rivista, quasi un anno fa, Remo Guerrini faceva alcune considerazioni, per così dire, inedite, riguardo alle caratteristiche del mercato e dell'editoria di fantascienza in Italia (v. La gallina dalle uova d'oro, Un'ambigua utopia n° 2, 1979). Nel mondo della fantascienza, quell'articolo è stato apparentemente ignorato; diciamo apparentemente perché all'assenza di reazioni "ufficiali" ha fatto invece riscontro una messe di chiacchiericci, pettegolezzi, reazioni imbarazzate e/o isteriche nei corridoi, scale e sottoscale, vera fucina delle idee della fantascienza italiana.

Fra i più coraggiosi, l'editore Giovanni Armenia, rispondendo su Aliens n° 3 ad una lettera di critiche con un livore e un gesuitismo che ci asteniamo dal commentare, è arrivato ad ammettere l'esistenza di un articolo di Guerrini, pubblicato su una "rivista amatoriale", di cui pudicamente si omette il nome (ma quale concorrenza vuole che le facciamo, sig. Armenia? e, in tutta sincerità, di che saremmo "amatori"?), "articolo infarcito di grosse inesattezze, alcune delle quali sicuramente in malafede, che denotano comunque superficialità e scarsa serietà d'indagine". Se in quell'articolo qualche cifra, come è possibile, era inesatta, ciò è da addebitare solamente alla gelosia con la quale i piccoli editori specializzati in fantascienza stringono al petto i dati delle tirature, vendite, fatturati, ecc., rendendo così molto difficile a chi, come Guerrini, voglia fare indagini serie, di farle.

Per le smentite e le rettifiche (non per le polemiche indirette, velenose e cretine) su questa rivista c'è sempre spazio. Ma finora non ne è arrivata neanche una.

Lo scopo di questo "viaggio nel mondo dell'editoria di fantascienza in Italia", che comincia su questo numero, vuole essere quello di riprendere i temi sollevati da Guerrini, se possibile in un modo un po' più generale. Ci siamo convinti, nel corso di questi anni, e lo diciamo in modo pacato ma, speriamo, chiaro, che sarebbe urgente sottrarre la fantascienza dalle mani degli editori specializzati, la cui "linea" editoriale, quando c'è, è improntata all'eclettismo, alla superficialità, alla mancanza di idee, allo spirito angusto e parrocchiale. Non che la Nord, la Libra, Armenia, la Fanucci non pubblichino anche buoni titoli. Ci mancherebbe altro. Chi più, chi meno, ad anni alterni, ogni editore trova il modo di farci conoscere qualcosa fra quanto di leggibile si è pubblicato in altri paesi (tutt'altro è il discorso sulla fantascienza italiana, che cominciamo ad affrontare frammentariamente in altre pagine della rivista: qui, più che mai, è questione di parrocchie e di "giri amicali"). Ma il tutto è annegato in un mare di testi mediocri presentati come capolavori, di scoperte continue di nuovi geni, e soprattutto è costruito a partire da una premessa inespressa ma fortemente radicata: l'accettazione del dato del ghetto. Non si cerca nuovo pubblico, si coltiva il giro, in fondo ristretto, dei soliti fan, dei lettori "fedeli", di coloro che sono abituati alla sigla "fantascienza".

Tutto questo, come faceva appunto notare Guerrini, è forse da collegarsi alla struttura produttiva delle "microaziende" che, a parte Mondadori, si spartiscono il mercato della fantascienza in Italia.

Ma lungi da noi l'intenzione di appuntarsi su questo dato come un "peccato originale" dell'editoria specializzata minore. Al contrario, siamo convinti che anche partendo da imprese produttive piccole sarebbe possibile fare una politica diversa.

Cercheremo quindi, nel corso di questa inchiesta, di verificare quanto da tempo pensiamo: che cioè, se la fantascienza vuole veramente uscire dal ghetto, non ha che due strade: da un lato affidarsi alla grande struttura produttiva e distributiva, con tutti i rischi e le nuove incomprensioni che questo comporterebbe (tra l'altro, come risulterà dalle interviste che via via pubblicheremo, la grande editoria in Italia "diffida" istintivamente della fantascienza, a volte dal lato del "management", a volte dal lato delle redazioni, a volte da tutti e due); dall'altro tentare la strada della piccola impresa, della piccola struttura editoriale, magari gestita dagli stessi produttori associati (autori, traduttori, curatori), ma con apertura culturale e anche (perché no?) commerciale ben diversa dalle attuali case editrici.

Cominciamo questa volta con un'intervista a Cesare Slucca, che ci sembra interessante per vari ordini di motivi: intanto perché non c'è, da parte del "colosso della fantascienza", chiusura, arroccamento, difesa del "segreto d'ufficio" anche di fronte alle critiche o alle polemiche (certo, Urania vende comunque, anche se gli appassionati la criticano, ma non ci sembra che ci sia solo questo); poi perché dimostra, se non abbiamo capito male, che qualcosa alla Mondadori si stia muovendo, che ci sia una nuova sensibilità, una maggiore attenzione ai mutamenti anche di settori di mercato. E il fatto che il management, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, si dimostra più avanzato dei redattori e dei consulenti, è un altro paradosso curioso, ma che potrebbe essere istruttivo, di questo mondo imprevedibile della fantascienza italiana.


Intervista a Cesare Slucca

Cesare Slucca ci parla delle cose editoriali fantascientifiche da un punto di osservazione invidiabile, quello del settore "narrativa d'evasione".

