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I classici della sf italiana. Rivisitando i "padri"... Lino Aldani


di Vittorio Catani


Secondo un'indagine svolta negli USA da Wollheim, il pubblico della fantascienza subisce un ricambio, in media, ogni cinque anni.

Verosimilmente, qualcosa di analogo accade anche in Italia: e ciò, occorre dirlo, aggiunge problema a problema allorché si voglia avviare un qualsiasi discorso editoriale serio sulla nostra narrativa di fantascienza.

Il perché è semplice. Non saranno forse, moltissimi - ma non sono nemmeno pochi - i nostri scrittori validi che, emersi nei primi anni '60, non hanno mai abbandonato del tutto il campo; e che quindi - opportunamente incoraggiati dall'editoria specializzata - potrebbero offrire tuttora lavori eccellenti, in grado di competere con la migliore produzione anglosassone (ovviamente, mutatis mutandis).

Costoro, per il ricambio di cui dicevamo, subiscono anche lo svantaggio di dover periodicamente ricominciare da zero, onde imporsi ogni volta ad un pubblico che, con ben diversa grancassa, è bombardato dai vari Simak, Asimov eccetera.

A ciò s'aggiunga il fatto che lo scrittore nostrano s'è dimostrato incline più alla storia di dimensioni medie o brevi che non al romanzo (forma narrativa che va per la maggiore): a questo punto il divario parrebbe incolmabile.

Noi di THX 1138 pensiamo invece (e con noi riteniamo pensino i lettori di fanzines) che in tutto ciò vi sia una logica aberrante, ma che ancora più aberrante sia l'atteggiamento di quanti (professionisti o dilettanti) operano nel campo ignorando il problema. Che è poi, soltanto, il grosso problema della sollecitazione e dello sviluppo su basi non effimere della nostra science-fiction.

Basta sfogliare le pagine d'un saggio come Le frontiere dell'ignoto di Vittorio Curtoni (Nord, 1977) ed ecco uscire nomi che vorrei citare tutti ma che devo limitarmi ad enumerare un po' a caso, scusandomi per le involontarie esclusioni. Penso a Gustavo Gasparini, Livio Horrakh, Mauro Miglieruolo, Maurizio Viano, Giuseppe Pederiali, Massimo Pandolfi, Inísero Cremaschi, Gilda Musa, Giuseppe Lippi, Renato Pestriniero, Piero Prosperi, Gianni Montanari, lo stesso Curtoni; e poi vari altri nomi più recenti, col che saranno 30, forse 40 autori. La fantascienza italiana, sissignori, ha una riserva di scrittori di pregio affinatisi nell'arco d'oltre 25 anni di crescita con tutta l'esperienza tecnica, la competenza del settore, la capacità critica, il senso della prospettiva storica, la conoscenza delle tematiche di modelli vecchi e nuovi e della loro evoluzione: qualità queste che, si badi, non s'inventano dall'oggi al domani. Noi questa gente ce l'abbiamo già: ma, assurdo, è come se non lo sapessimo.

THX 1138 ritiene non sia inutile avviare, in seno alla sezione di narrativa, la rubrica I classici della fantascienza italiana. Il proposito parrà provocatorio, ma è il caso di convenire che ben poco, in giro (e non solo a livelli professionistici) lascia supporre l'esistenza d'una cospicua mole di lavori (specie brevi) che vanno dagli anni '50 ai '70 e che tuttora presentano motivi d'interesse o di attualità. Il fatto è che noi abbiamo i nostri Classici, laddove di quelli (o presunti tali) anglosassoni, siamo da anni all'inflazione. Un po' l'uovo di Colombo, il nostro: ma se proprio le fanzines stesse tendono spesso a trascurare le potenzialità del patrimonio nostrano dedicandosi ad una ricerca spesso confusa e sterile di nomi nuovi e nuovissimi; e se l'editoria, specializzata a sua volta pare ignorare la questione, è magari per contro pubblica banali raccontini di esordienti segnalatisi nell'ultimo oscuro concorso indetto da qualche altra fanzine (convalidando così in un pubblico ben più vasto, la convinzione subdola che quella sia la fantascienza italiana, se non altro per i racconti), ebbene, noi vorremmo proporre nel nostro piccolo un discorso che ristabilisca un po' il senso delle proporzioni, che riporti nella giusta prospettiva.

Lino Aldani - ritenuto unanimemente il maggior autore di casa nostra - ci ha concesso gentilmente, dietro nostre richieste, il racconto Tecnocrazia integrale, che ci appare idoneo ad inaugurare la nostra rubrica in quanto, a nostro avviso: a) racchiude un valore storico, giacché segna un po' l'ingresso dei nostri autori nelle tematiche "sociali" (mentre imperversavano le solite storielle avventurose, o nel migliore dei casi i primi racconti di Sheckley, ed i primissimi di Frederik Pohl); b) possiede una tecnica di scrittura e spunti narrativi ancora molto attuali.

Eppure questa storia apparve per la prima volta su Oltre il Cielo ben 24 primavere fa e, manco a dirlo, è stata tradotta in Francia, Spagna, Argentina, Russia, Romania, Giappone e Germania Ovest. D'altro canto Aldani (la cui bibliografia conta più di cinquanta titoli, molti dei quali di particolare interesse) è stato pubblicato sinora in tredici nazioni e continua a vendere tranquillamente (all'estero…)

Per concludere vogliamo ricordare che i giovani autori stanno particolarmente a cuore anche a noi, e lo dimostreremo a partire proprio dal prossimo fascicolo: ma questo non ci farà trascurare il patrimonio di cui già in Italia disponiamo e che, nei limiti delle nostre dimensioni, vi riproporremo (come stimolo alla riflessione)… unitamente, ci auguriamo, a testi nuovi di questi stessi scrittori.

Ma intanto, gustiamoci questo Aldani d'annata.






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