I classici della sf italiana. La rappresentazione dell'uomo - Renato Pestriniero
di Vittorio Catani
Renato Pestriniero è uno dei nomi di più lunga militanza nella sf nazionale. I suoi racconti apparvero, a partire dal 1958, su Oltre il Cielo, rivista di cui Pestriniero fu uno dei capisaldi per quanto concerneva la sezione di narrativa. I suoi lavori vi comparivano sotto lo pseudonimo "Pi Erre".
Evento molto notevole per quell'epoca, il suo racconto "Una notte di 21 ore" fu trasposto sullo schermo dal regista Mario Bava; ne derivò un buon film intitolato "Terrore nello spazio" (1965).
La cospicua produzione di Pestriniero annovera lavori di fantascienza come pure di fantasy. Questa attività gli ha procurato vari riconoscimenti.
Ciò che peraltro ci preme sottolineare in questa sede, riguardo le caratteristiche che, a nostro parere, contraddistinguono nel suo insieme l'opera di Pestriniero.
La prima di queste è, indubbiamente, la professionalità; ovvero la capacità di scrivere storie sulle tematiche più diverse e per differenti destinazioni, senza cadere in banalità e ripetitività che, è inevitabile, sono in agguato in simili circostanze (a che così spesso ormai riscontriamo nelle "professionali" opere che ci giungono d'oltreoceano.)
Ciò, pensiamo, è dovuto al fatto che Pestriniero è rimasto sempre anche un dilettante - termine che qui usiamo nella sua accezione migliore, convinti come siamo che un genuino dilettantismo, in quanto scevro dai soliti compromessi commerciali, non possa che giovare.
Ma una seconda – e verosimilmente più importante, - caratteristica in questo Autore, è la presenza costante (talora esplicita, più spesso sotterranea) di significati inconsci nella sua narrativa.
Esempio di quanto affermiamo è proprio il racconto che qui presentiamo, e che vide la luce su Interplanet n. 4 (1964).
Nel suo noto saggio "Le frontiere dell'ignoto" (Nord, 1977), Curtoni lo giudicava il migliore in assoluto di Pestriniero. È la storia, ambientata nello spazio, di una regressione mentale; l'astronave come grembo materno insomma. Idea forse non nuova ma che veniva trattata in modo consapevole e con uno stile personale
Già nel suo racconto d’esordio, "I silenziosi" (Oltre il Cielo, 1958) Pestriniero tentava di dare concretezza a terrori inconsci descrivendo una drammatica invasione di giganti privi d'organi vocali e forniti di grandi occhi inquisitori. Notiamo che solo nel 1963 sarebbe stato tradotto da noi Jim Ballard, e con lui la psicanalisi avrebbe fatto la sua vivace irruzione nel mondo fantascientifico.
Tutto questo rammentiamo non per accampare discutibili primati, ma per sottolineare ancora una volta come la sf italiana, nei suoi momenti più originali, mostrasse sin dagli inizi caratteristiche sue peculiari; cioè una maggiore attenzione alla psicologia dei personaggi ed una più attenta cura della resa stilistica. Indubbiamente la fantascienza nostrana della prima ora - innestandosi sul tessuto d'una società tecnologicamente meno avanzata di quella degli USA - appariva poco "hard", e inoltre peccava di ingenuità giovanili. Sbagliava tuttavia chi ravvisava in ciò solo incapacità congenita e ne ignorava le potenzialità.
Già nel 1962, nel suo libro "La fantascienza", Aldani scriveva: "Si avverte, nelle narrazioni nostrane, l'ambizione di andare oltre la trovata tecnologica o 'ingegnosità delle situazioni, per tendere, piò o meno consapevolmente, alla rappresentazione dell'uomo, l'unico soggetto che possa essere letterariamente raccontato". E scusate se è poco!
Purtroppo negli anni successivi, pesanti condizionamenti del mercato ed una malintesa idea della fantascienza porteranno, salvo lodevoli eccezioni, al prevalere d'una narrativa italiana piattamente imitativa di quella d'oltre oceano, soffocando la maturazione di germi originali (in altri Paesi neolatini ciò non è fortunatamente avvenuto). E la situazione si trascina ancor oggi. Un'enormità di tempo perduto…
Ma chissà, forse non è ancora troppo tardi!
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