È d'obbligo chiederle, per cominciare, un parere su tutto il panorama dell'editoria di fantascienza italiana in quest'ultimo periodo: il boom c'è, c'è stato, c'è ancora?

Io direi che è successo quello che è già successo, negli anni dopo il 1964, con gli Oscar: allora noi lanciammo la formula del tascabile, si vide che c'era uno spazio aperto, e tutti gli editori si lanciarono ad imitarci. Poi, col tempo, le cose si sono ridimensionate, e chi non è riuscito ad adeguarsi alle dimensioni necessarie non ha retto.

Anche nella fantascienza le cose sono andate così: gli editori minori si sono buttati, e hanno forse prodotto più di quanto c'era da produrre. In questo campo, poi, la garibaldineria è ancora più marcata, e quindi i tonfi, che dovevano inevitabilmente esserci, sono stati forse più grossi. Il fatto è che il lettore è meno fesso di quanto si creda...

I fatti a cui lei si riferisce sono indubitabili, ma non possono esaurire i discorsi sulla politica editoriale. Anche in casa Mondadori ci sono stati cambiamenti, e non solo nella periodicità di Urania: differenziazioni di collane, la fantascienza negli Oscar. La vostra linea editoriale in questo settore è cambiata, cambierà?

Per quanto riguarda gli Oscar, è stata solo una questione di completezza: una collana del genere doveva avere la fantascienza. Quanto al resto...

C'è chi dice che Urania non abbia addirittura una linea, una "filosofia". Ma, perlomeno secondo Fruttero e Lucentini, la filosofia di Urania è quella di pubblicare qualcosa che sia "divertente" e "accessibile a tutti": tutto qui.

In questo c'è del vero e c'è del falso. È chiaro che per noi c'è un problema di vendite. Il passaggio di Urania a settimanale, in questo senso, non è andato male. La vendita si è stabilizzata intorno alle 30.000 copie a numero, e senza oscillazioni paurose da un numero all'altro: il che significa circa 120.000 copie al mese, mentre prima erano sulle 100.000. Ecco, se dovessimo vendere solo 15 o 20.000 copie a numero, ci spareremmo...

E il nostro è un lettore distratto, bisogna tenerne conto.

Cerco di riformulare la domanda più precisamente. Urania è stata a volte criticata, in passato, per le scelte dei testi, le traduzioni, le manipolazioni. Le cose vanno ancora così?

Io credo che si sia un po'... enfatizzato, si può dire così, sul fatto dei tagli e delle modifiche.

Ma credo che comunque questa pratica sia diminuita nel tempo. La politica dei tagli si giustificava (dico si giustificava, non che la giustifico io) dicendo: questo passaggio è noioso, questa descrizione è troppo lunga... Certo, le forbici è meglio non usarle. Altre manipolazioni, poi, credo che ce ne siano state molto poche: ho sentito parlare di qualche cambio di finale, questo sì, ed è più grave.

Ma c'è un miglioramento, ripeto. Non credo che cose del genere accadano più. La scelta dei testi è un altro discorso: ci sono alcuni criteri, le opere troppo centrate su riflessioni sociologiche sono giudicate noiose per esempio (Stand on Zanzibar non avremmo proprio potuto pubblicarlo, a parte la lunghezza), ma è vero che in complesso non c'è poi una linea precisa...

Il sesso e la politica, per esempio, sono da sempre assenti...

La politica non c'è un po' perché ce n'e poca, obiettivamente, nella fantascienza, e un po' perché viene giudicata noiosa. Per il sesso, non c'è una direttiva contraria, ci sono, come si può dire?, incrostazioni, ecco: ma forse qualche cambiamento ci sarà.

In complesso, vi ritenete soddisfatti di come vanno le cose?

Direi di no: siamo solo moderatamente soddisfatti. Ma le cose potrebbero andare meglio se venissero letti più libri, se la griglia venisse un po' allargata. Io non sarei contrario a pubblicare titoli diversi, anche a fare esperimenti con opere un po' diverse da quelle che pubblichiamo di solito. Facciamo indagini di mercato, sappiamo che ci sono scontentezze in certe fasce di lettori. È inutile farle, le indagini, se poi non si tiene conto delle critiche, no? E poi non c'è solo Urania. Dei Classici della Fantascienza siamo ancora meno soddisfatti: dovrebbe essere una collana che raccoglie "il meglio", e invece c'è una grossa discontinuità, in pratica tutta Urania che viene riciclata senza molta scelta. Oppure prendete Millemondi: erano nati come antologie, ma è faticoso farle, e così abbiamo praticamente un doppione della Biblioteca di Urania...

Le sue dichiarazioni sono interessanti: ma le cause?

Eh, questa è una domanda più delicata. Diciamo che il lavoro costa fatica, e quindi meno si lavora meno si fatica.

Come lei sa, noi diamo una certa importanza alle documentazioni precise. Può dirci quanto prevede di fatturare il settore fantascienza della Mondadori per il 1980?

Non abbiamo mai problemi a dare le cifre esatte. Il fatturato della fantascienza, che è il 24% di tutto il settore di cui mi occupo, lo scorso anno è stato di 3 miliardi e 542 milioni di lire. Quest'anno prevediamo di passare intorno ai 3 miliardi e 800 milioni. Al lordo di copertina e al netto delle rese, s'intende.






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